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Perchè lo spirto che di pria parlómi,
Ricominciò: tu vuoi ch' io mi deduca
Nel fare a te ciò che tu far non vuómi.
Ma da che Dio in te vuol che traluca
Tanta sua grazia, non ti sarò scarso.
Però sappi ch' io son Guido del Duca.
Fu'l sangue mio d' invidia sì riarso
Che se veduto avessi uom farsi lieto,
Visto m' avresti di livore sparso.

Di mia semenza cotal paglia mieto.
O gente umana, perchè poni 'l core
La 'v'è mestier di consorto divieto?

Questi è Rinier, quest' è 'l pregio e l'onore
Della casa da Calboli, ove nullo
Fatto s'è reda poi del suo valore.

E non pur lo suo sangue è fatto brullo
Tra 'l Po e 'l monte e la marina e 'l Reno
Del ben richiesto al vero e al trastullo;

Chè dentro a questi termini è ripieno
Di venenosi sterpi, sì che tardi
Per coltivare omai verrebber meno.

Ov'è 'l buon Lizio, e Arrigo Manardi,

RIARSO. Albertano: L' invidia, colui che la porta con seco, Invidiae facibus.

arde. S. Gregor.:

29. MIETO. Prov., XXII: Qui seminat iniquitatem, metet mala. Psalm. CXXV: Qui seminant in lacrymis, in exultatione metent. Gal. (VI, 8): Quae ... seminaverit homo, haec et metet. Eccl. VII: Non semines mala in sulcis injustitiae, et non metes ea in septuplum. CONSORTO. La fruizione de' beni mondani sminuisce s'è divisa in compagnia, e se non vuolsi divisa, conviene a tutti vietarne il possesso. Ecco in questo verso mostrata la necessità ch'è alla tirannide del sistema de'divieti e de' privilegii, e la bruttezza di questo sistema. V. il c. seg. Luc., I: Nulla fides regni sociis, omnisque potestas Impatiens consortis erit. Conv. (1. IV): La paritade neʼviziosi è cagione d'invidia,e invidia è cagione di mal giudicio.

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RINIER. Da Forlì, avolo di Fulcieri. Di lui il Novellino, XL.

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BRULLO. Nudo (Inf., XXXIV, 20). — Po. Romagna confinata dal Po, dal Reno, dall' Adriatico e dall' Apennino. -TRASTULLO. Petr.: Vidi Virgilio ; e parmi intorno avesse Compagni d'alto ingegno e da trastullo.

STERPI. Rammenta la selva selvaggia.

33. LIZIO. Da Valbona, lodato dal Bocc. (V, 4) per cavaliere assai da bene. L'Ott.: Cavaliere cortese, per fare un desinare in Forlì, mezza la coltre del zendado vende sessanta fiorini. Annunziatogli che un suo tristo figliuolo era morto, rispose: già lo sapevo; ditemi ch'egli è sepolto. MANARDI. Di Brettino

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Pier Traversaro e Guido di Carpigna?
O Romagnuoli tornati in bastardi!

Quando in Bologna un Fabbro si ralligna,
Quando 'n Faenza un Bernardin di Fosco,
Verga gentil di picciola gramigna?

Non ti maravigliar s' io piango, Tosco,
Quando rimembro con Guido da Prata
Ugolin d' Azzo che vivette nosco,

Federigo Tignoso e sua brigata,
La casa Traversara e gli Anastagi
E l'una gente e l'altra è diretata;
Le donne e i cavalier, gli affanni e gli agi
Che ne 'nvogliava amore e cortesia
Là dove i cor son fatti sì malvagi.
O Brettinoro chè non fuggi via
Poichè gita se n'è la tua famiglia

...

ro o di Faenza, cavaliere pieno di cortesia volentieri mise tavola, donò robe e cavalli, pregiò li valentuomini, e sua vita tutta fu data a larghezza ed a bello vivere (l'Ott.). Morto Guido del Duca, quegli che parla, Arrigo fece tagliare a pezzi la panca dove soleva sedere con lui, perch'altri non vi sedesse: che diceva non potere trovare uomo d'ugual probità. - PIER. Di Ravenna: sposò una sua figlia a Stefano re d'Ungheria: fu di Ravenna cacciato da que' di Polenta. Uomo splendido. GUIDO DI CARP. Di Montefeltro, vissuto verso la metà del XIII secolo, cortese e ghibellino; famiglia posseditrice di castella feudalmente obbligate all' imperio. Amò per amore, dice l'Ott., un Guido di Carpigna genero d'Uguccione, nel 1308 capitano del popolo fiorentino. Non doveva come guelfo essere molto amato da Dante: quindi forse la esclamazione contro i tornati in bastardi.

FABBRO. De' Lambertazzi: che acquistò quasi assoluta potenza in Bologna. BERNARDIN. Lavoratore di terra in Faenza, acquistò tale autorità, che gli antichi uomini lo visitavano per vedere le sue onorevolezze e udír di sua bocca leggiadri motti.

PRATA. Castello tra Faenza e Forlì. Guido fu uom liberale. UGOLIN. Degli Ubaldini, famiglia toscana, nobile e cortigiana. Ambedue di basso luogo nati, pur per virtù si nobilitarono, e furon parte delle pubbliche cose.

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TIGNOSO. Di Montefeltro: dice Pietro, di Rimini. L'Ott.: Sua vita fu in Brettinoro (come Guido di Carpigna): il più fuggì la città quanto potette, siccome nemica de' gentili uomini ; e quando in lei stette, la sua tavola fu corte bandita. TRAVERSARA. Di Ravenna. ANASTAGI. Illustri Ravennati congiunti di parentado a que' di Polenta. Ott. : Per loro cortesia erano molto amati da gentili e dal popolo, quelli da Polenta, occupatori della repubblica, come sospetti o buoni, li cacciarono fuori di Faenza. DIRETATA. L'usa il Vill. (VIII, 64).

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BRETTINORO. Patria di Guido. Ora esclama contro le castella. FUGGI. Rammenta quel dell'Inf.: Muovasi la Capraia. FAMIGLIA. Dall'esilio dispersa.

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E molta gente per non esser ria?
Ben fa Bagnacaval che non rifiglia;
E mal fa Castrocaro, e peggio Conio,
Che di figliar tai conti più s' impiglia.

Ben faranno i Pagan quando 'l demonio
Lor sen girà; ma non però che puro
Giammai rimanga d' essi testimonio.

O Ugolin de' Fantolin, sicuro

È il nome tuo da che più non s' aspetta
Chi far lo possa tralignando oscuro.

Ma va via, Tosco, omai; ch' or mi diletta
Troppo di pianger più che di parlare:
Sì m'ha vostra ragion la mente stretta.
Noi sapavam che quell' anime care
Ci sentivano andar: però tacendo
Facevan noi del cammin confidare.
Poi fummo fatti soli procedendo,
Folgore parve quando l''aer fende,
Voce che giunse di contra dicendo:

Anciderammi qualunque m' apprende.

Ott.: Intr' all' altre laudabili costume de' nobili di Brettinoro era il convivere, e che non voleano che uomo vendereccio vi tenesse ostello; ma una colonna di pietra era in mezzo il castello, alla quale, come entrava dentro il forestiere, era menato, e ad una delle campanelle convenia mettere il cavallo e cappello; e come la fronte li dava, così era menato alla casa per lo gentile uomo, al quale era attribuita quella campanella, ed onorato secondo suo grado. La quale colonna e campanella furono trovate per torre materia di scandolo intr'alli detti gentili; che ciascuno prima correva a menarsi a casa il forestiere, siccome oggi quasi si fugge.

BAGNACAVAL. Parla dei Malabocca, ultimi della qual famiglia erano Lodovico e Caterina moglie a Guido signor di Ravenna ospite del P. Ma non di lei, de' maschi di quella casa intende la sentenza di Dantę. —RIFIGLIA. Sap. (III, 13): Maledicta creatura eorum: quoniam felix est sterilis,— Castrocaro ... Conio. Avevano i loro conti. Ott.: Tutti e tre furono abitazione di cortesia e d'onore. DEMONIO. Maghinardo Pagani signore d'Imola e di Faenza soprannominato il Diavolo: i figli erano men rei del padre (Inf., XXVII).

UGOLIN. Virtuoso Faentino.

RAGION. Ragionamento (c. XXII). Dice vostra, perch' e Dante e Rinieri diedero domandando occasione ai suoi dolorosi pensieri. ·STRETTA. Virg. (IX, 294): Atque animum patriae strinxit pietatis imago.

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Poi. Poichè. - FOLGORE. Qualiter expressum ventis per nubila fulmen Aeteris impulsi sonitu mundique fragore Emicuit, rupitque diem ... (Luc.). ANCIDERAMMI. Caino nella Gen. (IV, 14): Omnis..... qui invenerit me, occidet · APPRENDE. Per prende è nel Borghini e nel Bembo.

me.

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E fuggía come tuon che si dilegua
Se subito la nuvola scoscende.

Come da lei l'udir nostro ebbe tregua,
Ed ecco l'altra con sì gran fracasso
Che somigliò tonar che tosto segua:

Io sono Aglauro, che divenni sasso.
E allor per istringermi al poeta
Indietro feci e non innanzi 'l passo.
48. Già era l'aura d' ogni parte queta;
Ed ei mi disse: quel fu il duro camo
Che dovria l'uom tener dentro a sua meta.
Ma voi prendete l'esca sì che l'amo
Dell' antico avversario a sè vi tira;
E però poco val freno o richiamo.

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Chiamavi 'l cielo e 'ntorno vi si gira
Mostrandovi le sue bellezze eterne,
E l'occhio vostro pure a terra mira:
Onde vi batte Chi tutto discerne.

AGLAURO (Ov., Met. II ). Invidiò gli amori di Mercurio con Erse sorella sua. CAMO. Ps. In camo et fraeno maxillas eorum constringe, qui non approximant ad te. C. XIII (terz. 14): Lo fren vuol esser del contrario suono. Ar. (XXX, 71): Se di vergogna un duro fren non era. Monarch. (pag. 81): Has conclusiones humana cupiditas postergaret, nisi homines tamquam equi sua bestialitate vagantes, in camo et fraeno compescerentur in via. AMO. Eccl. (IX, 12): Sicut pisces capiuntur hamo ... sic capiuntur homines in tempore malo. RICHIAMO. Alla virtù: freno al vizio. L'uso de' beni terreni fa cupidi ed invidi.

MIRA. IS. (XL, 26): Levate in excelsum oculos vestros, et videte, quis creavit haec: qui educit in numero militiam eorum. Petr. (Ep.): Extensam habet Deus dexteram suam ad largienda spiritualia. Sed non est qui aspiciat. Omnes enim ad sinistram respiciunt, ut temporalia recipiant. S. Aug. : Belluas Deus prostratas fecit in facie, pastum quaerentes de terra: te homo in duos pedes erexit, tuam faciem sursum ascendere voluit. Non discordet cor tuum a facie tua. S. Paul.: Quae sursum sunt, sapite. Tasso: Nẻ miri il ciel che a se ne invita e chiama. Petr. (c. 39): Or ti solleva a più beata speme Mirando il ciel che ti si volve intorno Immortal ed adorno. Boet.: Respicite coeli spatium, et aliquando desinite vilia mirari. Ovid.: Os homini sublime dedit coelumque tueri Jussit. Arist. (De part. an.): Solus animalium omnium erectus est homo, quoniam ejus natura atque substantia divina est.

TUTTO. Boet.: Judicis cuncta cernentis.

CANTO XV.

ARGOMENTO.

Il sole piega all'occaso: trovano l' Angelo, salgono men ardua salita, perchè più l'uomo s'avanza nel bene, e men fatica egli dura. Sono nel girone dell' ira; e, andando, Virg. spiega, come il bene vero cioè lo spirituale, da più goduto, più contenta ciascuno. Discussione lucidissima, e falta poetica dall' amore ... Il P. in visione contempla esempi di mansuetudine e misericordia: le dolci parole da Maria dette al figlio smarrito nel tempio; la risposta di Pisistrato incitato a punire chi aveva baciata sua figlia; la preghiera di santo Stefano pe' suoi uccisori: un esempio profano in mezzo a due sacri, e tutte le visioni son poesia viva. Entrano nel fumo ch'è pena agli ardori dell' ira.

Nota le terzine 1, 3, 5, 6; la 10 alla 13; la 17, 19, 23, 24, 25; la 28 alla 31; la 36, 37, 39, 40, 41, 43, 44 con l' ultime tre.

I.

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Quanto,

uanto, tra l' ultimar dell' ora terza
El principio del dì, par della spera
Che sempre a guisa di fanciullo scherza,
Tanto pareva già invêr la sera

Essere al sol del suo corso rimaso
Vespero là, e qui mezza notte era.

2.

QUANTO. Quanto tratto della sfera celeste corre tra l'ora terza compiuta e il nascer del sole, cioè quarantacinque gradi (poichè 'l sole corre quindici gradi per ora), tanto rimaneva in Purgatorio a percorrere al sole. SCHERZA. Il rag

gio del sole sempre tremola: che degli altri pianeti non è. Virg.: Tremulum

lumen.

VESPERO. A vespero, mancano tre ore a sera. In Italia in quel punto era mezzanotte, a Gerusalemme tre ore del mattino. Qui mostra il P. di credere che l'Italia fosse occidentale a Gerusalemme gradi quarantacinque, ed è venticinque. Ma Dante co'geografi de' suoi tempi pone tra l'Ibero, fiume della Spagna (canto XXVII), e Gerusalemme, gradi novanta : e da questo errore procede che, essendo veramente l'Italia in mezzo tra Palestina e la Spagna, e' doveva porre tra Italia e Palestina gradi quarantacinque.

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