Sayfadaki görseller
PDF
ePub

pendente dal Sole sensibile, la Luna è, nel significato allegorico, la ragione umana, la quale è mestieri sia rischiarata dalla luce del Sole intelligibile, che è la filosofia, per farsi splendente della luce del vero, e tanto più, o meno, quanto da quella irradiata.

Epperò, allora soltanto il Poeta uscì dalla selva fonda (1), che lo studio della filosofia gli rischiarò la mente. Nè ci rechi meraviglia l'aver Dante chiamata Luna la Donna che regge, (2) nell' Inferno. Al quale proposito ricorderò la osservazione del Ponta: « La Luna splende soltanto in cielo ; ma la favola che dava più nomi alla Luna (Lucina, Diana, Ecate e Proserpina) la diceva regnante nell' inferno quale dea dei morti. Ora Dante segue la mitologia nella lettera, mentre nella allegoria la prende come ragione umana: e non essendovi uso di filosofia nell'inferno, secondo il nostro autore (3); ma i dannati conoscendo solamente il passato ed il futuro lontani per uso di ragione, come chi ha mala luce, che vede soltanto le cose distanti; per questo disse, regnare colaggiù la ragione e non la sola filosofia, la Luna e non il Sole (4). Le virtù morali e teologiche sono l'oggetto della filosofia, o sapienza, ed il mezzo di che questa servesi per condurre gli uomini alla felicità naturale ed eterna; che è operazione secondo virtù, come la definisce Aristotile. Sono dunque così illustrate dall'etica e dalla sapienza eterna, come la Luna lo è

(Giorno V). Frigida Saturni...... Stella. (Georg. I); La freddezza di Saturno. (CONVITO). Pianeta frigido, dice Pietro.

Più innanzi la frase per qualunque Luna (Parad. Cant. XXVII, v. 132) vuol dire in qualunque; ed anche per mese (Inf. Cant. X, 2. 79–80; XXXIII, v. 26). Aldo e parecchie ediz. antiche come anco mss. leggono lume invece di lune; nondimeno mi sembra che il contesto richiegga lune.

(1) Inf. Cant. XX, v. 131. Vedi la voce Selva fonda nell' Indice analitico di questo Saggio di Studî,

(2) Inf. Cant. X, v. 80. Vedi questa voce Donna che regge nell' Indice Analitico di questo Saggio di Studî.

(3) Inf. Cant, X, v. 97-108.

(4) Convito. Trat. III, Cap. XIII. Inf. Cant. X, v. 99.

Magistretti

18

del nostro Sole; ma non hanno la luce propria, nè senza quella sono conosciute: seguentemente a dirle raggiate dalla sapienza eterna, Dante delle sette luci splendenti sui candelabri, immagini delle sette virtù, scrisse che risplendevano :

Più chiare assai che Luna per sereno

Di mezza notte, nel suo mezzo mese (1) ».

Alla Luna piena splendente in cielo sereno è paragonata dal Poeta la giustizia, appunto perchè questa rifulge in tutta la sua bellezza, quando, là dove risiede, non trovi contrarietà nè quanto all' abilo, nè quanto all'operazione (2). Questo astro, in fine, per l'Alighieri simbolo dell' Imperatore (3) e del potere civile (4).

(1) Purg. Cant. XXIX, v. 53. - M. G. Ponta. Nuovo esperimento sulla principale allegoria della Divina Commedia di Dante Alighieri. Cap. XII, v. 66-67. - Milano. G. Resnati, 1845.

(2) Mon. I, 13. È caratteristica questa chiosa del dotto Poletto: « Sempre fermo il principio che nella Lupa è simboleggiata non già l'Avarizia, ma la Cupidigia, e per virtù d'amore intendendo qui la Carità illuminatrice della Giustizia, il dall'Ongaro s'apporrebbe al vero, e io vi consento. Infatti io pregherò il lettore di rivedere ben attento il capo 13 del lib. I della Monarchia, soprattutto la seconda metà; e s'avvedrà facile quale luminosa conclusione ne sarà per iscaturire. Per chi non avesse alle mani il testo, mi basta recare questo tratto: « Quemadmodum cupiditas habitualem Iustitiam quodammodo, quantumcumque pauca obnubilat, sic Charitas, seu recta dilectio, illam acuit atque dilucidat.... Cupiditas, societate hominum spreta, quaerit alia; Charitas vero, spretis aliis omnibus, quaerit Deum et hominem, et per consequens bonum hominis ». (G. Poletto. Dizionario dantesco. Vol. II, pag. 161, n. (*). Siena. S. Bernardino, 1886).

(3) Mon. II, I, 4.

(4) Mon. III, 4: Epist. V, 10. In un libro vecchio trovo la Vergine paragonata alla Luna: « Quia civitas Dei terrena, totaque sancta militans Ecclesia, in statu isto mortaii, eget ut maior mundus Sole, et Luna, cuius Sol, est Sol ille iustitiae Christus Deus noster, qui sua iustitia lacet, per diem gratiae nobis existentibus in monte Christianae iustitiae, vel saltem tendentibus ac contendentibus ad illum; iustitia quippe Christiana est, si

Negli infiniti spazî del cielo, tra il fosco delle tenebre, spuntano ad una ad una le Stelle; pare di poterle tutte contare, quando, sparse nell' immenso silenzio della sera, come polvere di scintille splendenti, sembrano spinte nel firmamento dalle placide aure della notte. Esse sono agli uomini un richiamo per sollevarsi dalle cose eterne a Dio.

Chiamavi il Cielo, e 'ntorno vi si gira,
Mostrandovi le sue bellezze eterne,

cut altissimus mons Dei, semper a Christo illuminatus; Pharisaica autem fustitia, quia a Christo non illuminatur, ne quaquam est Dei mons, immo nec est mons, sed infima palus, in qua morantur et habitant Iudaei nostri temporis, ut ranae, suis coaaxis implentes aerem caelum autem non attingentes. Luna qua in hac militanti Ecclesia egemus, et quam habemus lucentem in tenebris noclis peccatorum nostrorum est ipsa gloriosa Virgo Mater Dei, et Domini nostri Iesu Christi; quae aut Luna plena, semper diametraliter a suo Sole Chrislo respecta, et illuminata est: ideo terrae, seu terrenarum rerum affectione Eclypsim, seu qualemcumque, luminis defectionem haud patitur; plene igitur illuminata ipsa, plene etiam illuminat nos Divinis suis charismatibus virtutibusque et sanctis operibus. De isto Sole, et Luna ista, dici potest illud mystice, quod in libro Genesis scriptum est, scilicet: Fecit Deus deo luminaria magna, maius et minus. Maius est Christus qui praeest dies. Maria minus qui praest nocti, et sicut vere dicit Christus: Qui sequitur me non ambulat in tenebris: sic et Maria Sanctissima eius Mater, merito Christi idem dicere potest, et haec amborum sequela est, sanctissimarum virtutum, et operum vitae utriusque: imitatio. In superna autem civitate, licet sint ista duo luminaria magna, non tamen ibi est Maria, ad beatissimam lucem sive ut lux beatificans, quia claritas Dei totam illam civitatem plene illuminat, et lucerna in qua per hypostaticam anionem semper inclusa est Divinitas: Est ille agnus Dei Christus, ut inquit Apocalypsis (XXI). P. Lodovicus Boroius: De Civilale et civibus Dei ac de civitate civibusque Satanae. Pag. 140-141. Venetiis, MDCXII. Apud Ioannem Guerilium.

[ocr errors]

E l'occhio vostro pure a terra mira;
Onde vi batte Chi tutto discerne (1).

Epperò a questo spettacolo, comprese di sempre nuova ammirazione, assistono da secoli le generazioni, spettacolo esse stesse, create a sentirlo nella indefinita potenza della sua rivelazione. La mente umana, assorta nell'estasi di questa contemplazione, ideò il culto, la scienza, la divina poesia degli astri (2); sebbene il selvaggio, invece di elevarsi alla contemplazione della Causa Prima, siasi arrestato all'adorazione delle cause inferiori e sensibili, con tanta intensità di trasporto, quanto era grande in lui la meraviglia dei fenomeni os

(1) Purg. Cant. XIV, 148-151; XIX, v. 62 (cf. Vedi anche pag. 89-90 di questo Saggio di Studî.

[blocks in formation]

e il gesuita Venturi che il Petrarca imitò da questi i bellissimi versi :

Or ti solleva a più beata speme

Mirando il ciel che ti si volve intorno.

(Part. 1, canz. 39).

Rinaldo, mentre si apparecchiava alla disfatta del bosco fatato, alzando gli occhi al cielo e contemplando:

Quinci notturne e quindi mattutine

Bellezze, incorruttibili e divine,

fra sè stesso pensava:

....... Oh quante belle

Luci il tempio celeste in sè raguna!
Ha il suo gran carro il dì; l'aurate Stelle
Spiega la notte e l'argentata Luna:
Ma non è chi vagheggi o questa o quelle.
E miriam noi torbida luce e bruna,
Ch'un girar d'occhi, un balenar di riso

Scopre in breve confin di fragil viso.

(Gerusalemme Liberata. Cant. XVIII.

(2) Mongault. Du culte rendu aux astre, à des hommes, et sur le culte

rendu à Rome comme déesse. (ACAD. DES INSCR. Tom. I, pàg. 353).

servati, quanto era più utile la produzione dei beni naturali goduti. Qual cosa poteva commoverlo più degli astri dai quali piove una luce diffusa a dissipare l'orrore della tenebra notturna? Si videro nelle stelle altrettanti esseri animati, e, per tal modo, si avvinse la memoria del passato alla viva gratitudine presente, alla speranza, all'amore. La rivelazione rigenerò questo simbolismo e la fede redense la superstizione. Ego Jesus misi Angelum meum testificari vobis haec in Ecclesiis. Ego sum radix et genus David, STELLA SPLENDIDA ET MATUTINA (1).

Le stelle annunziano il sorgere del giorno celeste: quella dei Magi che ha fatto scoprir loro il Redentore, era quella che, secondo il profeta Balaam, doveva levarsi sopra Israele (2), quella che Zacaria chiama col poetico nome di Luce dell'Oriente (3). Tale nome, che conviene esclusivamente, così inteso, a Colui che solo è: Lux vera quae illuminat omnem hominem venientem in hunc mundum (4), dato, per comunicazione, ai santi e ai dottori, che risplendono nel Cielo, per la gloria della loro vita eterna, e per il vario grado della loro virtù (5). Stelle sono gli scrittori della Bibbia, dai quali il Poeta attinge la divina beatitudine della speranza:

Da molte Stelle mi vien questa luce;

Ma quei la distillò nel mio cor pria,

Che fu sommo cantor del sommo Duce (6);

[ocr errors]

(1) Apoc. XXII, 16.

(2) Orietur Stella ex Jacob. NUM. XXVII, 17.

(3) Ecce vir: Oriens nomen eius, et subter eum orietur, et aedificabit templum Domino. ZACHAR., VI, 12.

(4) Joan. 1, 19.

(5) Et qui ad justitiam erudiunt multos fulgebunt quasi stellae in perpefuas aeternitates. (DAN., XII, 3). Il qual passo serve ai commentatori della D. C. per attribuire il simbolo sidereo ai dottori e ai teologi nell' interpretazione di quel versetto del Salmo CXLVI: Qui numerat multitudinem stellarum, et omnibus eis nomina vocal.

(6) Parad. Cant. XXV, 70-72.

« ÖncekiDevam »