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II.

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Vidi per fame a vôto usar li denti
Ubaldin dalla Pila, e Bonifazio
Che pasturò col rocco molte genti.

Vidi messer Marchese ch' ebbe spazio
Già di bere a Forlì con men secchezza,
E sì fu tal che non si sentì sazio.

Ma come fa chi guarda e poi fa prezza
Più d'un che d'altro, fe' io a quel da Lucca
Che più parea di me voler contezza.

Ei mormorava: e non so che Gentucca
Sentiva io là 'v' ei sentia la piaga
Della giustizia che sì gli pilucca.

O anima, diss' io, che par' sì vaga
Di parlar meco, fa sì ch' io t' intenda,
E te e me col tuo parlare appaga.

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Vôro. Ov. (Met.): Oraque vana movet, dentemque in dente fatigat; Exercetque cibo delusum guttur inani. Ar. (X, 15): Sonar fa spesso il dente asciutto. Virg.: Jam jamque tenet, similisque tenenti Increpuit malis, morsuque elusus inani est. · UBALDIN. Degli Ubaldini. La Pila, luogo nel Fiorentino. Fratello del cardinale cacciato in Inferno (c. X). Una medaglia di questo Ubaldino fu trovata tra le rovine di Monte Accianico, castello di quella famiglia, signora già del Mugello (Brocchi, Diss. del Mug., p. 53). BONIFAZIO. Arcivescovo di Ravenna: molti antichi lo fanno figliuolo del detto Ubaldino; altri genovese de' Fieschi, perchè vescovo ravennate fu dal 1272 al 94 un Bonifazio di Lavagna (Amadisius, Ant. Rav. chronotax., t. III, p. 57). —- Rocco. O rocchetto, cotta di prelati; ma qui secondo il Buk, rocco vale il pastorale de'vescovi; e il Post. Cass. dice che il pastorale dell' arcivescovo di Ravenna ha un pezzo in cima fatto a guisa del rocco degli scacchi, cioè della torre. E Benv. da Imola: Quum ceteri pastores habent virgam pastoralem retortam, sic (arch. ravennas) habet totam virgam rectam, et in summitate rotundam ad modum calculi sive rocchi; cioè come il bordone de'pellegrini. E dice che pasturò, cioè resse molte genti con la verga detta, accennando all'evangelico: Pa

sce oves meas.

I. MARCHESE. Nome di persona, e fu de' Rigogliosi cav. di Forlì, gran bevitore: dettogli dal cantiniere, che la città lo biasimava di sempre bere: e tu rispondi, soggiunse, ch'i' ho sempre sete.

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CONTEZZA. Per le Rime di Dante, note già vivo Bonagiunta. Ott.: Mostra l'affezione, che avea a Bonagiunta, più che agli altri, perocchè si dilettò in una medesima poesia vulgare.

GENTUCCA. La Pargoletta, nobile fanciulla, amata da Dante forse nel 1314. Tra le sue Rime abbiam questi versi: Chi guarderà giammai senza paura Negli occhi d'esta bella pargoletta? L'Ott. qui vede Alagia di cui nel XIX. PILUCCA. Piluccare è staccare dal grappolo granello a granello d' uva, finchè non rimanga che il nudo raspo.

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Femmina è nata, e non porta ancor benda,
Cominciò ei, che ti farà piacere

La mia città, come ch' uom la riprenda.
Tu te n' andrai con questo antivedere.
Se nel mio mormorar prendesti errore,
Dichiareranti ancor le cose vere.

Ma di' s' io veggio qui colui che fuore
Trasse le nuove rime, cominciando:
Donne ch' avete intelletto d'amore.

Ed io a lui: i' mi son un che quando
Amore spira, noto; e a quel modo
Che detta dentro, vo significando.

O frate, issa vegg' io, diss' egli, il nodo
Che 'l Notaio e Guittone e me ritenne
Di qua dal dolce stil nuovo ch'i' odo.
Io veggio ben come le vostre penne
Diretro al dittator sen vanno strette,
Che delle nostre certo non avvenne.

E qual più a gradire oltre si mette,
Non vede più dall' uno all' altro stilo.

BENDA. Le maritate e le vedove portavano bende. Uoм. Dante (Inf., XXI). O forse in generale la fama de' Lucchesi non era buona : e a gran torto, cred' io. NUOVE. Virg.: Pollio et ipse facit nova carmina. DONNE. Canzone recata nella V. Nuova. INTELLETTO. Eccl. (IV, 21): Intellectum justitiae. AMORE. Nella V. Nuova e'condanna coloro che rimano sopra altra materia che amorosa; conciossiachè cotal modo di parlare fosse dal principio trovato per dire d'amore. Mutò poi sentenza.· - MODO. Post. Caet.: Phylocaptus melius loquitur de amore, quam non phylocaptus. - DETTA. Petr.: Colui che. del mio mal meco ragiona, Mi lascia in dubbio, sì confuso ditta.

NODO. Il Costanzo, in una lettera su questo passo: Amore è quegli che fa volare, non che correre: e senz'esso, è il volere empire i fogli,un empirli di stoppa. NOTAIO. Iacopo da Lentino: visse circa il 1280. Abbiamo sue rime, assai disadorne. Conv. (I, 10): Questa grandezza do io a questo amico (il volgare italiano) in quanto quello, elli, di bontade avea in podere e occulto, io lo fo avere in atto e potere nella sua propria operazione, che è manifestare come porta sentenzia. Un P. provenz.: Cantar non puote quasi Valere se dal cor non move il canto. GUITTONE. D'Arezzo, più elegante di Buonagiunta ma pur mediocre. Nacque nel 1250: di 34 anni si fece de' frati gaudenti: fu buon cittadino.

VOSTRE. Parla o al solo Dante, e in plurale, per riverenza; o di lui insieme e di Guido e di Cino.

GRADIRE. Andare. Gradior. - OLTRE. Pietro di Dante qui reca un passo d'antico che dice: Oportet prius animas quam linguas fieri eruditas.

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E quasi contentato si tacette.

Come gli augei che vernan verso 'l Nilo,
Alcuna volta di lor fanno schiera,
Poi volan più in fretta e vanno in filo;
Così tutta la gente che lì era,
Volgendo 'l viso raffrettò suo passo,
E per magrezza e per voler leggiera.

E come l'uom che di trottare è lasso,
Lascia andar li compagni, e sì passeggia
Fin che si sfoghi l' affollar del casso;

Si lasciò trapassar la santa greggia
Forese, e dietro meco sen veniva,
Dicendo: quando fia ch' i' ti riveggia?

Non so, rispos' io lui, quant' io mi viva;
Ma già non fia 'l tornar mio tanto tosto
Ch' io non sia col voler prima alla riva.

Però che 'l luogo u' fui a viver posto
Di giorno in giorno più di ben si spolpa
E a trista ruina par disposto.

Or va, diss' ei: chè quei che più n' ha colpa
Vegg' io a coda d'una bestia tratto

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AUGEI. Gru. V. similitudine tratta da loro nel V dell' Inf. XVIII, 25).

24. AFFOLLAR. Ansare. Da follis, mantice.

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TORNAR. C. II: Per tornare altra volta Là dov' i' son, fo io questo viag

gio.

Riva. Altrimenti pensava quando scrisse l'Inf., XXXI: Ch'ei vive, e lunga vita ancora aspetta Se innanzi tempo grazia a sè nol chiama. SPOLPA. Inf., XXIV: Pistoia ... di Negri si dimagra.

QUEI. Corso Donati: Fu, dice il Vill., il più savio, il più valente cavaliere, il più bello parlatore e meglio pratico, e di maggior nominanza, di grande ardire ed imprese che a suo tempo fosse in Italia... Fu bello della persona e di grazioso aspetto: ma molto fu mondano: e in suo tempo fece fare in Firenze molte commutazioni e scandali, per avere stato e signoria... La sua fine fu grande novità nella nostra città. Impedì talvolta il corso della giustizia: congiurò con Bonifazio VIII e con Uguccione, del quale od egli o un suo figlio aveva sposata la figlia nel 1304. Nel 1289 fu potestà di Pisa: e combattè a Campaldino con cittadino valore, ambizioso di bella morte: nel 1290 sventò la guerra destinata contro Pisa da' suoi Fiorentini. Tornò nel 1302 vincitore con Carlo di Valois, esiliò i Bianchi, e fu sì potente che il popolo n' ebbe sospetto. Fu citato, condannato; le case assalite. E' si difese co' suoi; abbandonato dei promessi soccorsi da Uguccione, fuggì: ma inseguito da' soldati catalani, cadde, o si gittò da cavallo; e rimasogli il piè nella staffa, tanto ne fu strascinato, che i nemici lo sopraggiunsero, spogliarono e uccisero presso a s. Salvi,

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Verso la valle ove mai non si scolpa.

La bestia ad ogni passo va più ratto,
Crescendo sempre, infin ch' ella 'l percote,
E lascia 'l corpo vilmente disfatto.

Non hanno molto a volger quelle ruote
(E drizzò gli occhi al ciel), ch'a te fia chiaro
Ciò che 'l mio dir più dichiarar non puote.
Tu ti rimani omai; che 'l tempo è caro
In questo regno, sì ch' io perdo troppo
Venendo teco sì a paro a paro.

Qual esce alcuna volta di galoppo
Lo cavalier di schiera che cavalchi,
E va per farsi onor del primo intoppo;
Tal si parti da noi con maggior valchi:
Ed io rimasi in via con esso i due
Che fûr del mondo sì gran maliscalchi.
E quando innanzi a noi sì entrato fúe
Che gli occhi miei si fèro a lui seguaci
Come la mente alle parole sue,

Parvermi i rami gravidi e vivaci
D'un altro pomo, e non molto lontani
Per esser pure allora vôlto in láci.

Vidi gente sott' esso alzar le mani,
E gridar non so che verso le fronde
Quasi bramosi fantolini e vani

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il di 6 d'ottobre 1308. SCOLPA. Par., XX: Dallo 'nferno, u' non si riede Giammai a buon voler.

MOLTO. Sett' anni, sette mesi, venti dì. - DICHIARAR. Mai nol nomina; come suo affine.

PARO. Petr.: A paro a paro Coi nobili poeti gía cantando.

QUAL. Ar. (XVIII, 15): Come buon corridor ch' ultimo lassa Le mosse, e giunge e innanzi a tutti passa.

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VALCHI. Valcare è nell' Ar. (XV, 40). Qui valco vale passo che si varca saltando. MALISCALCHI. Maniscalco era governatore della corte e dell'esercito : qui vale dignità in genere, come altrove le voci: duca, signore, maestro, imperadore.

...

SEGUACI. Virg.: Quantum acie possent oculi servare sequentum. POMO. Non lo vedevam prima perch'era sullo svoltar della via lungo il colle. ALZAR. OV.: Tibi, Tantale, nullae Deprenduntur aquae: quaeque imminet, effugit arbos. Armannino pone nell' Inferno i golosi: Affamati stanno come lupi: di brama par che muoiano: di fame le mani stendono.

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Che pregano, e 'l pregato non risponde;
Ma per fare esser ben lor voglia acuta,
Tien alto lor disio e nol nasconde.

Poi si partì sì come ricreduta:

E noi venimmo al grande arbore, ad esso
Che tanti prieghi e lagrime rifiuta.

Trapassate oltre senza farvi presso:
Legno è più su che fu morso da Eva;
E questa pianta si levò da esso.

Sì tra le frasche non so chi diceva:
Perchè Virgilio e Stazio ed io ristretti
Oltre andavam dal lato che si leva.
Ricordivi, dicea, de' maladetti

Ne' nuvoli formati, che satolli
Tesëo combattér co' doppi petti;

E degli Ebrei ch' al ber si mostrar molli,
Perchè non ebbe Gedeon compagni
Quando invêr Madian discese i colli.

Sì accostáti all' un de' due vivagni,
Passammo udendo colpe della gola
Seguite già da miseri guadagni.

Poi rallargati per la strada sola,
Ben mille passi e più ci portâr oltre,

ACUTA. Inf., XXVI: Li miei compagni fec' io sì acuti, Con quesť orazion picciola, al cammino.

LEVÒ. Nel Paradiso terrestre fu posta la prima legge del digiuno, ed infranta.
RISTRETTI. La strada era angusta, l'albero in mezzo.

SATOLLI. OV. (Met., XII): Ardet: et ebrietas geminata libidine regnat. De' Centauri Virg. (Aen., II): Bacchus et ad culpam causas dedit: ille furentes Centauros leto domuit... Virgilio li chiama nubigenas ; e Ovidio li fa nascere dalla nube e da Issione. Tentarono rapire a Piritoo la sposa. Horat. (I, 18): At ne quis modici transiliat munera Liberi, Centaurea monet cum Lapithis rixa super mero Debellata... Di loro, nell' Inf., XII.

MOLLI. Giudici, VII: Disse Iddio a Gedeone : quelli che con la mano e con la lingua lambiranno l'acqua, metterai da una parte; e coloro che beranno ginocchione saranno dall' altra........ Furono quelli che con la mano si gittarono l'acqua alla bocca, uomini trecento, tutta l'altra moltitudine bevve

ginocchione. E disse Iddio a Gedeone: In trecento uomini che lambiron

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acqua con la lingua vi libererò, e darò Madian nella mano tua: l'altra

moltitudine tutta si ritornò nel paese suo. NON EBBE. Altri legge: no i volle. Superfluo.

VIVAGNI. Orlo di strada (Inf., XIV).

SOLA. Deserta. Cic. (Div.): Locis solis.

Tomo II.

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