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Per ch' io divenni tal, quando lo 'ntesi

Quale è colui che nella fossa è messo.

In su le man commesse mi protesi,

Guardando 'l fuoco, e immaginando forte

Umani corpi già veduti accesi (1).

L'orrore lo invade: egli è presente a una sorte inesorabile, e la impressione è tale che con spaventevole evidenza rammenta la scena degli sventurati condannati ad essere arsi e che miseramente finirono sul rogo. Si direbbe che con quest'ultima terzina, che è una delle più belle del poema, egli voglia dipingerci l'angoscia della sua fantasia nel rappresentarsi il supplizio del rogo al quale Cante de' Gabrielli Podestà di Firenze, lo aveva condannato con altri quattordici concittadini (2). Epperò le Scorte ne lo confortano :

(1) Purg. XXVII, v. 14-18.

(2) Come è noto la sentenza è del 10 marzo 1302, e nell'ultimo termine suona così: Ex vigore nostri arbitrj et omni modo et Jure quibus melius possumus ut siquis predictorum ullo tempore in fortiam dicti communis pervenerint talis perveniens igne (sic) comburatur sic quod moriatur in hiis scriptis sententialiter condempnamus. L'originale della sentenza esiste nell'Archivio di Stato di Firenze e il testo fu pubblicato per la prima volta dal Tiraboschi nella Nota 2 a pag. 386 del Tom. V della Storia della Letteratura Italiana (Modena, 1778) ed io possego un esemplare donatami dal Chiarissimo Archivista Giuseppe Porro di una fotolitografia da lui copiata sensa abbreviature con lezione incontestabilmente superiore alla tiraboschiana. Esso mi fa scrivere: « Una litografia, o fotolitografia, della sentenza « 10 Marzo 1302 » pronunziata contro Dante Alighieri, ed esistente originale nell'Archivio di Stato in Firenze, fu tratta dall'originale stesso, per quanto è a me noto, a cura dell'editore B. Galdini nell'anno 1865, avendola questi allora unita ad un suo sfarzoso Album figurato che pubblicò in occasione delle feste pel Centenario del divino Poeta celebratesi in quella città. Posteriormente poi placque al detto editore di invitar me ad eseguire - come feci - una Copia fedele senza abbreviature, ed una versione italiano (a cui credetti bene aggiungere qualche nota) di quella Sentenza medesima, e precisamente affine di poter ripresentare al pubblico come infatti ripresentò la sua litografia sotto dirò così una nuova veste, in Milano alla Mostra Tipografica dell'anno 1879 ».

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Figliuol mio,

Qui puote esser tormento, ma non morte (1).

Nella qual frase vediamo in modo eloquente e brevissimo determinata la natura del fuoco santo di purgazione: natura che egli specifica tosto vie maggiormente :

Credi per certo che, se dentro all' alvo (2)
Di questa fiamma stessi ben mill' anni,
Non ti potrebbe far d'un capel calvo.

E se tu credi forse ch' io t'inganni,

Fatti vêr lei, e fatti far credenza

Con le tue mani al lembo de' tuoi panni (3).

Tali assicurazioni e l'avere Virgilio ricordato a Dante essere Beatrice al di là di quel muro, vincono in lui ogni peritanza, sì che, preceduto da Virgilio e seguito da Stazio, senz'altro si avanza.

Come fui dentro, in un bogliente vetro.

Gittato mi sarei per rinfrescarmi;

Tanto er' ivi l'incendio senza metro (4).

Il che corrisponde a quanto dice Agostino: Il fuoco del Purgatorio sarà più duro di quanto in questo secolo possa mai uomo sentire

(1) Purg. XXVII, v. 20-21.

(2) ALVO. In centre.... ignis ardebit. (Ecclis, XL, 32). Ventris inferi (LI, 7). Del cuor dell'una delle luci (Par. VII, v. 28). Mentis utero. (Greg. Mor. XXXI, 13). Ma il Tommaseo dice: Forse s'ha a intendere alveo come fiume, in cui scorra la fiamma, quella fiumana di fuoco.

(3) Purg. XXVII, v. 25-30.

(A, Purg. XXVII, v. 49-51.

Se ne ricordò l'Ariosto là dove, di una

spiaggia ardentissima, disse: In modo l'aria e l'arena ne bolle, Che saria troppo a far liquido il vetro (VIII, 20).

o vedere o immaginare di pena (1,. Ma, uscito da quell'atroce tormento, Dante è rinnovellato e Virgilio così gli parla:

Il temporal fuoco e l'eterno

Veduto hai, figlio; e se' venuto in parte,

Ov' io per me più oltre non discerno.
Tratto t'ho qui con ingegno e con arte;

Lo tuo piacere omai prendi per duce;

Fuor se' dell'erte vie, fuor se' dell' arte (2).

La scienza umana non può penetrare il segreto del divino fuoco d'amore (3), che allieta gli angelici e i benefici fuochi (4): la scienza divina addusse il genio dell' Alighieri a passare incolume fra i celesti ardori, innalzandosi di cielo in cielo meravigliosamente sublime nella frase, nell'immagine, nel concetto morale poetico e teologico. Esclama il Monti: «Discendere per un' immensa spirale al centro degli abissi di là spiccare il volo per salire al Santuario dei Cieli: innalzarsi dalla estrema miseria alla suprema gloria: misurare la doppia strada infinita de' vizi e delle virtù: porre in moto tutti i mezzi delle ire di Dio nella punizione dei peccatori, e quelli della sua bontà nella mercede dei giusti: abbracciare il tempo e l'eternità dipingere con sicuro pennello il demonio, l'angelo, l'uomo, i Santi, il Santo de'Santi, quale ardito disegno! Qual vigore di fantasia per immaginarlo! Qual pienezza di sapere e di ingegno per eseguirlo!» (5).

Ma, più che asserire, conviene indagare da presso di quale luce e di quale ardore illuminasse Dante il soglio infinito di Dio e Dio stesso.

(1) La minima pena del Purgatorio eccede la massima pena di questa vita. - Ambulate in lumine ignis vestri, et in flammis quas succendistis, (Isai, L. II). (2) Purg. XXVII, 127-152.

(3) Purg. VI, v. 38.

(4) Par. IX, 77; XVIII, 108; XX, 34; XXII, v. 46; XXIV, v. 31; XXV, v. 37 e 121.

(5) Vincenzo Monti. Lezioni su Dante.

*

Non solamente il Vangelo, ma anche Platone, di cui Cicerone non era che interprete, dice che il bene è padre della luce: e però la casa di Dio è oceano di raggi e di splendori, fra i quali il genio di Dante cammina riposato e sicuro senza mai smarrire la mèta, anzi attingendo sempre maggiore la potenza della visione e dell' ispirazione mistica. Il Poeta non si scosta un istante dal concetto patristico. Si direbbe aver egli conosciuto un antico inno della liturgia il gallica, cantato nei secondi vespri della dedicazione della chiesa, quale spira la poesia fatidica del profeta di Padmos (1).

Urbs beata, vera pacis

Visio, Jarusalem,

Quanta surgit! Celsa saxis

Conditur viventibus;

Quae polivit, haec coaptat

Sedibus suis Deus.

Singulis ex margaritis

Singulae portae nitent;

Murus omnis fulget auro,

Fulget unionibus ;

Angularis Petra Christus

Fundat urbis moenia.

È l'Agnello immolato che diviene il Sole di questa novella patria, che sfavilla tra i nimbi degli Angeli e degli Eletti, che innalzano il triplice Hosanna :

(1) Apoc. XXI, 25, 26, 27. Le sue porte non saranno chiuse ogni giorno, poichè là non ci sarà notte. Il vostro trono sarà come un sole alla mia presenza ed egli sarà stabilito come una luna sempre fedele nella sua testimoniansa.

Ejus est Sol caesus Agnus,
Ejus est templum Deus;
Aemulantes hic Beati

Puriores Spiritus,

Laude jngi Numen unum

Terque Sanctum concinunt.

Il Paradiso di Dante è dimora di luce purissima, dove è più ardenté l'Amore, quanto è più vivo lo splendore che avvicina le anime a Dio. Le nove sfere dei cieli, e gli spiriti, che Dante incontra, non hanno più un corpo, neppure quello etereo del Purgatorio; non si presentano più come uomini riconoscibili, devono essi dichiarare chi furono. Sono lumi che si distinguono tra loro per chiarezza e intensità; e tanto è maggiore la grazia, tanto è più estesa la loro conoscenza; che è amore di luce e luce di amore. Dice Beatrice al Poeta :

La bellezza mia, che per le scale
Dell'eterno palazzo più s'accende
(Com' hai veduto) quanto più si sale,

Se non si temperasse, tanto splende,
Che 'l tuo mortal potere al suo fulgore
Sarebbe fronda che tuono scoscende (1).

Epperò ci è dato rappresentare in modo assai evidente La SCALA MISTICA DEL PARADISO DANTESCO, che ho tracciato nella qui unita TAV. II; per la quale vediamo la progressione dei meriti e della beatitudine tanto più grande quanto maggiore è l'attività delle sfere e l'influenza della gerarchia ehe le muovono.

Ed ora vediamo, se non basti quello che fin qui abbiamo esaminato del fenomeno luminoso e del relativo valore simbolico religioso, se davvero il Gaspary, che ha pur tanta ragione di merito nello studio della nostra letteratura, abbia avuto ragione di pronun

(1) Parad. C. XXI, v. 7-12

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