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Fosser le nozze orrevoli ed intere,
Ch' alla sua bocca, ch' or per voi risponde.
E le Romane antiche per lor bere
Contente furon d'acqua: e Danïello
Dispregiò cibo e acquistò savere.
50. Lo secol primo, quant' oro, fu bello:
Fe savorose con fame le ghiande,
E néttare con sete ogni ruscello.

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Mele e locuste furon le vivande
Che nudriro 'l Battista nel diserto;
Perch' egli è glorioso e tanto grande
Quanto per l'Evangelio v' è aperto.

ONDE. Non acciocchè, ma di che. trice a Dio.

INTERE. Compiute. RISPONDE. Media

ROMANE. Val. Mas. (II, 1): Romanis feminis usus vini fuit ignotus, ne in aliquod dedecus prolaberentur. Dice antiche perchè poi s'avvezzarono. CONTENTE. OV.: Contentique cibis. - DANÏELLO. Dan., I, pascevasi di legumi nella casa del re. - SAVERE. Dan., I: Pueris... his dedit Deus scientiam, et disciplinam in omni libro, et sapientiam; Danieli... intelligentiam omnium vi

sionum.

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...

PRIMO. Ov. (Met.): Contentique cibis,nullo cogente creatis. ORO. Aurea quae perhibent... fuere Saecula. GHIANDE. Facili solebant Jejunia solvere glande. Boet.: Somnos dabat herba salubres, Potum quoque lubricus amnis. V. Virg. (Georg., I). — NÉTTARE. Ov.: Flumina jam lactis, jam flumina nectaris ibant.

LOCUSTE. Marc., I: Locustas et mel silvestre edebat. GRANDE. Matth. (XI, 11): Non surrexit inter nalos mulierum major J. Baptista. Si paragoni il XXII dell' Inferno col XXII del Purgatorio e col XXII del Paradiso; e si noti differenza mirabile di stile, di modi, d' imagini, di concetti, d'affetti. E così facciasi degli altri canti, se piace.

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Rincontra anime dimagrate di fame, che penano alla vista d'un albero con belle frutta, annaffiato da un'acqua pura. Riconosce Forese, che parla della sua moglie buona, e vitupera i fiorentini costumi. La pittura delle anime, bella; e l'incontro di Forese, poetico. Ovunque egli parla de' conoscenti suoi, quivi la poesia gli sgorga dal cuore più viva: Brunetto, Guido, Casella, Buonconte, Forese, Nino. Il tocco contro le donne di Firenze, i'non credo ferisca la moglie di Dante. Essere soletta in ben fare, non suona già che foss' unica. Anzi codesta poteva essere preghiera alla moglie, pregasse anch'ella pel P. allorchè sarà morto. Virg. in questo colloquio non parla; siccome nè al Capeto nè al papa.

Nota le terzine 1, 4, 6, 7, 8, 10, 11, 12, 14, 15, 16, 18, 19, 25, 29, 30, 31, 34, 36, 38, 39, 40.

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Mentre che gli occhi per la fronda verde

Ficcava ïo così, come far suole

Chi dietro all' uccellin sua vita perde,

Lo più che padre mi dicea: figliole,
Vienne oramai, chè 'l tempo che c'è posto,
Più utilmente compartir si vuole.

Io volsi 'l viso e 'l passo non men tosto,
Appresso a' savii che parlavan sie

Che l'andar mi facén di nullo costo.

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Ïo. Dissillabo: come altrove.

PERDE. Ott. Che per ferirli li vanno ag

guatando tra foglie e foglie. Il verso dipinge col suono la tenuità di quel perditempo, e dimostra la severa anima del P.

2. Più. Non mai così dolce titolo: e a proposito di non perdere il tempo. FIGLIOLE. Si diceva anco in prosa, come domine. UTILMENTE. Sen.: La parola tua non sia vana, ma o consoli o ammaestri o comandi o ammoni

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sca.

COSTO. P. Syr.: Comes facundus in via pro vehiculo est. C. XXII: Ascoltava i lor sermoni Ch' a poetar mi davano intelletto.

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Ed ecco piangere e cantar s' udíe:
Labia mea, Domine, per modo
Tal che diletto e doglia parturie.

O dolce padre, che è quel ch'i' odo?
Comincia' io; ed egli: ombre che vanno
Forse di lor dover solvendo il nodo.

Sì come i peregrin pensosi fanno,
Giungendo per cammin gente non nota,
Che si volgono ad essa, e non ristanno;
Così, diretro a noi più tosto mota,
Venendo e trapassando, ci ammirava
D'anime turba tacita e devota.

Negli occhi era ciascuna oscura e cava,
Pallida nella faccia, e tanto scema
Che dall' ossa la pelle s' informava.

Non credo che così a buccia strema
Erisittón si fusse fatto secco

Per digiunar quando più n' ebbe tema.
Io dicea fra me stesso pensando: ecco
La gente che perdè Gerusalemme

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Do

4. LABIA. Psalm. L: Domine, labia mea aperies (tu, non la gola): et os meum annuntiabit laudem tuam. DILETTO. Del suono e della devozione. GLIA. Della mestizia. PARTURIE. Albertano: Parturisce peccato. NODO. C. XIV: Per fede mi ti lego.

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PENSOSI. Ott.: Per la forza della astinenza ... pensosi. Il digiuno rende l'animo attento alle sue cure, e la satollezza dà sopore alli membri. GIUNGENDO. Nota le similitudini di questo canto.

MOTA. L'usa altrove per mossa. TACITA. Or cantano, or tacciono; come nel XX, 40. Quante cose in tre versi!

CAVA. Pittura della fame. Ov. (Met.): Cava lumina : pallor in ore: Labra incana situ: scabrae rubigine fauces: Dura cutis, per quam spectari viscera possent. Ossa sub incurvis exstabant arida lumbis. Horat.: Ossa, pelle amicta, lurida. Il Monti, guastando al solito: A cui la pelle Informasi dall'ossa,e i lerci denti Fann' orribile siepe alle mascelle. Virg.: Vix ossibus haerent. Jerem. (Thr., IV) : Denigrata est super carbones facies eorum, et non sunt cogniti adhaesit cutis eorum ossibus: aurit, et facta est quasi lignum. Idem (Orat.): Pellis nostra, quasi clibanus exusta est a facie tempestatum famis.

...

ERISITTÓN. Per voracità mandatagli da Cerere dispregiata da lui, vendette la figlia: Erisichtonis ora profani Accipiunt ... Ipse suos artus lacero divellere morsu Coepit. TEMA. Quando il digiuno gli faceva più paura, cioè più lo sentiva: o quando più temeva la magrezza famelica.

Ecco. Tali erano per fame gli Ebrei (Joseph, VII, 15), quando la madre, qua

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Quando Maria nel figlio diè di becco.
Parén l'occhiaie anella senza gemme:
Chi nel viso degli uomini legge omo
Bene avria quivi conosciuto l'emme.

Chi crederebbe che l' odor d'un pomo
Si governasse generando brama,
E quel d' un' acqua, non sappiendo como?
Già era in ammirar che sì gli affama,
Per la cagione ancor non manifesta
Di lor magrezza e di lor trista squama.
Ed ecco del profondo della testa
Volse a me gli occhi un' ombra e guardò fiso,
Poi gridò forte: qual grazia m' è questa?
Mai non l'avrei riconosciuto al viso;
Ma nella voce sua mi fu palese

Ciò che l'aspetto in sè avea conquiso.
Questa favilla tutta mi raccese

Mia conoscenza alla cambiata labbia,
E ravvisai la faccia di Forese.

Deh non contendere all' asciutta scabbia
Che mi scolora, pregava, la pelle,

Nè a difetto di carne ch' io abbia;

si fiera, diè di becco nel figlio.

PERDE. Può avere due sensi: o ruinò, o vide in

mano al nemico. Il secondo è più semplice.

EMME. Strano; ma scolpisce.

POмO. Ar.: Più di quelli macro Che stan bramando il Purgatorio il pomo. Inf., XXX: Li ruscelletti ... Mi stanno innanzi... Che l'immagine lor........ m' asciuga. SAPPIENDO. I due gerundii, applicati a due oggetti diversi, non suonano bene; ma a tali minuzie non si ferma il P.

IN. Horat.: Nescio quid meditans nugarum; totus in illis.
QUAL. Brunetto, nell'Inf., XV: Qual maraviglia?
VOCE. Quanto affetto in codesto riconoscer la voce !

CONQUISO. Buti: Gua

sto. Disperse le antiche sembianze, e mutate in altre. Petr.: Nessun vi riconobbi: e se alcun v'era Di mia notizia, avea cangiato vista Per morte o per prigion crudele e fera. Poi: Le sue parole e 'l ragionar antico Scoperson quel che 'l viso mi celava.

RACCESE. Altrove dalla luce trae metafora a indicare la memoria e 'l pensiero. - FORESE. Fratello di Corso Donati, dunque affine e amico di Dante. CONTENDERE. Negare tal grazia. O intendere la mente. C. XVIII: Di giunger lui ciascun contende. Simil preghiera nel XVI dell' Inf. Buonarroti: E l'alte porte il ciel non gli contese. SCABBIA. Più sopra: Squama. La pelle dal digiuno increspa e irruvidisce. Ott.: Rognaccia, che 'l digiuno e necessità caccia fuori, come appare nelli pregioni.

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Ma dimmi 'l ver di te, e chi son quelle
Due anime che là ti fanno scorta?
Non rimaner che tu non mi favelle.

La faccia tua ch' io lagrimai già morta,
Mi dà di pianger mo non minor doglia,
Rispos' io lui, veggendola sì torta.

Però mi di', per Dio, che sì vi sfoglia:
Non mi far dir mentr' io mi maraviglio;
Che mal può dir chi è pien d'altra voglia.
Ed egli a me: dell' eterno consiglio
Cade virtù nell' acqua e nella pianta
Rimasa addietro, ond' io sì mi sottiglio.
Tutta esta gente che piangendo canta
Per seguitar la gola oltre misura,
In fame e in sete qui si rifà santa.

Di bere e di mangiar n' accende cura
L'odor ch' esce del pomo, e dello sprazzo
Che si distende su per la verdura.

E non pure una volta questo spazzo
Girando si rinfresca nostra pena.
Io dico pena, e dovrei dir sollazzo;

Chè quella voglia all' albero ci mena
Che menò Cristo lieto a dire Elì
Quando ne liberò con la sua vena.

Ed io a lui: Forese, da quel dì
Nel qual mutasti mondo a miglior vita

VER. L'aveva riconosciuto: ma chiede novelle del come sia egli qui. FACCIA. Inf., XV: M'accuora La... buona immagine paterna Di voi ; XVI: Non dispetto ma doglia, La vostra condizion dentro mi fisse.· TORTA. Par., XIII: Che furon come spade alle Scritture In render torti li diritti volti. SFOGLIA. Più sopra: Buccia strema. DIR. QUESTA ripetizione, perchè non cercata con arte, non dispiace. MARAVIGLIO. Petr.: Era sì pieno il cor di maraviglie Ch'io stava come l'uom che non può dire, E tace e guarda pur ch' altri 'l consiglie.

SOTTIGLIO. Ott.: La vista acuisce il desiderio, il desiderio dissecca le membra.

SPRAZZO. Job (XIV, 9): Odorem aquae.

SPAZZO. Inf., XIV: Lo spazzo era una rena ...

CRISTO. Siccome la ragione regolava in Cristo gli appetiti, così nell'anime

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ELi. Ev.: Eli Eli lamasabacthani. Soffriva, ma pativa
VENA. Di sangue.

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