Sayfadaki görseller
PDF
ePub

I' venni in luogo d'ogni luce muto (1).'

E più innanzi, accennando a Virgilio:

Costui per la profonda

Notte menato m'ha de' veri morti,

Con questa vera carne che 'l seconda (2).

Nell' Inferno, come nella muda del Conte della Gherardesca, se penetra un poco di raggio è per far scorgere la morte, e destare più terribile il bisogno della luce nel regno della oscurità eterna. In vanitate sensu tenebris obscurati. Ond' è che Armannino, giudice di Bologna, esule dalla patria, amico di Bosone da Gubbio, ammiratore

fu poi di sangue bruno (XIII, v. 34). Nere cagne (XIII, v. 125). E'l fummo del ruscel di sopra aduggia (XV, v. 2). Surger nuovo fummo dal sabbione (XV, v. 117), Luoghi bui (XV1, v. 82). Aer grosso e scuro (XVI, v. 130). Vidi spenta ogni veduta (XVII, v. 14-15). Pietra di color ferrigno (XVIH, v. 2). Sasso tetro (XVIII, v. 34). Lo fondo è cupo (XVIII, v. 109). Pietra lívida di fori (XIX, v. 14). Selva fonda (XX, v. 128). L'altra fossa di Malebolge era mirabilmente oscura (XXI, v. 6). E vidi dietro un diavol nero (XXI, v. 29). Aura fosca (XXIII, v. 78). Angeli neri (XXIII, v. 131). L'oscurità impendiva di andare al fondo (XXIV, v. 71). Luoghi bui (XXIV, v. 141). Tutti i cerchi dell'Inferno oscuri (XXV, v. 13). Un demonio era: Livido e nero come gran di pepe (XXV, v. 84). Una montagna bruna (XXVI, v. 134), Mondo cieco (XXVII. v. 25). Neri Cherubini (XXVII, v. 114). Oscura valle (XXIX, v. 65). Le tenebre impediscono al poeta di veder lontano (XXXI, v. 23). Aura grossa • scura (XXXI, v. 37). Pozzo scuro (XXXII, 1. 16).

(1) Inf. V, v. 28.

Questo epiteto muto lo ritroviamo nel Manzoni :

A rapini al muto inferno,

Vecchi padri, Egli è disceso.

(V. La Resurrezione. Str. VI).

E in un inno ambrosiano: « Dallo speco infernale trasse libera allo splendor della vita l'eletta schiera dei padri ».

(2) Purg. XXIII, v. 121-123.

[ocr errors]

di Dante, nella Fiorita, opera scritta nel MCCCXXV, ispirandosi all' idea del Poeta, nel descrivere l'entrata dell' Inferno, dice trovarsi una scurezza che altrimenti fatta non parea se non come quella che la luna dimostra la notte, andando per un'oscura selva (1). Per tutto lo Inferno non ebbero altra luce, per infino che giunsero al passo del Leteo.

La nebbia d'Inferno è inesorabilmente opaca e folta (2), le fiamme vi si nascondono senza distruggerla, quasi direi che esse servono a dimostrarne l' inesorabile spessore. « L'inferno altra luce non ha che tetra di fiamme » (4). Quivi un'occulta potenza di calore e di luce rende più spaventevole la cecità di coloro che rinunciarono al lume dell' intelligenza (4). È una sinistra aurora quella delle fiamme infernali.

Depluet super impios prunas ardentes,
Ignem et sulphur et ventum turbinum :

hoc iis poculum exhauriendum est.

L'occhio del senso è chiuso, ma l' ira di Dio accende fra quelle tenebre un orribile bagliore.

Nam agitur dies ultionis Iehovae;

Annus poenarum sane darum Sionis vindici :

Et vertentur torrentes eius in picem,

Et pulvis eius in sulphur;

Et terra eius in ardentem picem redigetur:
Noctes diesque inextinta ardebit;

(1) Aen., VI, v. 270.

(2) Inf. IX, v. 6.

(3) P. G. Giozza. Iddio e Satana nel Poema di Dante. - Studî critici. Pag. 86.

Palermo. Tip. Editrice Giannone.

(4. Bione presso Laerzio (Lib. IV, e simboleggiando l'anima nell'occhio, disse che gli uomini vanno all' Inferno con gli occhi chiusi, dopo avere perduto cioè il lume della mente.

Fumus eius in aeternum ascendet:

In perpetuas aetates iacebit deserta;

Per infinita saecula nemo eam peragrabit (1).

Quanta rovina di tenebra fra qnegli orrori di distruzione!

Dies ille sit aligo:

Non spectet illum Deus,

Nec illucescat ei Aurora.

Reposcant illum sibi tenebrae et umbra mortis,
Habitet super illo nubes (2).

Non è che con tale scorta che noi possiamo intendere Dante. Dice il Tommaseo: «La sentenza evangelica del fuoco eterno (3) il Damasceno dichiara così: fuoco non materiale; ma quale Dio sa (4). E la Somma: Il fuoco è massimamente afflittivo per ciò che abonda in virtù attiva; e però col nome fuoco significasi ogni azione che sia veemente (5). Gregorio: Uno è il fuoco della Geenna (6), ma non in modo cruciali i peccatori; che ciascuno, quanto chiede sua colpa tanto sentirà della pena (7). E ancora la Somma: Siccome l'uomo allonta

(1) Isai. XXXIV, 8, 9, 10.

(2) Job. III, 4. 5.

(3) Matth. XXV, 41.

(4) Dam. De ort. fid.; Ang. Gen.; Lib. XII. Forse così interpretavano quel di Giobbe: Devorabit cum ignis qui non succenditur (XX, 26).

(5) Sup. 97.

(6) La Geenna era una valle alle falde del Sion, ove gli Ebrei al tempo del Re sacrificavano i loro figli a Moloch. Il re Giosia distrusse l'idolo e gli altari di Moloch, e a mettere in orrore il luogo e le abbominazioni che qui si commettevano vi fece gettare le immondizie della città, e i cadaveri de' giustiziati. Per distruggere poi le materie infette, ordinò vi si mettesse continuamente il fuoco acceso. Per questo fuoco sempre ardente in quella valle abbominevole, divenne simbolo delle pene dell' inferno (Cap. X, 8).

(7) Dial. IV. Inf. XII. - ......Si svelle Del sangue più, che sua colpa sortille (Inf. IX). E i monimenti son più e men caldi.

nandosi dall'Uno per il peccato, pose il proprio fine nelle cose materiali che sono molte e diverse, così in molteplici modi e da molte cose saranno afflitti. In Dante dunque i bestemmiatori, i sodomiti, gli usurai son puniti di fuoco, perchè fulmini piovvero sul disprezzatore di Dio, Lucifero, e fulminato fu Capaneo bestemmiatore sotto le mura di Tebe; cadde fuoco sopra Gomorra; e l'usura da' vecchi canoni è punita con fuoco. E un antico: Come fuoco che si distende è l'usura.

« I violenti in Dio sono supini per ricevere tutta senza riparo la fiamma, e forzati a riguardare in alto la potenza che offesero, immobili, quasi da lei contiuuo fulminati: i violenti nella natura, correndo, per dinotare l' inquietezza delle ignobili voglie, ma nel corso schermendosi alquanto dall' incendio cadente: i violenti nel prossimo per usura, che offendono insieme Dio e la natura e l'arte delle quali due creature di Dio abusano a inerzia spietata, che se ne stanno rannicchiati in sè, per significare la grettezza dell'avaro usuraio; ma appunto col porgere meno spazio alla fiamma e coll'aiuto delle mani per pure far prova di rinfrescarsi, hanno tormento men duro de' bestemmiatori di Dio. E stanno più basso degli altri perchè l'usura è cosa vile, e più confinante alla frode punita nelle bolgie di sotto; laddove la bestemmia ha più del violento, e però è men lontana dalla sanguinosa selva de' suicidi» (1).

Quanta originalità nella distribuzione stessa del fuoco, cosi come è stata intesa da Dante; che non soggiacque al pazzo farneticare della fantasia popolare e poetica del medioevo! (2). La scienza

(1) N. Tommaseo. Commedia di Dante Allighieri. Inf. Cant. XVII, pag. 191. - Milano. G. Reina, 1854.

[blocks in formation]

(2) In qualche manoscritto, e fra gli altri in un codice della Biblioteca Richelieu, l'inferno è rappresentato dall'immensa gola d'un mostro, che, appunto perchè invisibile, ingigantisce nella fantasia morbosa del Medio Evo; e al di fuori di essa sta a guardia un demonio armato di tridente. Questa gola è piena di piccole figure accoccolate dietro i lucidi denti orridamente maestosi, come le diroccate colonne d'un tempio a Giove fulminare; ma quegli infelici, invece di manifestare contorsioni e strazio a quei tormenti,

di Dio è misura dell'arte nel poema immortale. Il Goethe ne rimane vinto di gran lunga. S'apre a Mefistofele la spaventosa bocca dell' Inferno:

sono immobili e senza una speciale espressione, o meglio coll'atto di anime sicure della propria salute, fidenti, calme: la speranza fa sopportar loro severamente gli spasimi della penitenza. Se non che nel fondo s'agita un color rossastro di fiamme, nelle quali sono dai demoni avidamente gettati coi roncilioni, i peccatori. È questo il simbolo del gran mostro invisibile, il male che inghiotte e deturpa gli uomini, cui i sensi fanno velo agli occhi, che più non veggono, agli orecchi che più non sentono la voce della coscienza.

Alcuni passi della Bibbia, di Geremia e dell' Apocalisse, persuasero qualche interprete della necessità di attribuire ai reprobi supplizi, in cónformità alle turpi passioni che li hanno depravati sulla terra. Dante fu sommo nella applicazione di questa legge del contrappasso; e il Boauvais, osservando una tal quale rassomiglianza, fra il modo di operare di alcuni uomini l'istinto bestiale di alcuni bruti, immaginò, per così dire, una posizione raffigurativa, popolò in modo sì strano e variato il suo inferno. (Vincent de Beauvais. Biblioteca mundi: De inferno, De Revelationibus. M. Lecointre-Dupout commenta quell'opera nel Mem. des antiq. de l'Ouest, X, 456). I demoni vi sono neri come carboni: i loro occhi lanciano fuochi ardenti, tetri e fuggenti come lampi; i loro denti sono più bianchi della neve; muniti d'una coda simile a quella dello scorpione e di unghie uncinate e acute quali di gheppi e di poane a cui somiglianza hanno l'all.

L'Inferno è designato soventi nella Scrittura come una fornace ardente di fuoco e di solfo « stagnum ignis ardentis sulfure ». (Apoc., XIX, 20). Davide e Isaia sono espliciti su questi caratteri del fuoco infernale, che la scienza patristica ha inteso nello stesso significato Isaia, XXX, 11, 4, XXXIV, 9 seg. e il cap. XI, v. 6 della II epistola di S. Pietro). L'iconografia medioevale ba trovato modo da questo principio esegetico pe. dipingere Satana e i suoi seguaci in color bleu, che si riverbera tetramente sui dannati: Pluet super peccatores laqueos; ignis et sulfur, et spiritus procellarum pars calicis corum. (Davide. Salmo X, 7). A Sainte-Marie-des-Chases, nell' Alvernia v'ha on celebre fresco del tredicesimo secolo rappresentante in grandi proporzioni il giudizio finale. Fra l'altre figure ricorderò un diavolo dal becco d' uccello, dagli unghiuti piedi, col corpo a scaglie di fiamme, dalla coda forcuta, dall'occhio ardente, che trascina legati in una fune, le anime dannate. Altri

« ÖncekiDevam »