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Vien', crudel, vieni, e vedi la pressura
De' tuoi gentili, e cura lor magagne;
E vedrai Santafior com'è sicura.

Vieni a veder la tua Roma che piagne
Vedova, sola, e dì e notte chiama:
Cesare mio, perchè non m' accompagne?
Vieni a veder la gente quanto sama.
E se nulla di noi pietà ti move,
A vergognar ti vien della tua fama.

E, se licito m' è, o sommo Giove
Che fosti 'n terra per noi crucifisso,
Son li giusti occhi tuoi rivolti altrove?
O è preparazion che nell' abisso
Del tuo consiglio fai, per alcun bene
In tutto dall' accorger nostro scisso?
Che le terre d'Italia tutte piene
Son di tiranni, e un Marcel diventa
Ogni villan che parteggiando viene.

Fiorenza mia, ben puoi esser contenta
Di questa digression che non ti tocca,
Mercè del popol tuo che si argomenta.

PRESSURA. L'usa negli Asolani anco il Bembo (1. I). SANTAFIOR. Contea nel Senese: i quali conti erano ricchi in Maremma: ma il paese tutto infestato di ladrocinii.

PIAGNE. Jer. (Thr., I): Plorans ploravit in nocte, et lacrimae ejus in maxillis ejus: non est qui consoletur eam ex omnibus charis ejus. VEDOVA. Baruch (V, 12): Nemo gaudeat super me viduam et desolatam: a multis derelicta sum propter peccata filiorum meorum.

40. SOMMO. Virg.: Jove summo. Petrarca chiama Dio, vivo Giove (Sen. 268); Eterno Giove, 133.

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ABISSO. PS.: Judicia tua abyssus multa.

TIRANNI. Anco la democrazia, nota Pietro, può tornare in tirannide. — MARCEL. Vincitore de' Cartaginesi e de'Galli. Virg.: Adspice ut insignis spoliis Marcellus opimis. O forse intende il nemico di Cesare, come dice: Ogni villano si reputa forte per contrastare all'imperio. Ott.: Marcello ... avea tanto l'animo infiammato contro a Cesare, che continovo si levava in consiglio a dire contr'a lui, e... le più volte dicea contra ragione e giustizia.

MIA. Conv.: Ahi misera, misera patria mia! E dice, che ogni qualvolta pensa cose che a governo di stati riguardino, e' piange su lei. Dalle cose toscane vedeva il P. dipendere le lombarde, e lo dice nella lettera ad Enrico VII. Tuo. Molti fiorentini scrissero contro Firenze: e il Boccaccio la insulta e le rimprovera i suoi peccati. — ARGOMENTA. Argomenta si sottilmente, si giustamente. Tutta argomenti, non opere, è la tua sapienza.

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Molti han giustizia in cor, ma tardi scocca,
Per non venir senza consiglio all' arco;
Ma 'l popol tuo l'ha in sommo della bocca.
Molti rifiutan lo comune incarco;
Ma 'l popol tuo sollecito risponde
Senza chiamare, e grida: i' mi sobbarco.
Or ti fa lieta, chè tu hai ben onde:
Tu ricca, tu con pace, tu con senno.
S'i' dico ver, l'effetto nol nasconde.
Atene e Lacedemona, che fenno
L'antiche leggi, e furon sì civili,
Fecero al viver bene un picciol cenno
Verso di te, che fai tanto sottili
Provvedimenti ch' a mezzo novembre
Non giunge quel che tu d' ottobre fili.
Quante volte, del tempo che rimembre,
Leggi, moneta e ufficii e costume
Hai tu mutato, e rinnovato membre?
E, se ben ti ricorda e vedi lume,
Vedrai te simigliante a quella 'nferma
Che non può trovar posa in su le piume
Ma con dar vôlta suo dolore scherma.

BOCCA. Eccl., IV: Noli citatus esse in lingua tua, et inutilis et remissus in operibus tuis.

SOBBARCO. Barca, peso da portare: dunque sobbarcare, sottomettersi al carico pubblico.

NOVEMBRE. Versi citati da G. Villani.

MEMBRE? L'usa in prosa Guidotto da Bologna.

LUME. Vive in Toscana. F. Guidotto: Tu solo vedi lume. (Thr., I): Nec invenit requiem.

DAR. Bocc.: Dar tali volte per lo letto.

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CANTO VII.

ARGOMENTO.

Trova in una valle riposti que' ch' indugiarono penitenza; perchè sviati dal regno e dalle dignità della terra. Li colloca in luogo fiorente com' uomini di bella fama. Comincia il canto dallo svelarsi che fa Virgilio a Sordello. La dichiarazione che dà Virgilio della sua pena nel Limbo, illustra il quarto dell' Inferno ed il terzo del Purgatorio. Il non poter le anime salire al monte quando il sole è all'occaso, simboleggia il sole della grazia necessario ad ogni opera buona, e all' espiazione dell' opere ree.

Gli accenni politici in questo canto abbracciano tutta Europa.

Nota le terzine 1, 4, 5, 6, 9, 12, 14, 16; la 18 alla 22; la 24 alla 28; la 30, 31, 33, sino all'ultima.

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Poscia

osciachè l'accoglienze oneste e liete
Furo iterate tre e quattro volte,
Sordel si trasse e disse: voi chi siete?
Prima ch' a questo monte fosser vôlte
L'anime degne di salire a Dio
Fur l'ossa mie per Ottavian sepolte.
I' son Virgilio: e per null' altro rio
Lo ciel perdei che per non aver fè:
Così rispose allora il duca mio.

Qual è colui che cosa innanzi a sè
Subita vede ond' ei si maraviglia,

Che crede e no, dicendo: ell' è, non è;

PRIMA. Virgilio morì nell'anno quarantadue d'Augusto, innanzi che Cristo nascesse: e innanzi Cristo l'anime de' purganti andavano al limbo. SEPOLTE. Donat.: Translata jussu Augusti, Virgilii ossa, Neapolim fuere...

Rio. Sost. (Inf., IV, 14). — Fè. Maestro delle sentenze (1. III, dist. 25) : Sine fide mediatoris nullum hominem vel ante vel post Christi adventum fuisse salvum, sanctorum auctoritates contestatur.

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II.

I 2.

13.

Tal parve quegli: e poi chinò le ciglia;
E umilmente ritornò vêr lui,

E abbracciollo ove 'l minor s' appiglia.
O gloria de' Latin, disse, per cui
Mostrò ciò che potea la lingua nostra!
O pregio eterno del luogo ond' io fui,
Qual merito o qual grazia mi ti mostra?
S'i' son d'udir le tue parole degno,
Dimmi se vien' d' inferno, e di qual chiostra.
Per tutti i cerchi del dolente regno,
Rispose lui, son io di qua venuto.
Virtù del ciel mi mosse, e con lei vegno.
Non per far, ma per non fare ho perduto
Di veder l'alto Sol che tu disiri,
E che fu tardi per me conosciuto.

Luogo è laggiù non tristo da martîri,
Ma di tenebre solo, ove i lamenti
Non suonan come guai, ma son sospiri.
Quivi sto io co' parvoli innocenti,
Dai denti morsi della morte avante
Che fosser dell' umana colpa esenti.

Quivi sto io con quei che le tre sante
Virtù non si vestiro, e senza vizio
Conobber l'altre e seguîr tutte quante.

Ma se tu sai e puoi, alcuno indizio
Dà noi, perchè venir possiam più tosto
Là dove 'l purgatorio ha dritto inizio.

MINOR. Alle ginocchia (Stazio, XXI). Purg. : Già si chinava ad abbracciar li piedi Al mio dottor. Ar.: E l'abbracciava ove 'l maggior s'abbraccia. Altrove : Grifon, vedendo 'l re fatto benigno, Vennegli per gittar le braccia al collo: Lasciò la spada e l'animo maligno, E sotto l' anche ed umile abbracciollo. NOSTRA. Latini chiama gl' Italiani più volte (Inf., XXVII; Purg., XIII). TENEBRE. La luce che Dante vede nel IV dell'Inf., e il luogo luminoso è pe' soli spiriti illustri e buoni: non già per gli altri. SOSPIRI (Inf., IV, 25).

DENTI. Petr.: Gli estremi morsi Di quella ch' io con tutto il mondo aspetto, Mai non sentii.

TRE. Fede, speranza, carità. Paul. (Rom., II): Gentes quae legem non habent, naturaliter ea quae legis sunt, faciunt. S. Tom., II, mostra non potersi avere speranza nè carità senza fede.

Noi. Purg., XXXI: Fa'noi grazia. DRITTO. Brunetto: Dritta madre per

vera.

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Tomo II.

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Rispose: luogo certo non c'è posto:
Licito m'è andar suso ed intorno.
Per quanto ir posso, a guida mi t' accosto.
Ma vedi già come dichina 'l giorno,
E andar su di notte non si puote:
Però è buon pensar di bel soggiorno.

Anime sono a destra qua remote:
Se mi consenti, i' ti merrò ad esse,
E non senza diletto ti fien note.

Com'è ciò? fu risposto: chi volesse
Salir di notte, fora egli impedito
D'altrui? o non sarria che non potesse?
El buon Sordello in terra fregò 'l dito,
Dicendo: vedi, sola questa riga
Non varcheresti dopo 'l sol partito.

Non però ch' altra cosa desse briga
Che la notturna tenebra, ad ir suso;
Quella col non poter la voglia intriga.

Ben si poría con lei tornare in giuso
E passeggiar la costa intorno errando
Mentre che l'orizzonte il dì tien chiuso.
Allora 'l mio signor, quasi ammirando,
Menane, disse, dunque là 've dici
Ch' aver si può diletto dimorando.

Poco allungati c'eravam di lici
Quando m'accorsi che 'l monte era scemo
A guisa che i valloni sceman quici.

Colà, disse quell' ombra, n' anderemo
Dove la costa face di sè grembo,
E quivi 'l novo giorno attenderemo.

14. CERTO. Virg.: Nulli certa domus: lucis habitamus opacis. SARRIA. Sarrà per salirà è nel Crescenzio, e nel Cavalcanti. DITO. Joan.: Digito scribebat in terra.

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TENEBRA. JO. (XII. 55): Ambulate dum lucem habetis, ut non vos tenebrae comprehendant. Is. (VIII, 22): Ecce tribulatio et tenebrae et caligo persequens, et non poterit avolare de angustia sua.

CHIUSO. Boet.: Clausum reseret diem.

...

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SCEMO. Nel seno del monte

ALLUNGATI. V. S. Girolamo: Non allungare il tu'aiuto da me. fuor di rima nel Pataffio; e il Bocc.: Quicientro. era cavata una valle.

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