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Secondo che le Stelle son compagne;

Ma per larghezza di grazie divine (1)

Con che l' Alighieri pone quattro influenze: de' cieli, poi dei pianeti, più dirette e miste, poi gli abiti dell' anima stessa, poi la grazia divina:

Beati, cui alluma

Tanto di grazia, che l'amor del gusto

Nel petto lor troppo desir non fuma,
Esurïendo sempre quanto è giusto (2).

Ond'è che le congiunzioni dei pianeti più si direbbero la divina predestinazione del tempo segnato ai fatti, che l'inesorabile divinazione della modalità dei fatti stessi. Beatrice nel predire la risurrezione d'Italia nel 1334, usa appunto un tale linguaggio:

Ch'io veggio certamente (e però 'l narro)

A darne tempo già Stelle propinque,

Sicuro d'ogn' intoppo e d'ogni sbarro (3).

Ma è nel ragionamento di Carlo Martello che noi troveremo là spiegazione della causa efficiente del moto sidereo.

Lo Ben che tutto 'l regno che tu scandi

Volge e contenta, (4) fa esser virtute
Sua provedenza in questi corpi grandi;

E non pur le nature provvedute

Son nella mente, ch'è da sè perfetta,.

Ma esse insieme con la lor salute.

(1) Purg. Cant. XXX, v. 109–112. Vedi anche di questo Saggio di Studi. pag. 67, nota (1).

(2) Purg. Cant. XXIV, v. 151–154.

(3) Purg. Cant. XXXIII, v. 40-42.

(4) Nel Convito spiega come il moto delle sfere inferiori è l'amore del Primo mobile. N Sole e la Luna e tutti gli astri del cielo.... creò Dio in ministero a tutte le genti. (Deut., IV, 19).

Per che quantunque quest' arco saetta,
Disposto cade a provveduto fine,

Sì come cocca in suo segno diretta.
Se ciò non fosse, il ciel, che tu cammine,
Producerebbe sì li suoi effetti,

Che non sarebber arti, ma ruine:

E ciò esser non può, se gl'intelletti,

Che muovon queste stelle, non son manchi,

E manco 'l primo, che non gli ha perfetti (1).

Con che l'Alighieri viene spiegando la divina economia dell'universo. Dio, che volge il cielo per mezzo degli Angeli, fa che la sua provvidenza sia virtù influente dagli astri. Esso provvede così, non solo alle varie loro nature, ma al benessere e alla durata loro; ond'è che tutte le operazioni celesti sono disposte ad un fine infallibile. Epperò dice il Tommaseo : « Il cielo che opera alla universale conservazione delle cose generabili e corruttibili, move tutti i corpi inferiori dei quali ciascheduno opera alla conservazione della specie propria ». (SOMMA). Con altre parole: Iddio, che muove, e fa lieti i cieli, conferì loro la virtù d' influire su la terra, e volle che questa loro attività tenesse luogo dell'immediata sua provvidenza.... Qualunque influenza degli astri su di noi, è diretta ad un fine, determinato e voluto da Dio, cospirante al nostro ben essere. A questo era la società necessaria, la quale non può sussistere senza un certo ripartimento d' uffizi, di professioni, fra gli individui che la compongono. Ciò rende indispensabile negli uomini diversità d' indole, di genio, e di fisica costituzione. Iddio diede così alle Stelle la virtù d'influire negli individui della nostra spezie, temperamento, inclinazioni e attitudini dif-" ferenti. Ma questa virtù piove dagli astri su di noi sapientemente e regolarmente bensì, ma senza aver riguardo alle diverse nostre condizioni. Quindi spira animo regio a chi nacque in bassa fortuna e viceversa. Tolta questa celeste influenza, la natura sarebbe sempre uniforme nei prodotti della nostra specie, per cui il figlio nascerebbe

(1) Parad. Cant. VIII, v. 97-111.

sempre similissimo al padre, ove egli solo dovesse influirvi; ma influendovi, e in modo diverso, anche le Stelle, ne viene che il figliuolo nasce così talvolta d'un' indole affatto dissomigliante a quella del padre suo (1). Il dubbio è così risoluto; ma per corollario vi aggiunge, che se le individuali disposizioni, che dalla natura sortiamo fossero studiate e secondate, la società avrebbe soggetti in ogni genere eccellenti; ma questo non si fa, chè anzi sì destina al chiostro chi nacque per l'armi, al trono chi inchina al ministero apostolico. È l'opacità del nostro intelletto, essa soltanto, che impedisce la divina trasfusione della luce empirea; che è calore di vita, trasmissione e riflessione ad un tempo di quel raggio che rischiara il cammino della perfezione individuale e sociale, per ritornare nell'oceano dell'eterno lume divino. Da questo dipendono gli avvenimenti umani, ad esso si informano le sorti delle nazioni, che dagli individui traggono moto e potenza. Il prammatismo storico si rischiara a questo raggio. E però Can Grande:

(1) S. Agostino, S. Gregorio Papa, con altri padri e il Primo Concilio di Praga combatterono vivamente, i Manichei e i Priscillianisti, che asserivano, con alte scuole, essere forzati gli uomini a sperare dalle costellazioni sotto le quali nascono. Dante, con gli Scolastici, non mai condannati dalla Chiesa, asserisce che Astra influunt sed non cogunt. (Purg. Cant. XVI, v. 73–75. – Vedi di questo Saggio di Studî la pag. 101). Così si legge in S. Gregorio. Certe cum Jacob de utero egrediens, prioris fratris plantam teneret manu, prior perfecte nequaquam egredi potuit, nisi obsequens inchoasset; et tamen cum uno tempore eodmque momento utrumque mater fuderit, non una utriusque vitae fuit. (Homil. X, in Evang.). E Fra Bacone, ad indicare che qualunque piccola diversità di luogo può bastare a diversificare le indoli di due gemelli: Singula punta terrae sunt centra diversorum horizontum, ad quae coni diversarum pýramidum virtutum coelestium veniunt, et possint producere herbas diversarum specierum in eadem ¡particula terrae minima, et gemellos in eadem matrice diversificare in complexione et moribus, et in usu scientiarum et linguarum et negotiorum, e ceteris omnibus. (Opus Majus, Ediz. Veneta, 1759, fol. 187).

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Tuttavia questa teoria non gli consente di credere che le anime risiedano negli astri, opinione che gli rammenta la sentenza di Platone, il quale le dice staccate dagli astri per abitare la terra, e di qui poi ritornarsene ad essi (2). Beatrice trova in tale errore una violazione dell'essenza della natura divina e dell'umana. Ecco Dante:

Di dubitar ti dà cagione

Parer tornarsi l'anime alle Stelle,
Secondo la sentenza di Platone (3).

E, più oltre, prosegue:

Quel che Timeo dell'anime argomenta
Non è simile a ciò che qui si vede,
Perocchè, come dice, par che senta.
Dice che l'alma alla sua stella riede (4),
Credendo quella quindi esser decisa,
Quando natura per forma la diede.

Vedi pure ciò che è detto di Caccia

(1) Parad. Cant. XVII, 76-78. guida, in questo stesso Canto, v. 101.

(2) Di che Virgilio:

......Deum namque ire per omnes

Terrasque, tractusque maris, coelumque profundum;
Hinc pecudes, armenta, viros, genus omne ferarum,
Quemque sibi tenues nascentem arcessere vitas;
Scilicet huc reddi deiude, ac resoluta referri
Omnia; nec morti esse locum: sed viva volare

Sideris in numerum, atque alto succedere coelo.
(Georg., IV).

(3) Parad. Cant. IV, v. 22-24,

(4) Chi avrà direttamente finito il corso di sua vita, a quell'astro, al quale egli è ordinato, ritorna. (Cic. de Univ.) Harum (civitatum) rectores... hinc profecti, hunc revertuntur. (De Somn. Scip.). Platone e altri vollero

E forse sua sentenza è d'altra guisa

Che la voce non suona; ed esser puote
Con intenzion da non esser derisa.
'S'egli intende tornare a queste ruote

L'onor (1) dell'influenza e 'l biasmo, forse

In alcun vero suo arco percuote.
Questo principio, male inteso, torse

Già tutto 'l mondo quasi, sì che Giove,

Mercurio e Marte a nominar trascorse (2).

Commenta il Tommaseo: « Dante crede potersi il detto di Platone interpretare benignamente, conciliandolo con la verità; e ci ammaestra cogliere anco dal falso ne' filosofi il vero, a scoprire nelle tradizioni alterate la tradizione pretta, a guardarci dal tristo vizio di calunniare con l'immaginazione perversa le dottrine de' maggiori e de' coetanei, e di esagerare il male o pur divulgarlo improntamente, siccome sogliono i mormoratori di crocchi e gli abbaiatori di piazza. Beatrice soggiunge che da codesto errore del fare le stelle nido agli spiriti, anzi genitrici di quelli, ebbe origine l'idolatria: e ancorchè l'unica origine non sia questa, vero è nondimeno che la falsata tradizione delle intelligenze ordinate custodi della materia, fa pendio all'adorare la materia in sè stessa » (3).

Richiamate tali idee fondamentali alla dottrina siderea, osservato che pochissimi e indiretti sono gli accenni alle Stelle nell' Inferno, consideriamo ora come questi si facciano più frequenti e diretti nella seconda cantica: nella quale la espiazione della colpa è aspirazione a bene perfetto sempre presente, al possesso d'una feli

che le anime procedessero dalle Stelle e fossero nobili più o meno secondo la nobiltà della Stella. Aristotele (De An. I) combatte Platone.

(1) L'influenza celeste è parte di grazia: e i meriti umani onorano Dio e la creazione.

(2) Parad. Cant. IV, v. 49-62.

(3) N. Tommaseo. Commedia di Dante Alighieri. Luog. cit. I cieli o i

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