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Ed io: perchè ne' vostri visi guati,
Non riconosco alcun: ma s' a voi piace
Cosa ch'i' possa, spiriti bennati,

Voi dite; ed io farò, per quella pace
Che dietro a piedi di sì fatta guida,
Di mondo in mondo cercar mi si face.
E uno incominciò: ciascun si fida
Del beneficio tuo senza giurarlo,
Pur che'l voler nonpossa non ricida:
Ond' io che solo innanzi agli altri parlo,
Ti prego, se mai vedi quel paese
Che siede tra Romagna e quel di Carlo,
Che tu mi sie de' tuoi prieghi cortese
In Fano sì che ben per me s' adori,
Perch'i' possa purgar le gravi offese.

Quindi fu' io; ma li profondi fori
Ond' uscì 'l sangue in sul quale io sedea
Fatti mi furo in grembo agli Antenori,

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PER. Giura.

NONPOSSA. Albertano (1. 45): La nongiustizia. Così noncuranza. Purchè tu possa tornare al mondo, e pregare in modo efficace.

PAESE. La Marca: tra la Romagna e il regno di Carlo II di Napoli.

24. ADORI. Sacchetti: Adorava dinanzi a s. Giovanni. Bocc.: (III, 10): Posesi inginocchione a guisa che adorar volesse. Ott. (II, 175): Sempre ha bisogno d'adorare. OFFESE. Per peccati (Purg., XXVI).

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SEDEA. Comento ined.: Piglia il sangue per l'anima, perchè mancando il sangue par che manchi la vita. Virg.: Una eademque via sanguis animusque sequuntur. Undantique animam diffundit in arma cruore. Levit., XVII: Anima carnis in sanguine est. Bonfrerio, al IX della Gen.: Anima carnis seu animalis, in sanguine sedem habet,seu ubicumque sanguis est, ibi est anima et operatur. ANTENORI. Inf., XXXII. Padova fondata da Antenore (Aeneid. I). M. Iacopo del Cassero di Fano, il quale fu eletto podestà di Bologna, al tempo ch'essi Bolognesi avevano briga col marchese Azzo Terzo da Este; ed elessero esso M. Iacopo, sapendo lui essere nimico del detto marchese. Il qual marchese il fece tagliare a pezzi, sappiendo che al tempo della detta podestaria esso M. Iacopo aveva molto schernito il detto marchese. Comento inedito della Laurenziana di Firenze (Pl. 90, Gadd. sup. cod. 30). Questo Iacopo combattè contro Arezzo co' Fiorentini guelfi nel 1288 (Vill., VII, 120): e fu ucciso quand' andava podestà di Milano. Il fatto si è che Azzo III ambiva la signoria di Bologna, e si guadagnava in Bologna stessa fautori. I quali furono per giusto sospetto cacciati, e chiamato Iacopo a potestà. Il qual Iacopo incrudeli contro i fautori d' Azzo, e spacciò che questo Azzo era giaciuto colla madrigna, ch'era figliuola di lavandaia, scellerato e codardo: onde gli assassini d' Azzo lo seguivano sempre. Sempre nemico agli Estensi il presago P.

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Là dov' io più sicuro esser credea.
Quel da Esti 'l fe far, che m'avea in ira
Assai più là che dritto non volea.

Ma s'i fossi fuggito inver la Mira
Quand' i' fu' sovraggiunto ad Oriaco,
Ancor sarei di là dove si spira.

Corsi al palude, e le cannucce e 'l braco
M' impigliâr sì ch' io caddi; e lì vid' io
Delle mie vene farsi in terra laco.

Poi disse un altro: deh se quel disio
Si compia che ti tragge all' alto monte,
Con buona pietate aiuta 'l mio.

I' fui di Montefeltro, i' son Buonconte:
Giovanna o altri non ha di me cura,
Perch' io vo tra costor con bassa fronte.
Ed io a lui: qual forza o qual ventura
Ti traviò si fuor di Campaldino
Che non si seppe mai tua sepoltura?

Oh, rispos' egli, appiè del Casentino
Traversa un' acqua ch' ha nome l' Archiano,
Che sovra l'Ermo nasce in Apennino.
Là 've 'l vocabol suo diventa vano

LA. Virg., XII: Ulterius ne tende odiis.

ORIACO. Tra Venezia e Padova.

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PALUDE. Mascol. anco nel Cresc. (l. VII). LACO. Inf., XXV: Di sangue fece spesse volte laco.

DISSE. Il P. cammina tra loro: quei che gli parla lo segue un poco, poi lo lascia ire: ed un altro sottentra. Perchè rammentiamo che la schiera purgante viene di contro ai due pellegrini. BUONA. È anco una trista pietà.

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30. Fui. Dice: fui di Montefeltro, come vivo; e son Buonconte, perchè la personarimane. Nell'Inf. dice: I' fu' 'l conte Ugolino, perchè all'altro mondo nessuno è conte. - BUONCONTE. Figlio del conte Guido di Montefeltro (di cui nel l' Inf., XXVII), valorosa persona, peri nella sconfitta ch'ebbero gli Aretini da' Fiorentini non lontano da Poppi, nel pian di Campaldino, la mattina del di 11 di giugno del 1289, dove combattè Dante stesso (Macchiavelli; Leon. Aretino). Dice il Villani che i due eserciti s'affrontarono più ordinatamente che mai s'affrontasse battaglia in Italia (VII, 131). — G10VANNA. Sua moglie. BASSA. Perchè destinato a più lungo indugio. Come Marcello in Virg.: Sed frons laeta parum et dejecto lumina vultu.

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ERMO. Di Camaldoli.

33. VOCABOL. Per nome proprio s'usa tuttora in Toscana, e dicesi per esempio: Podere di vocabolo Poggiolino. VANO. Perchè mette in Arno. Frase non imitabile.

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Arriva' io forato nella gola,

Fuggendo a piede e sanguinando 'l piano.
Quivi perdei la vista e la parola:
Nel nome di Maria finii; e quivi
Caddi, e rimase la mia carne sola.

I' dirò 'l vero, e tu 'l ridi' tra i vivi:
L'angel di Dio mi prese, e quel d'inferno
Gridava: o tu dal ciel, perchè mi privi?

Tu te ne porti di costui l'eterno
Per una lagrimetta che 'l mi toglie:
Ma io farò dell' altro altro governo.

Ben sai come nell' aer si raccoglie
Quell' umido vapor che in acqua riede
Tosto che sale dove 'l freddo il coglie.

Giunse quel mal voler che pur mal chiede
Con lo 'ntelletto, e mosse 'l fumo e 'l vento,
Per la virtù che sua natura diede.

Indi la valle, come 'l dì fu spento,
Da Pratomagno al gran giogo coperse
Di nebbia, e 'l ciel di sopra fece intento
Sì che 'l pregno aere in acqua si converse.

PAROLA. Virg.: Pariterque loquentis Vocem animamque rapit, trajecto gutture : at ille Fronte ferit terram. Bocc. (VII, 4): Perdè la vista e la parola, e in breve egli si mori. - SOLA (Inf., IX). Di me la carne nuda. ETERNO. Petr.: Tu te ne vai col mio mortal sul corno. ALTRO. Del corpo. VAPOR. La pioggia, secondo Arist., è vapor umido, che, condensato dal freddo, cade.

MOSSE. August. (Civ. D., XVIII): Spargere altius quaslibet aquas difficile daemonibus non est ... et aerem vitiando morbidum reddere ... VIRTU. August. (Civ. D., VIII): Omnis transformatio corporalium rerum quae fieri potest per aliquam virtutem rationalem, per daemonem fieri potest. E Alb. Magno l'attesta: De potentia daemonum. Il demonio, dice Dante, è un malvagio volere che non altro cerca che 'l male col sottile intelletto. V. s. Tomaso (Som. 2. 2. qu. 108, 110). DIEDE. A lui.

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PRATOMAGNO. Ora Pratovecchio; divide il Val d'Arno dal Casentino. — GroGo. Apennino. CIEL. S. Pet. (Epist.): In isto aere caliginoso, quasi in carcere sunt daemones, et erunt usque ad diem judicii. - INTENTO. Teso di nubi spesse. Virg. (V, 20): In nubem cogitur aer. G., I: Obtenta densentur nocte tenebrae. Hor. (Ep., XIII): Tempestas caelum contraxit. Pet.: L'aere gravato, e l' importuna nebbia Compressa intorno da' rabbiosi venti, Tosto convien che si converta in pioggia. Tasso: Ma la schiera infernal, che in quel conflitto La tirannide sua cader vedea, Sendole ciò permesso, in un momento L' aria in nubi raccolse, e mosse il vento.

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La pioggia cadde, e a' fossati venne
Di lei ciò che la terra non sofferse.

E come ai rivi grandi si convenne,
Vêr lo fiume real tanto veloce

Si ruinò che nulla la ritenne.

Lo corpo mio gelato in su la foce
Trovò l' Archian rubesto: e quel sospinse
Nell' Arno e sciolse al mio petto la croce

Ch'i' fei di me quando 'l dolor mi vinse:
Voltommi per le ripe e per lo fondo,
Poi di sua preda mi coperse e cinse.
Deh quando tu sarai tornato al mondo
E riposato della lunga via,

Seguitò 'l terzo spirito al secondo,

Ricorditi di me che son la Pia.
Siena mi fe, disfecemi Maremma:
Salsi colui che innanellata pria,

Disposando, m' avea con la sua gemma.

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SOFFERSE. Perchè declive.

RUBESTO (Inf., XXXI).

ME. Delle braccia.

PIA. Moglie di Nello della Pietra, che la uccise, dicesi, per gelosia, quand'era rettore in Maremma, dov' aveva un castello. Ella senese, de' Tolomei. Il comento inedito citato sopra, dice: de' Salimbeni. Soggiunge: La fece un dì gittar a terra dalla torre, sedendo ella su una finestra. Di ciò grand' odio fra le due famiglie, dice il Post. Caet. Della sua morte piange forse un sonetto di Muccio Piacenti. Il Tommasi nella St. di Siena vuole che Nello la facesse gittare dal servo per isposarsi alla contessa Margherita di Santafiora: e la sposò, e n' ebbe un figlio Bonduciro; morto nel 1300. La morte della Pia fu nel 1295. Ott.: Per alcuni falli che trovò in lei, sì la uccise; e seppelo fare sì segretamente, che non si seppe. Però dice: Salsi colui.

DISPOSANDO. È nelle V. S. Padri, e nella V. Nuova, e nel Conv. (II, 2).

CANTO VI.

ARGOMENTO.

Molt' anime lo pregano, preghi e faccia pregare per loro. E' pone un dubbio a Virgilio sulla efficacia della preghiera. Salgono un poco: rincontra Sordello, mantovano, poeta, uom famoso del secolo XIII. Al nome di Mantova questi abbraccia Virgilio, dal quale atto trae Dante occasione a gridare contro gli odii civili d'Italia. E in lui pure è alla pietà misto l'odio, perchè nessuno uomo, per alto che sia, è franco in tutto dal vizio de tempi.

Questo capitolo, dice Pietro, è pulcrum, clarum, facile, absque allegoria. Bello: ma più bello d'assai il precedente.

Nota le terzine 8, 12, 15, 17; la 19 alla 27; la 29, 30, 36, 37, 39; la 41 alla 46; la 48 con le ultime.

I.

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Q

uando si parte 'l gioco della zara,
Colui che perde si riman dolente,
Ripetendo le volte, e tristo impara:

Con l'altro se ne va tutta la gente;
Qual va dinanzi e qual dirietro il prende
E qual da lato gli si reca a mente.

Ei non s'arresta, e questo e quello 'ntende:
A cui porge la man, più non fa pressa;
E così dalla calca si difende.

Tal era io in quella turba spessa,
Volgendo a loro e qua e là la faccia;
E promettendo, mi sciogliea da essa.

Quivi era l' Aretin che dalle braccia
Fiere di Ghin di Tacco ebbe la morte,

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5. ARETIN. Benincasa di Laterina, giudice del distretto d'Antino. Ghino era d'Asinalunga del Senese; e perchè Benincasa, assessore a Siena, sentenziò a morte Tacco fratel di Ghino, e Turrino da Turrita nipote di Ghino, assassini,

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