Sayfadaki görseller
PDF
ePub

Stelle sono ancora le anime dei giusti (1); sono gli Angioli stessi designati da Giobbe sotto il simbolo di Astri del Mattino (2).

Ma questo simbolo stesso, come tutti gli altri, ha il suo contrapposto; così che venne ad indicare l'ipocrisia e la finzione; quale appunto è della Stella Absinthe, ardente di tetra luce, come una fiaccola, segnale mandato dal terzo angelo apocalittico, funesta causa. di infinite morti (3). La coda di un dragone manda su la terra una grandine di Stelle (4).

Ma, più che in queste immagini dello sgomento, troveremo l'idea della immensità nel concetto astronomico mistico del Poema. Dante dice con Agostino: Cogitas Deum quasi aliquam istorum oculorum immensam vel multiplicem lucem (5).... Deus lux est, sed lux cordis (6). Iddio fece uscire Abramo dalla sua tenda e gli disse: Mira il cielo e conta se puoi le Stelle? (7) Epperò considereremo il mondo sidereo dantesco, dapprima nell' Inferno, poi nel Purgatorio e nel Paradiso da ultimo: in modo, che lo studioso possa formarsi

(1) Stella autem a stella differt in claritate. (1, Cor., XV, 41). (2) Cum me laudarent astra matutina: (JOB., XXVIII, 32.

(3) Cecidit de coelo stella magna, ardens tamquam facula, et cecidit in tertiam partem fluminum et in fontes aquarum. Et nomen stellae dicitur ABSINTHIUM, et facta est tertia pars aquarum in absinthium et multi hominum mortui sunt de aquis quia amaras factae sunt. (Apoc. VIII. 10).

(4) APOC. XII, 3, 4.

(5) De Civitate Dei. T. V.

(6) Evan. Sup. Lucam.

(7) Gen. XV, 5. Osserva il Lowth: Imago lucis et tenebrarum að exprimendas res prosperas et adversas translata communi omnium linguarum usu frequentatur, quemadmodum omnium hominum communis est rerum ipsarum sensus et perceptio. Verum his metaphoris Hebraei frequentius quam caeteri omnes et constantius utuntur; usque adeo quidem, ut raro se iis abstineant, ubicunque loci argumentum postulat aut etiam patitur. Haberi itaque possunt in eo locutio num genere, quarum in stylo parabolico maxime nota et rata est significatio; cum imagines exhibeant notissimas et maxime familiares, fiatque translatio ex agnita et concessa

un' idea, per quanto è possibile, progressiva del pensiero poetico e religioso, che illumina lå profondità dello spazio universale e teologico della Divina Teodia (1).

Le Stelle appaiono con divina influenza d'amore fin dalla scena celeste, descritta dal Poeta (2); alla placida luce della Stella (3) è

rerum inter se similitudine, quae et natura percipitur, et sermonis usu constanti comprobatur. In imaginibus tam notis tamque frequentatis apud Hebraeos facile conceditur audaciae venia. Iisdem utuntur Latini, sed rarius, ideoque et cautius:

Lucem redde tuae, Dux bone, patriae:

Instar veris enim vultus ubi tuus

Affulsit populo, gratior it dies,

Et soles melius nitent.

(Hor. Carm. IV, 5).

Vix quidquam habent elegantius, aut in simili materia etiam l.berius, severiores Musae Latinae. Hebraei vero, ut in argumento longe sublimiore et in imagine notissima, efferunt se atque exultant licentius, et audaciae poëticae frenos omnes laxant. Exhibent nimirum, non veris, non aurorae, non caliginosae imaginem, sed solem et sydera quasi nova creatione aucto in immensum splendore exsurgentia, aut in antiquum Chaos et primaevas tenebras iterum demersa. (Roberti Lowth. De sacra poesi Hebraeorum praelectiones. Preloc. VI, 59-69. Londini. Apud W. H. Lunn. Th. Boosey). (1) A proposito delle Stellate ruote (Parad. XI, v. 36, vedi anche

pag. 124 la nota (2) di questo Saggio di Studî.

(2) Inf. Cant. I, v. 37-39. Primi sub lumine Solis. (Aen., VI).

(3) Inf. Cant. II, v. 55. - Chi intende la Stella Venere (VENTURI), chi il Sole (DANIELLO, Landino, VeluTELLO). All'opinione di costoro pare che dia favore l'ultimo verso della Divina Commedia: L'Amor che muove il Sole e l'altre Stelle, che anche il Sole debba annoverarsi tra le Stelle come la Luna. (Parad. Cant. II, v. 30); chi l'una e l'altra interpretazione. Chiosa il Lombardi: « Dante medesimo nel Convito, Canz. II, che comincia: Amor che nella mente, mi ragiona, nell'ultima Strofa dice:

Ma li nostr'occhi, per cagioni assai,

Chiaman la Stella talor. tenebrosa :

poscia commenta in guisa, che ben rende chiaro di non avere inteso per Stella nè Venere nè il Sole, ma le Stelle generalmente, e di avere adoprato

paragonato lo sguardo di Beatrice (1); la mancanza delle Stelle, è condanna infernale (2). Epperò dice il Poeta, 'discendendo a maggior pieta:

Già ogni stella cade, che saliva
Quando mi mossi (3).

È noto come egli e Virgilio quivi entrassero nell' imbrunire: Primisque cadentibus astris (4); nè d'altra parte, deve lo studioso dimen

il singolare per il plurale; a quel modo che comunemente diciamo avere alcuno l'occhio flero o vago, invece di dire che ha gli occhi fieri o vaghi. Per essere, dice, lo viso debilitato... puote anche la stella parere turbata: io fui esperto di questo.... che per affaticare lo viso molto a studio di leggere, intanto debilitai gli spiriti visivi, che le Stelle mi parevano tutte d'alcuno albore ombrate. (Tratt. III, cap. IX). Anche il Biagioli intende le Stelle in generale ». Il singolare per il plurale è usato allo stesso modo nel Cant. XVII dell'Inferno, v. 33:... Ben cessar la resta e la fiammella, essendo l'estremità dell'orlo dalla parte del vano la più lontana dal sabbione infuocato e dalle pioventi fiamme. Considerata l'idea di amabilità che Dante vuol insinuare, piuttosto che quella di abbagliante fulgore, crede lo Scolari che convenga meglio l'intendere dell'Astro amoroso che del Signore delle Stagioni. Tale opinione è avvalorata eziandio dalla lezione del cod. Vat. 3199 che ha la Stella, con l' S maiuscola. Il Foscolo: « La Stella. Detto assolutamente per lo planeta di Venere, bellissimo e lucentissimo, il quale fu dagli antichi appellato Fosforo e Lucifero, quando la mattina resta nel cielo dopo le altre Stelle; e quando la sera primo comparisce Espero e Vespero. Altrove Dante, parlando del Sole: La bella Stella che il tempo misura; e Stellone, a detta del Tommaseo, dicesi in Toscana tuttavia un Sol cocente. La Stella però disse altrove per una Stella, o per le Stelle. Turbar lo Sole ed apparir la Stella. Li nostri occhi.... Chiaman la Stella talor tenebrosa. G. Guinic. La lucente Stella Diana, Che appare anzi che il giorno renda albòre.

(1) Vedi pag. 151 di questo Saggio di Studî.

(2) Inf. Cant. III, v. 23. Sine sidere noctes. Sine Sole domos. (Aen. III, IV). (3) Inf. Cant. VII, v. 98–99. – È mezzanotte. Jam nox humida Praecipitat, suadentque cadentia sidera sommos. (Aen. II).

(4) Aen., VIII.

11 BENNASSUTI. « Le Stelle salgono dall'orizzonte al meridiano, e da questo in poi cadono. Il tempo che esse impiegano dall'oriz

ticare mai che Dante quivi non accenna che a ricordi siderei, non contempla spettacoli. Di che ne fanno certi, nel secondo girone, i sodomiti, i quali così lo salutano :

Se campi d'esti luoghi bui,

E torni a riveder le belle stelle,

Quando ti gioverà dicere: I' fui,

Fa' che di noi alla gente favelle (1).

Nella profonda tenebra della quarta bolgia ecco sepolto Aronta:

Che ne' monti di Luni, dove ronca
Lo Carrarese, che di sotto alberga,

Ebbe tra bianchi marmi la spelonca

Per sua dimora; onde a guardar le stelle

E'l mar non gli era la veduta tronca (2).

Lo strazio di quell'anima si direbbe essere, più che da altro, cagionato dalla mancanza del raggio sidereo, del quale ella aveva in vita pur tanto abusato, a danno di quella luce, che celò altrui per turpe sete di guadagno.

Arrivato all' Equatore, là nella ottava bolgia, dei consiglieri fraudolenti, accennando che la notte vedeva :

Tutte le Stelle già dell'altro polo (3);

il Poeta non fa che rendere maggiore, per mezzo del confronto, l'uggia della oscurità che avvolge quegli spiriti: oscurità che, non descritta dal Poeta, acquista spaventosa evidenza nelle ultime terzine della cantica, dove un' indicibile sete di luce lo spinge ad affrettare

zonte al meridiano è di 6 ore. Dunque si dice che sono passate sei ore dal momento che Virgilio si mosse ».

(1) Inf. Cant. XVI, v. 82-84. - Loca torbida. Loca senta situ cogunt noctemque profundam. (Aen. VI).

(2) Inf. Cant. XX, v. 47-51.

(3) Inf. Cant. XXVI, v. 127.

questo Saggio di Studî.

L'intiero passo è riportato a pag. 239 dí

l'uscita da quel cammino ascoso..... per tornare nel chiaro mondo: finchè, con un impeto di lirica ammirazione, Dante esclama:

E quindi uscimmo a riveder le Stelle (1).

« Questi versi - chiosa il Biagioli - cominciano a spirare una certa soavità, che si sente nell'anima, e la prepara a quella dolcezza, della quale, siccome sin qui di tristezza, sarà dal primo all'ultimo verso della seguente canzone inebriata » (2).

Prima però di considerare la apparizione siderea, è d'uopo discorrere ancora brevemente della opinione dantesca, relativa all' influenza delle Stelle, che di loro divina o maligna luce rischiarano o ottenebrano il cammino della vita (3); per la quale il Boccaccio, alludendo alla Stella buona (4) del Poeta, asserisce che: « Nella sua infanzia assai segni apparirono del suo ingegno; dal principio alla puerizia.... » Le parole di Marco Lombardo, e le osservazioni da noi fatte (5), ci hanno chiarito il modo col quale Dante intendeva e sentiva l'influenza planetaria, su l'azione volitiva umana, che vuolsi intesa :

Non pur per ovra delle ruote magne,

Che drizzan ciascun seme ad alcun fine,

·(1) Inf. Cant. XXXIV, v. 139.

(2) Biagioli. Commento de La Divina Commedia.

(3) È notissimo il passo nel quale Virgilio dice Dante :

Se tu segui tua Stella

Non puoi fallire a glorioso porto;

(Inf. Cant. XV, v. 55–56).

D'una tale influenza è fatta parola anche a pag. 10, 72, 86, 90, 92, 99, n. (3): vedi l'Indice Analitico di questo Saggio di Studi. Parad. Cant. XXII, ▼. 152. (4) Inf. Cant. XXVI, v. 23. - Nacque entrando il Sole in Gemelli, che, dice l'Anonimo, secondo gli astrologhi, è significatore di scrittura e di scienza. Fin dal principio abbiamo veduto quand'è che il Sole esce: Con miglior corso e con migliore Stella. (Parad. Cant. I, v. 40).

(5) Vedi di questo Saggio di Studí, pag. 100, 101, ecc.

« ÖncekiDevam »