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migliore e con più squisita originalità di forma, lasciare intendere l'impallidire e lo smarrirsi delle Bilance in quell'oceano di virginea luce, che annunziava il giorno e fugava i pallidi raggi siderei e le ombre. Questa preparava alla apparizione dell'Angelo nocchiero; esso stesso paragonato ad una Stella circonfusa di vapori; quasi che la divina virtù, che rifulge in quella celeste creatura, si celi a se stessa, non perchè disdegni rivelarsi a quelle anime, non ancora deterse dalla penitenza, ma per divino decreto di commiserazione verso quegli spiriti, incapaci di sostenere anche un solo raggio di paradiso. Ed ecco qual, sul presso del matttino,

Per gli grossi vapor Marte rosseggia (1)
Giù nel ponente sovra 'l suol marino;

Cotal m'apparve, sì ancor lo veggia,

Un lume per lo mar venir sì ratto,

Che 'l muover suo nessun volar pareggia.

Dal qual com' io un poco ebbi ritratto

L'occhio, per dimandar lo Duca mio,
Rividil più lucente e maggior fatto.

Poi d'ogni lato ad esso m'appario

Un non sapea che bianco; ed al di sotto
A poco a poco un altro a lui n'uscìo.

Ut Solet aer

Purpureus fieri, cum primum Aurora movetur;

Et breve post tempus caudescere Solis ab ictu.

(Met., VI).

(1) Così si legge nel Convito: « Marte disecca e arde le cose, perchè il suo calore è simile a quello del fuoco; e questo è quello per che esso appare affocato di colore, quando più e quando meno, secondo la spessezza e rarità delli vapori che 'l seguono; li quali per loro medesimi molte volte s'accendono, siccome nel primo della Meteora è determinato ». (Trat. II, cap. XIV). Quivi è detto: Cum autem primum elementum, et corpora quae in eo sunt in orbem føruntur, semper id quod ex infero mundo ac corpore illi continuum est, vi motus disgregatum accenditur atque calorem efficit. (ARIST. Metereologicorum, Lib. I, Cap. III. Francisco Vatablo interprete).

Lo mio Maestro ancor non fece motto

Mentre che i primi bianchi apparser ali (1).

Epperò Virgilio è muto dinanzi a questo spettacolo, per il quale ammira gli indefiniti atteggiamenti del fenomeno ottico, vario col variare delle distanze, senza che egli sappia designarne la causa, da poi che egli è insufficiente a spiegare ciò che avviene nel mondo della grazia. Ma il Poeta è tutto assorto in quell' immenso spettacolo di placidissima luce, che sfugge alla meditazione del Pagano, il quale è tutto assorto invece nella osservazione del corpo del divino galeotto:

Vedi che sdegna gli argomenti umani,

Sì che remo non vuol, nè altro velo
Che l'ali sue, tra liti sì lontani.

Vedi come l' ha dritte verso 'l cielo,

Trattando l'aere con l'eterne penne,

Che non si mutan come mortal pelo (2).

(1) Purg. Cant. II, v. 13-26. Questo ultimo passo ha un'altra lezione: Aperser l'ale ammessa da molti codici e che trova una spiegazione nel virgiliano:

Leucatae nimbosa cacumina montis,
Et formidatus nautis aperitur Apollo.

(Aen., III).

E più inanzi :

Aperit ramum qui veste latebat.

A questo punto, così chiosa il Biagioli : « D'ogni parte, dell'uno e dell'altro lato. Un non sapea che bianco: erano le ali dell'angelo che tosto dirà. E di sotto, etc., e un altro color bianco, che io non sapeva ben distinguere, uscì a poco a poco nella parte di sotto a lui, cioè a quel primo bianco. E questo secondo bianco si è la stola dell'angelo, nel cui bianco vestimento si figura la purità, di cui le anime vanno a rivestirsi Purgando le caligini del mondo ». (2) Purg. Cant. II, v. 31-36. - Il Tasso nella Gerusalemme :

Venia scotendo con l'eterne piume

La caligine densa e i cupi orrori.

E Dante invece vede e sente ben più a fondo nell'angel di Dio, ond'è che, compreso di mistico stupore, prosegue:

Poi, come più e più verso noi venne

L'uccel divino, più chiaro appariva:

Per che l'occhio da presso nol sostenne;
Ma chinail giuso (1).

E d'uopo però tornare alla contemplazione diretta dal firmamento, seguendo la divina irradiazione del genio di Dante; mercé il quale ci sarà dato intenderne meglio le infinite bellezze, gustarne le segrete dolcezze, attingere luce dalla infinita profondità del lume d'amore. Come quando, con verso di soavissima grazia ci descrive l'aspetto dell'angiolo, che lo guida alla scala onde si sale al secondo ripiano del Purgatorio:

A noi venia la creatura bella,

Bianco vestita, e nella faccia quale

Par tremolando mattutina Stella (2).

(1) Purg. Cant. II, v. 37-40.

L'Alighieri, nel Convito, esprime l'effetto contrario del non sostenne: « Come chi guarda col viso per una retta linea, che prima vede le cose chiaramente; poi, procedendo, meno le vede chiare; poi più oltre dubita; poi, massimamente oltre procedendo, lo viso disgiunto nulla vede ».

(2) Purg. Cant. XII, v. 88-90. - Chiosa il Tommaseo: « Splendet tremulo sub lumine pontus (Aen., VII). – Un antico cristiano: Stellas tremulo radiantes Lumine.... Era l'aspetto suo come folgore e le sue vestimenta come neve. (Matth. XXII) ». Ma forse quest' ultimo confronto è meno conveniente all'idea di Dante; mentre è convenientissima la similitudine biblica ricordata dal venerando Venturi: « Quasi Stella matutina in medio nebulae. (Eccl. Lib. VI), L'immagine della Stella mattutina è in Saladino da Pavia: Lo suo bel viso pare tralucente La Stella d'Oriente, e in Dino Frescobaldi, che la chiama Stella diana, e in altri rimatori del Primo Secolo. - Epperò il Poliziano : Bella Che mattutina Stella Par tra le Stelle (Rim. var. 1); e il Tasso, di una Sirena negli orti di Armida: Qual mattutina Stelta esce dall'onde, Tale apparve costei XV, 60. (L. Venturi. Le similitudini dantesche. Pag. 14-15. Simil. 22. Firenze. Sansoni, 1874).

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Passo che così commenta la ispirata meditazione del Perez: « Chi non direbbe che questo, a preferenza di tutti gli altri angeli, è l'Angelo dell'Umiltà? La luce onde si circondano gli altri ne' cerchi superiori ha sempre un non so che di vivezza che abbaglia; ma questo ride di luce così modesta e gentile! luce di tremola Stella che sta per cedere il luogo alla luce dell'aurora nascente, e coprirsi di un velo. Anche la bianchezza delle vesti, su cui batte quella luce argentea, ben s'accorda alla bianchezza del lucido marmo (1), che porta sculti gli esempi dell'umiltà (2) ».

Ma l'accenno alle Stelle non è frequente nella seconda cantica; motivo per il quale le poche apparizioni, che si ammirano qua e là su la montagna dell'amor del dolore, nella placida soavità della loro luce, acquistano potenza di un dolce mistero di pace infinita. Ed ecco che giunto il Poeta sulla quarta cornice, erano tanto levati :

(1) Purg. Cant. X, v. 31.

(2) Paolo Perez. I sette cerchi del Purgatorio di Dante. Art. IV, pag. 132. (Verona. Lib. della Minerva. Seconda Ediz. 1867). – Il Carducci asserisce che è questo: « Il più bel commento di scienza scolastica al Purgatorio di Dante che si conosca in Italia e fuori ». Appartiene a tale esimio critico, che il Gregorovius chiama il primo e 'l migliore de' suoi amici in Italia, anche uno studio col titolo: Delle fragranze onde l'Alighieri profuma il Purgatorio e il Paradiso. Fu stampata in Intra il 1867 per Bertolotti in 8.o, in occasione di nozze. Questo lavoro fu lodatissimo; consta di due articoli di tre paragrafi ciascuno; nei quali espone rispetto al Purgatorio: 1. la fiorita valle nell'Antipurgatorio, 2.° il ventilare delle ali angeliche nei sette cerchi, 3.o la cima del monte o il Paradiso Terrestre. Rispetto poi al Paradiso: 1.o i mistici fiori nelle sfere celesti, 2.° la simbolica riviera dell'Empireo, 3. la candida rosa e le api angeliche. Ed altri studî critici volgeva in animo di pubblicare, a testimonianza del De Vit, il più competente e degno suo biografo, quali: Gli Angeli dell'Antipurgatorio e del Paradiso terrestre e sui Personaggi scontrati da Dante, specialmente italiani, su la Storia dei loro tempi e su Gli intendimenti civili del Poeta. (V. De Vit. Sulla vita e sulle opere di Paolo Peres. Nell'elegante volumetto Poesie scelte di Paolo Perez. Seconda Parte pag. VI. Torino. Tip. Speirani, 1880).

Gli ultimi raggi che la notte segue,

Che le Stelle apparivan da più lati (1).

Giacchè, più vanno perpendicolari i raggi della sera, più la notte si distende maestosa nell'azzurra oscurità del cielo, dove rifulgono con mille occhi d'amore i lumi sidérei. Mentre da poi:

La Luna, quasi a mezza notte tarda

Facea le Stelle a noi parer più rade (2).

E nell'ultima cornice, dentro la scala scavata e profonda dalla roccia, da quell'altezza, immersa nella limpida immensità di quell'aere puro e sgombro d'ogni vapore, vedeva scarse, ma più distinte le Stelle:

Di lor solere e più chiare e maggiori.

Sì ruminando e sì mirando in quelle,

Mi prese 'l sonno; il sonno che sovente,
Anzi che 'l fatto sia, sa le novelle.

Nell'ora credo, che dall'orïente

Prima raggiò nel monte Citerea,

Che di fuoco d'amor par sempre ardente,

Giovane e bella in sogno mi parea

Donna vedere andar per una landa,

Cogliendo fiori, e, cantando (3).........

Scena sublime, la quale predispone alla lucente visione del Paradiso Terrestre (4); che sarà allo spuntar del nuovo Sole. Si direbbe anzi che una dolce gravezza pesi su le palpebre del Poeta e prepari così la sua pupilla all'intensità dello splendore celeste. La luce occupa per

(1) Purg. Cant. XVII, v. 71-72.
(2) Purg. Cant., XVIII, v. 76-77.
(3) Purg. Cant. XXVII, v. 90-99.

(4) S. Basilio così descrive l'Eden biblico: Locum praelustrem, et spectatu disgnissimum, et qui, ob situs celsitudinem, nulla tenebrescit caligine; quippe quem exorientium siderum splendor illuminat, et undique suo lumine circumfundit. (Homil. De Parad. Terreste).

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