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Come, distinta da minori e maggi

Lumi, (1) biancheggia tra' poli del mondo.
Galassia sì, che fa dubbiar ben saggi;

Si costellati facean nel profondo

Marte quei raggi il venerabil segno,

Che fan giuntare di quadranti in tondo (2).

Il pennello di Dante - chiosa il Biagioli – dipinge a lunghi e vigorosi tratti, sì che vince ogni vista minore. Gli splendori per entro quelle luminose liste, gli estremi delle quali con gli opposti di quel cielo si confinano, non si possono se non per esempio comprendere, e lo trova il Poeta in quella biancheggiante fascia, che dall'artico all'antartico polo si distende, di maggiori e minori Stelle costellata, la quale via lattea da noi s'appella, con greco vocabolo Galassia e dal vulgo la Via di S. Jacopo ». Le opinioni scentifiche dell'età del Poeta sono così indicate: « Li Pittagorici dissero che il Sole alcuna fiata errò nella sua via (3); e passando per altre parti non convenienti al suo fervore, arse il luogo per lo quale passò, e

de questo vocabolo d'origine latina « da rubeus, o, per dir meglio, da robeus, come si può vedere da un'antica iscrizione riferita dal Vossio nell'etimologia della voce ruber, e appresso lo Scaligero nelle note Varrone; perchè i Latini usarono in alcune voci l'u e l'o indifferentemente... » L'Anonimo, di Marte: Per la vicinitade che ha col Sole, e' trae qualitade ignea ferventissima, onde accende gli uomini ad ira e zuffa.

(1) Più innanzi :

I minori e grandi

Di questa vita miran nello speglio,

In che, prima che pensi, il pensier pandi.

(Parad., Cant. XV, v. 61-63).

Splendidissimo candore inter flammis circulum ducens, quem vos orbem lacleum nuncupatis.

(2) Parad. Cant. XIV, v. 94-102.

(3) « Quidam ex iis, quos Pythagoreos vocitant, viam esse hanc aiunt. Alii cuiusdem astri de caelo lapsi, iuxta caeli couflagrationem, quam sub Phaetonte ferunt accidisse. Alii Solis, qui per hunc circulum aliquando ferri

rimasevi quell' apparenza dell'arsura. Credo che si mossero dalla favola di Fetonte, la quale narra Ovidio nel principio del (1) secondo di Metamorfoseos (2). Altri dissero (siccome fu Anassagora e Democrito) che ciò era lume di Sole ripercosso in quella parte (3). E queste opinioni con ragioni dimostrative riprovarono (4). Quello che Aristotile si dicesse non si può bene sapere di ciò; perchè la sua sentenza non si trova, cotale nell'una traslazione, come nell'altra (5).

dicunt. Hunc igitur locum veluti combustum, aut quampiam aliam id genus affectionem passum esse ab eorum latione volunt. (Aristot. Meteorologicorum. Lib. I. Cap. VIII. - Francisco Vatablo interpetre).

(1) Alcani testi semplicemente: nel Principio di Metamorfoseos. La correzione però non ha d'uopo di prove, dacche è nel principio del secondo libro delle Metamorfosi che Ovidio parla di Fetonte, e non già assolutamente nel principio di quel Poema.

(2)

Est via sublimis, coelo manifesta sereno :
Lactea nomen habet: candore notabilis ipso.
Hac iter est Superis ad Magni tecta Tonantis.

(Ov. Met. Lib. II. Mat. I).

(3)

Anaxagoras vero atque Democritus, lac esse quorundam siderum lumen asserunt: Solem enim dum sub terra fertur ex stellis quasdam non aspicere etc. ». Lungamente si estende Aristotile a confutare Anassagora e Democrito, e poi soggiunge: « Est autem praeterea de lacte tertia quaedam opinio. Quidam enim lac ipsum perinde atque crinitum sidus, esse refractionem nostri aspectus ad Solem dicunt: sed et hoc fieri nequit ». (ARIST. Luog. cit.) Sembra esservi una lacuna in questo passo, perchè sl attribuisce a Anassagora e Democrito, per quanto sembra, la terza opinione riferita da Aristotile, quando questi loro attribuisce la seconda, ascrivendo la terza ad altri Filosofi da lui non nominati. È da osservarsi che anche questa terza opinione differisce da quella recata da Dante, ma di poco, e forse per difetto delle versioni da lui consultate, che egli pure sospetta difettose.

(4) Riprovarono, cioè provarono di nuovo, riconfermarono.

(5) Il Perticari : « Di qui è chiarissimo Dante non aver conosciuto la lingua greca; perchè altrimenti non confesserebbe la sua ignoranza su parere di Aristotile, per la discrepanza delle traslazioni ■.

E credo che fosse l'errore dei traslatori (1); chè nella nuova par dicere che ciò sia un ragunamento di vapori sotto le Stelle di quella parte, che sempre traggono quelli; e questa non pare avere ragione vera. Nella vecchia dice che la Galassia non è altro, che moltitudine di Stelle fisse in quella parte, tanto piccole, che distinguere di quaggiù non lo potemo ; ma di loro apparisce quello albòre, il quale noi chiamiamo Galassia. E puote essere che il cielo in quella parte è più spesso, e però ritiene e ripresenta quello lume; e questa opinione pare avere, con Aristotile, Avicenna e Tolomeo

(2).

Il telescopio ha rivelato ai moderni che quella zona di nubi luminose, la quale attraversa la volta celeste da una plaga dell'orizzonte alla plaga opposta, è composta di un numero stragrande di piccole Stelle, tanto vicine le une alle altre, da produrre nell'occhio la sensazione di una massa continua di luce. Di tale gigantesco anello sidereo di mondi, nel quale pare che il Sole occupi una posizione quasi centrale, alcune Stelle sono disseminate con minor frequenza al di fuori, nell'interno e da ambo i lati. Le dimensioni di questo sistema sono certamente grandissime, sebbene non sia ancora pos

(1) Patet igitur ex hisce, lacteum circulum neque meantium ullius viam, neque Stellarum, quae non videntur, iubar, neque refractionem esse. Haec autem sola fere sunt, quae ad hoc usque aevi ab aliis tradita sunt. Nos vero, resumpto quod subiecimus principio, dicamus. Dictum enim est prius, extremam aëris particulam vim ignis habere, ut aëre motus opera discreto, constitutio secernatur eiusmodi, qualem crinita item sidera esse dicimus. Operae precium autem est intelligamus, tale quippiam fieri qued in illis, cum ipsa talis secretio haudquaquam per se, sed sub aliqua Stella, aut caelo affixa, aut errante fuerit facta. Tum enim eiusmodi cometae cernuntur, propterea quod Stellarum lationem sequatur, perinde atque Solem talis secretio, in qua per refractionem apparere coronam dicimus, ubi forte fortuna fuerit ita temperatus aër. Quod autem circa unam Stellam contingit, id circa totum caelum superamque lationem universam fieri accipiamus oportet, Nam si unius Stellae motus succendere queat, non etiam fuerit absurdum cunctarum lationem tale quid committere, ac ignem excitare: praesertim in qua caeli parte densissimae et plurimae et maximae sunt Stellae. (ARIST. Luog. cit.).

(2) Convito. Trat. II, Cap. XV.

sibile esprimerle in numeri, neppure approssimatamente; nè si può dire se questo sistema formi da sè tutto l'universo visibile, oppure se esistano altri sistemi della stessa specie in regioni più lontane dello spazio.

Le congetture moderne sono non meno arbitrarie adunque di quel che fossero all'età di Dante, la quale lo vide dubbiar nel prendere per assentato il giudizio aristotelico.

Il fenomeno della Via Lattea non deve però distrarre il nostro sguardo dalla forte Stella (1), quale è vagheggiata dal Poeta; dal pianeta di Marte, che, come a Can Grande, spira valore; più o meno però, secondo la disposizione di colui che ne è impresso, così:

Che mirabili fien l'opere sue (2).

Questo fuoco (3), va a rinfiammarsi nella costellazione del Leone; concetto che l'Alighieri ha, si può dire, ba poco prima rappresentato con isplendore e calore, mediante una similitudine, usata però ad indicare la luce maggiore di cui sfavilla, al suo apparire, l'anima di Cacciaguida :

(1) Parad. Cant. XVII, v. 77. Vedi anche Purg. Cant. II, v. 14. (2) Parad. Cant. XVII, v. 78.

(3) Ecco il testo:

Al suo Leon cinquecento cinquanta

E trenta frate venne questo fuoco
A rinfiammarsi sotto la sua pianta.

(Parad. Cant. XVI, v. 37-39).

Ed ecco il commento del Biagioli: «Gli antichi testi leggono trenta fiate, e così legge colla Nidob. il Lombardi, così io nel codice Stuardiano, e istessamente in quello che si dice del Boccaccio. Ma gli Accademici della Crusca, nella correzione che fecero della D. C., sostituirono tre a trenta, indotti a ciò da questa postilla, licet reperiatur scriptum corruple triginta vicibus ubi debet dicere tribus vicibus, che leggesi nel comento di Pietro, figliuolo di Dante, che smentisce chiaro quel detto di Orazio: fortes creantur fortibus ecc.; perciocchè più piccino era il figlio appetto al padre, che un punto comparato coll'universo.... Nacque Cacciaguida intorno al 1147; altri dice al 1091; altri al 1106. Certo è che l'ipotesi più favorevole, per chi legge

Come s'avviva allo spirar de' venti.

Carbone in fiamma, così vidi quella

Luce risplendere a' miei blandimenti (1).

tre, in luogo di trenta. è quella del 1091; e nondimeno nel 1091 si contavano veramente 580 rivoluzioni di Marte. Adunque il tre non può starvi in niun conto, e gli s'ha a sostituir trenta, a voler rappresentar il giusto corso di questo pianeta.

La falsa lezione del tre è stata senza dubbio intrusa nel testo a cagione dell'erroneo calcolo di due anni, appunto per una rivoluzione di Marte. Nel qual supposto, ponendo la nascita di Cacciaguida nel 1106, trovasi giusto il tempo di 553 rivoluzioni del pianeta, ed è forzå supporre che Dante stesso abbia fatto questo sbaglio solenne, cosa del tutto incredibile, ovvero che non abbia avuto riguardo alcuno a una rigorosa esattezza, ch'è pur fuori d'ogni ragione in sì fatta materia. In luogo di due anni, o sia di giorni 730 e mezzo, non ispende Marte nella rivoluzion sua se non 587 giorni, che fa un divario di 43 giorni e mezzo per ogni rivoluzione, il quale divario, ripetuto 553 volte, nel corso di 1106 anni, rileva 24,055 giorni, il qual numero diviso per 687, tempo della rivoluzione della Stella, forma 36 rivoluzioni da aggiungersi alle 553. Risultano adunqne 588 rivoluzioni in 1106 anni, come s'è veduto di sopra 580 in 1091. Sicchè chi legge tre, invece di trenta assegna giusto due anni alla rivoluzione di Marte e vi ha un eccesso d'un sedicesimo ». Il Poletto dice semplicemente che: « Era nato in Firenze il 1107 ». Dizionario Dantesco ecc. Vol. I, pag. 192.

tip. all' ins. S. Bernardino, 1885.

Siena. Stab.

(1) Parad. Cant. XVI, v. 28-30. Dice il Venturi: «Se l'accurata diligenza nel descrivere le cose acquistò ad Omero il nome di primo pittore delle antiche memorie, Virgilio, che meno vivacemente le ritrasse, seppe con la sua anima casta meglio informarle di affetti gentili. Or Dante, unendo ai vivi colori del greco l'alta ispirazione del romano poeta, ambedue li superò, non tanto nella osservazione intima dell' umano pensiero, frutto in parte della nuova civiltà, quanto in quel fino senso dell'arte, che delle cose notate gli fa cogliere con rapidità ed efficacia mirabile la più spiccata apparenza, onde viene la principal bellezza delle sue similitudini. In queste, tratte dal fuoco, veduta prima la natura di esso, secondochè insegnava la dottrina dei tempi, troveremo descritte e la tenue favilla, e la fiaccola che guizza, è la fiamma che divampa, e il calore affocato degli arroventati metalli. Nuove, per lo più, le immagini, e tutte in loro varietà appropriate

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