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CANTO XIX.

ARGOMENTO.

I tre vizii carnali, avarizia, gola, lussuria, vengono più dagli esterni allettamenti, che dall' interna málizia, dalla qual vengon piuttosto la superbia, l'invidia, e quell'ira che mena al delitto. Però son più in alto, men lontani dal Cielo: appunto come in Inferno sono più in alto, men lontani da Lucifero o dal centro dell'orrido regno. La superbia, l'invidia, l'ira amano il male altrui: l'accidia non cura il bene altrui ned il proprio. L'avarizia, la gola, la lussuria cerca il falso ben proprio. Ecco perchè l'accidia stia quasi passaggio tra gli uni e gli altri: e corrisponde ai dannati che vissero senza infamia e senza lode. Tra gli avari il P. rincontra un papa: vedrà poscia un re.

Nota le terzine 3 alla 6; la 9, 10, 11, 13, 14, 16, 17, 20, 21, 22, 24, 25, 26, 35, 36, 39, 40, 42, 43, 45, 48.

I.

2.

I.

2.

Nell' ora che non può 'l calor diurno

Intiepidar più 'l freddo della luna
Vinto da Terra e talor da Saturno;

Quando i geomanti lor maggior fortuna
Veggiono in oriente innanzi all'alba
Surger per via che poco le sta bruna.

ORA. Ultima della notte, che ogni calore del di precedente è finito. TERRA. Naturalmente fredda. Bocc., V: Il caldo del di esser vinto dalla freschezza della notte. Dice da Terra, trattandolo come pianeta al modo che dicesi da Giove, da Venere. SATURNO. Pianeta frigido, dice Pietro: ben s'addice al giro degli avari in cui entrano. Ott.: Questa aurora si è quella del terzo dì, che l'A. slette nel Purgatorio.

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GEOMANTI. Divinavano per figure disegnate sulla terra, e chiamavano fortuna major quella disposizione di sei stelle che vedesi nella fine dell' Aquario e nel principio de' Pesci. Qui vuol dire ch' essendo il sole in Ariete, eran già sull'orizzonte alzati tutto Aquario, e parte de' Pesci, i quali segni precedon l' Ariete, e vengono poco innanzi il nascer del sole. Vengono dunque per via che poco sta bruna, perchè sarà illuminata dal giorno vicino. In tale ora disse già al c. IX che la mente ... Alle sue vision quasi è divina.

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II.

Mi venne in sogno una femmina balba,
Con gli occhi guerci e sovra i piè distorta,
Con le man monche, e di colore scialba.
Io la mirava: e come 'l sol conforta
Le fredde membra che la notte aggrava,
Così lo sguardo mio le facea scorta

La lingua, e poscia tutta la drizzava
In poco d' ora; e lo smarrito volto,
Come amor vuol, così le colorava.

Poi ch' ell' avea il parlar così disciolto,
Cominciava a cantar sì che con pena
Da lei avrei mio intento rivolto.

Io son, cantava, io son dolce sirena
Che i marinari in mezzo 'l mar dismago:
Tanto son di piacere a sentir piena.

Io trassi Ulisse del suo cammin vago
Al canto mio. E qual meco s'ausa,
Rado sen parte, sì tutto l' appago.

Ancor non era sua bocca richiusa
Quando una donna apparve santa, e presta,
Lunghesso me, per far colei confusa.
O Virgilio, Virgilio, chi è questa?
Fieramente dicea: ed ei veniva

Con gli occhi fitti pure in quella onesta.
L'altra prendeva, e dinanzi l' apriva

BALBA. Simbolo de' tre vizii: balba, la gola; guerci, la lussuria; monche, l'avarizia. — SCIALBA. Cresc. (1. X): Scialbare di smalto. Da exalbare. Proverb., VII: Et ecce occurrit illi mulier ornatu meretricio, praeparata ad capiendas animas: garrula, et vaga, Quietis impatiens.

MIRAVA. L'uomo col guardare i beni terreni, se li fa parer belli, di vili che sono. SCORTA. Agile. M. Vill. (VIII, 28): Masnadieri scorti e destri. AMOR. Petr.: Il pallor di viola e d'amor tinto.

...

INTENTO. Attenzione. C. III: La mente Lo 'ntento rallargò. DOLCE. Boet. Abite... o seirenes, usque in exitium dulces. (Inferno, XXV).

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ULISSE. Ma Ulisse, dice la favola, si schermì da quel canto. Altri vuole che la Sirena a bello studio dica menzogna: altri che per sirena s' intenda anco Circe che lo sottrasse alla gloria (Inf., XXVI, 31). VAGO. Non sai se intenda: Ulisse vago del suo cammino: o: trassi Ulisse dal suo vagante cammino. Io prescelil secondo.

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DONNA. L'intellettuale virtù, dice Pietro; la ragione, l' Ottimo.

II. APRIVA. Ezech., XVI: Nudabo ignominiam tuam coram eis, et videbunt

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Fendendo i drappi, e mostravami 'l ventre;
Quel mi svegliò col puzzo che n'usciva.

Io volsi gli occhi; e 'l buon Virgilio: almen tre
Voci t'ho messe, dicea: surgi e vieni.
Troviam l'aperto per lo qual tu entre.
Su mi levai: e tutti eran già pieni
Dell' alto dì i giron del sacro monte;
E andavam col sol novo alle reni.

Seguendo lui portava la mia fronte
Come colui che l'ha di pensier carca
Che fa di sè un mezzo arco di ponte
Quand' io udi': venite, qui si varca,
Parlare in modo soave e benigno,
Qual non si sente in questa mortal marca.
Con l' ale aperte, che parén di cigno,
Volseci in su colui che si parlonne
Tra i due pareti del duro macigno.
Mosse le penne poi e ventilonne,
Qui lugent affermando esser beati,
Ch' avran di consolar l'anime donne.
Che hai che pure invêr la terra guati?
La guida mia incominciò a dirmi,
Poco amendue dall' angel sormontati.

Ed io: con tanta sospension fa irmi
Novella vision ch' a sè mi piega

...

omnem turpitudinem tuam, Boet.: Si ... Lynceis oculis homines uterentur nonne introspectis visceribus... pulcerrimum corpus, turpissimum videretur? USCIVA. Di loro (dei lussuriosi) esce una orribile puzza che corrompe il sito d'ogni lato e l'occhio turba. Armannino. Virgilio prende la sudicia, e a Dante la mostra: basta a ciò la ragione. L'effetto conosciuto del male sveglia l'umana coscienza.

PIENI. Par., IX: Al sol che la riempie. RENI. Proseguivano da levante a ponente: se dunque il sol cadente ieri fu loro dinanzi (XV, 3), il nascente dietro. MARCA. Nel XXVI, chiama marche le regioni de' purganti. Ott.: Paese fra termini scritti.

VOLSECI. Tenendole verso la scala.

VENTILONNE. Come nel XVII, 23. Così gli cancella un P dalla fronte. LUGENT. Matth., V: Quoniam ipsi consolabuntur. E Luc., VI. CONSOLAR. Nelle Rime: E d'ogni consolar l'animo spoglia, L'accidia non è solo inerzia; è non curanza del bene: poichè per essa l'anima non piange del mal proprio ad altrui, nè di cosa alcuna mai prende cura. Accidia è cura appunto dolo. rosa. Nel XII: Beati pauperés, nel XV, misericordes, nel XVII, pacifici.

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Sì ch' io non posso dal pensier partirmi.
Vedesti, disse, quella antica strega
Che sola sovra noi omai si piagne?
Vedesti come l' uom da lei si slega?

Bastiti e batti a terra le calcagne.
Gli occhi rivolgi al logoro che gira
Lo rege eterno con le rote magne:

Quale il falcon che prima a' piè si mira,
Indi si volge al grido, e si protende
Per lo disio del pasto che là il tira;

Tal mi fec' io: e tal, quanto si fende
La roccia per dar via a chi va suso,
N' andai infino ove 'l cerchiar si prende.
Com' io nel quinto giro fui dichiuso,
Vidi gente per esso che piangea
Giacendo a terra tutta vôlta in giuso.

Adhaesit pavimento anima mea:
Sentia dir lor con sì alti sospiri
Che la parola appena s' intendea.
O eletti di Dio, li cui soffriri
E giustizia e speranza fa men duri,
Drizzate noi verso gli alti saliri.

Se voi venite dal giacer sicuri,
E volete trovar la via più tosto,
Le vostre destre sien sempre di furi.

STREGA. La concupiscenza de' beni terreni. E' la personifica nella Sirena : e nella V. Nuova dimostra lecito a' poeti personificare le cose inanimate e gli affetti. Antica la chiama: e antica lupa dirà l'avarizia nel XX. SOLA. In lei tutti i tre vizii: lussuria, avarizia, gola.

BATTI. Va franco.

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LOGORO (Inf., XVII). Purg., XIV, 50: Chiamavi 'l cielo, e'ntorno vi si gira Mostrandovi le sue bellezze eterne, E l'occhio vostro pure a terra mira.

PIÈ. Atto d'animale che s' apparecchi a correre impetuoso.

23. TAL. C. XII: Dritto, Si come andar vuolsi, rifémi, Con la persona. CERCHIAR. Ove non si sale, ma si va in tondo lungo il monte.

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DICHIUSO. Inf., XXX: 'L porco quando del porcil si schiude. ADHAESIT (Psalm. CXVIII). Segue: Vivifica me secundum verbum tuum. SOFFRIRI. Come gli abbracciari del Bocc. e idiri nelle Rime di Dante. Petr.: I vostri dipartir. L'idea del fallo commesso ci fa men dura la pena che veggiam giusta; e men dura la fa la speranza.

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SICURI. Virg., X: Securus amorum.
Per fuori; l'o e l'u si scambiano nell'antica lingua. Vui, allura, e simili.

FURI. Abbiate il monte a man manca

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Così pregò 'l poeta, e sì risposto
Poco dinanzi a noi ne fu: perch' io
Nel parlare avvisai l'altro nascosto.

E volsi gli occhi agli occhi al signor mio;
Ond' egli m' assentì con lieto cenno
Ciò che chiedea la vista del disio.

Poi ch' io potei di me fare a mio senno,
Trassimi sovra quella creatura
Le cui parole pria notar mi fenno,

Dicendo: spirto, in cui pianger matura
Quel senza 'l quale a Dio tornar non puossi,
Sosta un poco per me tua maggior cura.
Chi fosti, e perchè vôlti avete i dossi
Al su, mi di'; e se vuoi ch' i' t' impetri
Cosa di là ond' io vivendo mossi.

Ed egli a me: perchè i nostri diretri
Rivolga 'l cielo a sè, saprai: ma prima
Scias quod ego fui successor Petri.

Intra Siestri e Chiaveri s'adima
Una fiumana bella; e del suo nome
Lo titol del mio sangue fa sua cima.

Un mese e poco più prova' io come
Pesa 'l gran manto a chi dal fango 'l guarda,
Che piuma sembran tutte l' altre some.
La mia conversione, omè! fu tarda:
Ma come fatto fui roman pastore
Così scopersi la vita bugiarda.

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NASCOSTO. Dalle sue parole comprese che l'essere Dante ancor vivo era all'anima nascosto; poichè quella lo credeva un'altr' anima destinata a più alto tormento.

NOTAR. Assoluto. Così diciamo nota bene, senz'altro.

CURA. Del Cielo.

FIUMANA. Il Lavagno.

SCIAS. Questo latino sta qui per la rima; e non isconviene a pontefice. SIESTRI. Sestri e Chiavari, nel Genovesato a levante. ADIMA. L'usa il Frezzi (IV, 17). · TITOL. Adriano V, Ottobuono de' Fieschi, papa nel 1276, già ben vecchio, trentanove giorni vissutoci. CIMA. SOprannome aggiunto al nome di Fieschi.

PESA. Hieron.: Non est facile stare in loco Petri et papalem tenere cathedram regnantium cum Christo. Nam non sanctorum filii qui tenent locum sanctorum, sed qui sanctorum exercent operationem.

Tomo II.

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