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E'confessa i proprii falli: rimproverato di nuovo, confessa più chiaro: doppia umiliazione, necessaria alla gioia di tanto spettacolo. Matelda lo passa di là da Lete; lo tuffa nell'acqua tutto: ond' egli obblia il mal commesso. Le quattro virtù naturali danzando gli passano il braccio sul capo: lo menano di faccia al Grifone e a Beatrice: le tre virtù cristiane la pregano gli si sveli. Il velo si toglie.

Canto tutto morale; nè a politica lo torceresti, senza falsare l'idea del P. È grandezza vera presentar sè confuso e confesso in tanta gioia della terra e del cielo. Nota le terzine 1, 2, 3, 6, 7, 9, 11, 14, 15, 17, 18, 19, 22, 23, 24, 26, 28; la 30 al la 37; la 39 alla 42; la 45 e la 48.

I.

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I.

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tu che se' di là dal fiume sacro
(Volgendo suo parlare a me per punta,
Che pur per taglio m' era parut' acro,
Ricominciò, seguendo senza cunta),
Di', di' se questo è vero. A tanta accusa
Tua confession conviene esser congiunta.
Era la mia virtù tanto confusa
Che la voce si mosse e pria si spense
Che dagli organi suoi fosse dischiusa.

Poco sofferse, poi disse: che pense?
Rispondi a me; chè le memorie triste
In te non sono ancor dall' acqua offense.

TAGLIO. Quando parlava agli Angeli. V. c. precedente.

Dı'. La filosofia del pari costringe Boezio a confessare i suoi falli. Bello vedere questi due sapienti infelici che dal dolore traggono cagione di umiltà virtuo. sa e di lacrime sante. CONVIENE. Jer. (III, 13): Scito iniquitatem tuam, quia

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in Dominum Deum tuum praevaricata es.

VOCE. Virg.: Vox faucibus haesit.

4. PENSE? Simili parole Virgilio al P. nel V dell' Inf., in occasione ben altra.

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Confusione e paura insieme miste
Mi pinsero un tal si fuor della bocca
Al quale intender fu mestier le viste.
Come balestro frange, quando scocca,
Da troppa tesa la sua corda e l'arco,
E con men foga l'asta il segno tocca;
Si scoppia' io sott' esso grave carco,
Fuori sgorgando lagrime e sospiri;
E la voce allentò per lo suo varco.

Ond' ell' a me: per entro i miei disiri
Che ti menavano ad amar lo bene,
Di là dal qual non è a che s' aspiri,

Quai fosse attraversate o quai catene
Trovasti, perchè del passare innanzi
Dovessiti così spogliar la spene?

E quali agevolezze o quali avanzi
Nella fronte degli altri si mostraro
Perchè dovessi lor passeggiare anzi?

Dopo la tratta d' un sospiro amaro
A pena ebbi la voce che rispose,
E le labbra a fatica la formaro.

Piangendo dissi: le presenti cose
Col falso lor piacer volser miei passi
Tosto che 'l vostro viso si nascose.
Ed ella: se tacessi o se negassi
Ciò che confessi, non fora men nota
La colpa tua: da tal giudice sássi.

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FRANGE. Neutro. Come rompere. Da arco rotto la freccia esce via con men foga. LAGRIME. Virg.: Lacrimansque gemensque ; Et via vix tandem voci laxata dolore est. Di sospiri grandissimi ed angosciosi, e di pentimenti parla pure nella V. Nuova quando e'ristà dall'amare la donna che sì gli piacque dopo mor

ta Beatrice.

FOSSE. Petr.: E se tornando all' amorosa vita Per farvi al bel desio volger le spalle, Trovaste per la via fossati o poggi; Fu per mostrar quant'è spinoso calle... Onde al vero valor convien ch' uom poggi.

AVANZI. Per utili, in Bocc. (X, 8): Qua'meriti, quali avanzi avrebbon fatto Lisippo non curar di perdere i suoi parenti?.. ANZI? Passare e ripassare

dinanzi a loro.

A PENA. Boet.: Tum ego collecto in vires animo...

DISSI. Mostra la necessità del confessare in parola l'opera mala.

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Ma quando scoppia dalla propia gota
L'accusa del peccato, in nostra corte
Rivolge sè contra 'l taglio la ruota.

Tuttavia, perchè me' vergogna porte
Del tuo errore, e perchè altra volta
Udendo le Sirene sie più forte,

Pon giù'l seme del piangere, ed ascolta:
Sì udirai come in contraria parte
Mover doveati mia carne sepolta.

Mai non t'appresentò natura od arte
Piacer, quanto le belle membra in ch' io
Rinchiusa fui, e che son terra sparte.

E se 'l sommo piacer sì ti fallío
Per la mia morte, qual cosa mortale
Dovea poi trarre te nel suo disío?

Ben ti dovevi per lo primo strale
Delle cose fallaci levar suso

Diretro a me che non era più tale.
Non ti dovea gravar le penne in giuso
Ad aspettar più colpi o pargoletta
O altra vanità con sì breve uso.

Nuovo augelletto due o tre aspetta;
Ma dinanzi dagli occhi de' pennuti

CORTE. Di giustizia.

RUOTA. Se la pietra da arrotare o dar il filo a'ferri si volge contro la schiena del coltello, l' aguzza; se contro il taglio, lo guasta. SIRENE (C. XIX). Boet.: Seirenes usque in exitium dulces.

SEME. PS.: Seminant in lacrimis. Filemone, tradotto dal Navagero: Dolor, ut ipsa fructus arbor, sic lacrimas habet.

MAI. Dice in una canzone di lei vivente: Che non può mal finir chi le ha parlato. In questo verso è il germe dell'intera Commedia. — TERRA. Par. (XXV, 42): In terra è terra il mio corpo.

FALLIO. Mancò. Inf., XIII: Fallia la lena.

STRALE. Percosso dal primo dolore venuto in te dalla conoscenza delle mondane fallacie, dovevi levarti a Dio, dietro a me.

PARGOLETTA. Non la Lucchese ch'e' conobbe ben dopo il 1300, ma altra. Una sua canz. comincia: I' mi son pargoletta, bella e nova. →→ Uso. Petr.: Breve sogno. L'Ott. dice: Che nè quella giovane, la quale elli nelle sue Rime chiamò pargoletta, nè quella Lisetta, nè quell' altra montanina, nè quella, nè quell'altra li dovevano gravare le penne delle ale in giù, tanto ch' elli fosse ferito da uno simile, o quasi simile strale.

PENNUTI. Prov., I: Frustra ... jacitur rete ante oculos pennatorum. Psalm. CXVIII, 110: Posuerunt peccatores laqueum mihi. Ps. CXXIII: Anima nostra sicut passer erepta est de laqueo venantium. Eccl. (VII, 27): Mulierem ... la

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Rete si spiega indarno o si saetta.

Quale i fanciulli vergognando muti
Con gli occhi a terra stannosi ascoltando,
E sè riconoscendo e ripentuti;

Tal mi stav' io. Ed ella disse: quando
Per udir. se' dolente, alza la barba,
E prenderai più doglia riguardando.

Con men di resistenza si dibarba
Robusto cerro ovvero a nostral vento
Ovvero a quel della terra d' Iarba,

Ch'io non levai al suo comando il mento.
E quando per la barba il viso chiese,
Ben conobbi 'l velen dell' argomento.
E come la mia faccia si distese,
Posarsi quelle belle creature
Da loro aspersion l'occhio comprese.
E le mie luci ancor poco sicure
Vider Beatrice volta in su la fiera
Ch'è sola una persona in duo nature.
Sotto suo velo e oltre la riviera
Verde pareami più sè stessa antica
Vincer, che l'altre qui quand' ella c'era.
Di pentér sì mi punse ivi l' ortica
Che di tutt' altre cose qual mi torse
Più nel suo amor, più mi si fe nimica.

queus venatorum est. Jer. (Thr., III, 52): Venatione ceperunt me quasi avem, inimici mei gratis.

NOSTRAL. Borea. IARBA. Getulia (Aen., IV).

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BARBA. Rimprovera a lui non più nuovo augello, e già maturo le quasi puerili follie. Juv.: Quaedam cum prima resecentur crimina barba. Virg.: Libertas: quae, sera, tamen respexit inertem, Candidior postquam tondenti barba cadebat.

ASPERSION. Perchè meglio vegga le cose che seguono, cessano gli Angeli da gettar fiori.

VOLTA. La teologia, dice Pietro, dal nuovo Testamento in poi: Speculatur divinitatem et humanitatem Christi. — Su. Ell'era sul carro, il Grifone tirava il carro. E confessiamo che l'atto non è degno gran cosa del Cristo liberatore. VELO (XXIX, 9). ANTICA. Vivente.

ORTICA. Bocc.: Ortica d'amore. Metafora non bellissima, ma simile ai triboli da cui venne il comunissimo tribolazione. Jer. (XXXI, 21): Confusus sum, et erubui, quoniam sustinui opprobrium adolescentiae meae ... Statue tibi speculam, pone tibi amaritudines.

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Tanta riconoscenza il cor mi morse
Ch' io caddi vinto: e quale allora fémmi
Sálsi colei che la cagion mi porse.

Poi quando il cor virtù di fuor rendemmi,
La donna ch' io avea trovata sola,
Sopra me vidi; e dicea: tiemmi, tiemmi.
Tratto m' avea nel fiume infino a gola
E tirandosi me dietro, sen giva
Sovresso l'acqua, lieve come spola.

Quando fui presso alla beata riva,
Asperges me sì dolcemente udissi
Ch'io nol so rimembrar, non ch'io lo scriva.
La bella donna nelle braccia aprissi,
Abbracciommi la testa e mi sommerse,
Ove convenne ch' io l'acqua inghiottissi.
Indi mi tolse e bagnato m' offerse
Dentro alla danza delle quattro belle:
E ciascuna col braccio mi coperse.

Noi sem qui ninfe, e nel ciel semo stelle.

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RICONOSCENZA. Vill. (VI, 89): I peccatori si riconoscono. V. S. Padri: La tribulazione fa l'uomo riconoscere sè medesimo. E fino ai tempi di Bossuet (Disc. sur l'hist. un.) se reconnaître valeva pentirsi. Profonda eleganza! SOLA. Matelda. C. XXVIII: Una donna soletta.

FIUME. Fatto il proponimento del bene, e pentito del male, può l'uomo dimenticare il passato. SPOLA. Fatta a guisa di barchetta, che nel tessere scorre molto da una banda all'altra dell'ordito, a stendervi per entro la trama che seco porta.

ME. Ps. L: Asperges me hyssopo, et mundabor: lavabis me, et super nivem dealbabor. Auditui meo dabis gaudium,et laetitiam: et exultabunt ossa humiliata. A che risponde il fine della cantica: Rifatto sì come piante novelle. Questa antifona cantasi le domeniche, mentre il sacerdote asperge il popolo d'acqua benedetta.

TESTA. Per togliere la memoria del male. nell' Esodo.

ACQUA. Vedi i lavacri comandati

BELLE (XXIX, 44). Le virtù cardinali sono, dice s. Tom., infuse in noi quando sono veramente efficaci: Quum dictae virtutes morales acquisitae non ordinent nos in finem ultimum ex se. Qui siam ninfe, infusioni; nel cielo, stelle, essenze, principii. Salomone nella Sap. (VIII, 7): Sobrietatem ... et prudentiam docet, et justitiam, et virtutem (la fortezza), quibus utilius nihil est in vita hominibus.

NINFE (Purg., I, VIII). Ninfe nella selva beata, umanamente operate; stelle nel cielo, infuse da Dio (Aug. in Ep.). Gli atti delle virtù sono in via, la virtù è nella patria: quivi il premio di lei: qui in opera, là in mercede; qui in officio,

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