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HARVARD COLLEGE

JUN 25 1888

LIBRARY

O abbondante grazia, ond'io presunsi
Ficcar lo viso per la luce elerna
Tanto, che la veduta vi consunsi!

Paradiso Cant. XXXIII, v. 82-84.

PREFAZIONE

Il fuoco e la luce, da taluni giudicati mero ornamento nella teodia di Dante, e dai commentatori considerati troppo frazionatamente e senza coordinazione, costituiscono per sè soli una parte essenziale del Poema; parte che mi sono proposto di esaminare sotto i molteplici aspetti, per risalire poi alla sintesi. Questa mi persuase, e spero convincerà anche il lettore, che, ove si sottraessero alla Divina Commedia la luce e il calore, essa ne morrebbe, per così dire, come l'albero cui fossero tolti tali elementi che l'aria gli trasmette.

L'organismo della poesia dell'Alighieri, nelle tre cantiche, vive per essi; e, non escluso l'inferno di questo ne accerta la analisi rigorosa e progressiva della parola e della frase lo studio di esso organismo ci farà sceverare nettamente l'idea, dalla manifestazione poetica, il concetto vagheggiato dal genio, dalle immagini che l'hanno rappresentato e quasi reso sensibile. Ma, più che scrutare il mistero dell'arte che ha descritta la luce della Terra e del Cielo, conviene meditare la virtù etica ed estetica che l'ha ispirata e fatta manifesta. Un raggio solo di lei sarebbe un incendio e Dante, salito di

fuoco in fuoco, di splendore in splendore, fino a Dio, Lume

di Lume eterno, esclama :

O somma luce che tanto ti levi

Da' concetti mortali, alla mia mente
Ripresta un poco di quel che parevi;
E fa la lingna mia tanto possente,

Ch'una favilla sol della tua Gloria
Possa lasciare alla futura gente.

Non è qui forse la enunciazione, per dirla con frase moderna, di tutto un programma?

Accennarono, in modo più o meno esplicito, a questo argomento Vito Fornari, Luigi Venturi, Giacomo Poletto, Giambattista Zoppi; la via era indicata, se non intieramente determinata; l'avrò io tutta percorsa? Perchè se ne possa giudicare, ecco la traccia di questo Saggio di Studi.

Dimostrato da prima il valore simbolico che Dante attribuisce alla luce, così che la luce anch'essa è parola e la parola è luce, la quale albeggia fino dai primi versi col lume di Dio; enumerate, a mo' di esempio, le espressioni improntate tutte a un'idea mistica quale scaturisce dall' uno e dall'altro Testamento, fatte alcune distinzioni di vocaboli velati di un'apparente sinonimia, viene posta in evidenza la tradizione che anima l'idea del fuoco, splendore e calore, pena, purgazione e gloria delle fiamme celesti, secondo la dottrina ebraica e patristica perfettamente conosciute da Dante. Egli ha animata la scienza astronomica di Tolomeo e degli Arabi, non meno di quel che abbia fatta sua la induzione astrologica, la quale tuttavia sottopose a una influenza più razionale, che avvicina la umanità a Dio. La luce siderea mistica è motrice delle sfere per le quali penetra e risplende: epperò la sottrazione di essa è la condanna più grave del baratro infernale, dove la

tenebra è simbolo insieme e gastigo della cecità delle anime. Ma fin qui l'indagine non rivela nettamente nè l'ordine che si propone, nè l'estensione che le parti prendono in rapporto al duplice concetto di splendore e di calore. Più che determinala, è ideata in tutta la sua ampiezza l'idea luminosa dantesca; a penetrare la quale stimai opportuna la trattazione dei seguenti punti caratteristici.

Esame del sistema astronomico tolemaico e dei motori astrologici e mistici; in coordinazione questo sistema col concelto scientifico scolastico, e in confronto della ispirazione poetica pagana e della scritturale. Interpretazione del simbolo sidereo, così come emana dalla tradizione classica in genérale e dalla medievale in ispecie. Il Sole nella meccanica delle tre cantiche; specialmente considerato quale fonte di figure, di immagini, di simboli.

Scaturisce da tutto ciò la originalità della intuizione di Dante, che ha creato una nuova astrologia nel Medio Evo.

L'amore dell'Alighieri ha divinato una nuova luce nel cielo la luce di Beatrice; la quale è luce ai mortali, della luce stessa del cielo, sibbene è creata, e come tale non è lume, ma splendore del Lume di Dio, da cui deriva e nel quale si confonde nell'ardore della verità e della carità.

Il Sole, lume del cammino attraverso i tre regni, è misura del tempo impiegato nel mistico viaggio.

La Luna, luce della notte, induce Dante in errore allorchè giudica della rarità del suo corpo, ma gli è guida sicura ad attraversare la selva fonda. Egli ne descrive le fasi; e i pallidi raggi che essa diffonde gettano sulle visioni mestissimi raggi di tradizioni e lunghe ombre, le quali popolano di fantasime la scena dell'affanno eterno.

Le Stelle, bellezze eterne del firmamento, sollevano la meditazione dalla terra al cielo, e in quegli infiniti splendori

si rifrange la fantasia, la mente, l'anima di Dante. Natura ed arte, ragione e fede, umanità e divinità animano l'azzurro spazio e i labi stessi della luce del Paradiso. Quivi si intende come il genio dell'Alighieri, nel silenzio di una placidissima notte, dimentico dei suoi fratelli nemici, polesse trovare riposo nell'estasi di un amore soavissimo. L'ira si tacque nell'anima fiera dell'esule, che si beò nella patria dove la pace è promessa più profonda e soave di quegli infiniti tripudî di luce che adornano la notte serena.

Aurore, tramonti, meteore, raggi e colori si avvicendano sempre nuovi e meravigliosi, per evidenza di immagine, di intento filosofico e poetico.

Il Fuoco della tradizione giudaica è più specialmente ricordato nella prima cantica, e qui lo definisce il Poeta nella sua essenza e negli effetti: come fenomeni della combustione o dell'irridazione calorica, oppure come fulmini sprigionantisi dalle rotte nubi. Ma il fuoco d'inferno è invisibile e non frange le tenebre del baratro di dannazione. Nella seconda cantica invece ha colore di vita e splendore di redenzione. In paradiso la luce e l'ardore sono gioia eterna di gloria e di amore. L'ultima parte è la sintesi del concetto dantesco relativo alla luce giacchè la terza cantica, che descrive la sede eterna di Dio, padre d'ogni luce, lume di felicità e di gloria, è il Regno Santo degli splendori e degli ardori. Metafore e simboli, al foco della carità e verità divina, si fondono ad esprimere un'idea teologica, la quale potrà essere messa in discussione da chi non vive di Fede, ma della quale il Poeta si è fatto gradino per veder fondo all'universo e per salire alla contemplazione dell'Eterna Verità.

Testimonianza della religiosa scrupolosità con la quale mi sono attenuto alla significazione del testo, almeno per non far dire all' Autore quel che non ha detto, l'abbia poi

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