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il Poeta si è alzato con Beatrice dal quinto Cielo di Marte al sesto Cielo di Giove, che:

Pareva argento lì d'oro distinto (1).

Quivi vede il Poeta più di mille spiriti beati, che movendo rapidissimi si atteggiano a comporre l'Aquila, simbolo della giustizia delI' Impero :

Come nel percuoter de' ciocchi arsi
Surgono innumerabili faville,
Onde gli stolti sogliono augurarsi,
Risurger parver quindi più di mille
Luci, e salir quali assai e qua' poco,

Sì come 'l Sol, che l' accende, sortille.

E, quietata ciascuna in suo loco,

La testa e 'l collo d' un' aquila vidi

Rappresentare a quel distinto foco (2).

L'immagine è poderosa per estensione e per efficacia di contrapposizione, sebbene l' Alighieri avesse già in modo appunto tanto diverso, ricorso a lei per descrivere alcune anime beate che in un batter d'occhio, dice:

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Quasi velocissime faville,

Mi si velâr di subita distanza (3).

Le anime raccolte nel segno dell'Aquila, affisandosi tutte nella divina giustizia, ne prendono lume che è luce di verità e fuoco d'amore; tanto che:

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Ond' è che più innanzi per indicare lo splendore dell'eterna verità che irradia, per celeste grazia, nelle anime del solo uomo giusto, Dante esclama :

Lume non è, se non vien dal Sereno

Che non si turba mai; anzi è tenebra,

Od ombra della carne, o suo veneno (1).

Quivi gli spiriti sono lucenti incendi (2) di ineffabile bellezza.

Però che tutte quelle vive luci,

Vie più lucendo, cominciaron canti

Da mia memoria labili e caduci.
O dolce Amor, che di riso t' ammanti,

Quanto parevi ardente in quei favilli
Ch' aveano spirto sol di pensier Santi!
Poscia che i cari e lucidi lapilli,

Ond' io vidi ingemmato il sesto lume,
Poser silenzio agli angelici squilli,

Udir mi parve un mormorar di fiume,

Che scenda chiaro giù di pietra in pietra,
Mostrando l'ubertà del suo cacume (3).

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E in tutto questo canto l'idea della luce si impersona, vorrei dire, in quella d'una soavissima armonia di canti e di colori, onde ardono, scintillano e splendono quei Fuochi (1) di caldo Amore (2):

Di vero Amor (3).

Aocese in tal fuoco

Nel salire dal sesto cielo, di Giove, al settimo di Saturno, Beatrice, come abbiamo già veduto (4), sebbene si astenga dal sorridere, pure si va facendo sempre più luminosa, onde potrebbe, per eccesso di splendore, abbagliare la vista di Dante. Essa invita il Poeta a rimuovere gli occhi suoi da lei per fissarli, senz'altro, nel nuovo pianeta; dove splende la gran scala d'oro (5).

A' piedi di essa la sacra Lucerna (6) Damiano definisce diffusamente al Poeta in che consista la luce che rallegra le anime dei beati :

Chè più e tanto amor quinci su ferve,

Sì come il fiammeggiar ti manifesta (7).

Ond'è che lo spirito di San Damiano, a Dante che gli chiede come mai sia stato prescelto da Dio a favellargli, si mostra più ardente. Epperò :

(1) Parad. Cant. XX, v. 34.

(2) Parad. Cant. XX, v. 95.

(3) Parad. Cant. XX, v. 115-116.

(4) Vedi pag. 161 di questo Saggio di Studi. - Piero Magistretti. Viso e sorriso di Beatrice. Ragionamento critico. Pag. 37.

di Giuseppe Prato, 1887.

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Milano. Tip. Bortolotti

(5) Parad. Cant. XXI, v. 28-41. - Brano citato e commentato a pag.

297-299 di questo Saggio di Studî.

(6) Parad. Cant. XXI, V. 73.

(7) Parad. Cant. XXI, v. 68-69.

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Del suo mezzo fece il lume centro,

Girando sè come veloce mola.

Poi rispose l' Amor che v'era dentro:

Luce divina sovra me s' appunta,
Penetrando per questa, in ch' io m'inventro.

La cui virtù col mio veder congiunta

Mi leva sovra me tanto, ch' io veggio
La somma essenzia, della quale è munta.
Quinci vien l'allegrezza, ond'io fiammeggio;

Perchè alla vista mia, quant'ella è chiara,
La chiarità della fiamma pareggio (1).

Chiosa il De Gubernatis: Dio stesso è penetrato in S. Damiano, con la divina luce, per modo che, facendosi superiore a sè stesso, per quella luce che viene in soccorso alla potenza contemplativa, egli può penetrare, alla sua volta, l'essenza di Dio; e, per quella visione di Dio, l'anima si allegra e ne fiammeggia tutta (2). Ma poi che il santo ebbe finite le divine parole:

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Poscia, poggiando più in alto, l'Alighieri vide:

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É quivi arde tanta carità (1), e riluce lanta grazia (2) che fa degli

spiriti altrettanti fuochi:

..... Accesi di quel caldo

Che fa nascere i fiori e i frutti santi (3).

A quei benefici raggi di contemplazione e di amore il Poeta sente dilatata la sua fidanza così:

Come 'l Sol fa la rosa, quando aperta

Tanto divien quant' ell' ha di possanza (4).

Gli occhi di Beatrice, verso mezzogiorno, sono fisi incontro a una luce lontana che s'avanza, la luce di Cristo trionfale, accompagnato dalla milizia santa del cielo.

Come l'augello, intra l'amate fronde,

Posato al nido de' suoi dolci nati
La notte che le cose ci nasconde,
Che, per veder gli aspetti desiati,

E per trovar lo cibo onde gli pasca,
In che i gravi labor gli sono grati,
Previene 'l tempo in su l' aperta frasca,
E con ardente affetto il Sole aspetta,
Fiso guardando, pur che l'alba nasca;
Così la Donna mia si stava eretta

Ed attenta, rivolta invêr la plaga
Sotto la quale il Sol mostra men fretta:
Sì che, veggendola io sospesa e vaga,
Fècimi quale è quei che disïando
Altro vorria, e sperando s'appaga (5).

(1) Parad. Cant. XXII, v. 32.

(2) Parad. Cant. XXII, v. 43.
(3) Parad. Cant. XXII, v. 47-48.
(4) Parad. Cant. XXII, v. 56-37.
(5) Parad. Cant. XXIII, v. 1-15.

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