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Tarpeia come tolto le fu 'l buono
Metello, perchè poi rimase macra.

Io mi rivolsi attento al primo tuono
E Te Deum laudamus mi parea
Udire in voce mista al dolce suono.

Tale immagine appunto mi rendea
Ciò ch'io udiva, qual prender si suole
Quando a cantar con organi si stea,
Ch' or sì or no s' intendon le parole.

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a dare ad intendere, come era stato grave il fallo del peccatore, e come con fatica s'apre a uomo così inviluppato nelle dilettazioni corporali... acciocchè pensi, se altra volta ritornassi di fuori, come malagevolmente li sarebbe aperto. TARPEIA. Il luogo dove a Roma era custodito il tesoro, che Cesare spogliò ritornando da Brindisi, fugato Pompeo, per pagare i soldati. Il tribuno Metello s'oppose. Luc. (1.III): Non nisi per nostrum vobis percussa patebunt Templa... Protinus abducto patuerunt templa Metello... Tunc rupes Tarpeia sonat, magnoque reclusas Testatur stridore fores. L'atto di Cesare non par colpevole a Dante; poichè quel danaro della rep. gli era strumento a fondare l'impero voluto da Dio. MACRA. Inf., XXIV: Pistoia ..... di Negri si dimagra. Ott. Ha tratti pondi d'oro quattromillecentoventicinque, e d'argento poco meno che novecento migliaia.

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TUONO. Psal.: Introite portas ejus in confessione, atria ejus in hymnis. ·TE DEUM. All' entrare d'un'anima cantano Te Deum, per lodare i Santi e gli Angeli e Dio creatore e redentore della salute d'uno spirito; all'uscire dell'anima verso il cielo cantano: Gloria in excelsis ; nella valle: Salve Regina; verso sera: Te lucis ante ; nello scendere a riva: In exitu Israel; al venire di Beatrice: Veni sponsa ; al venire di Cristo: Benedictus qui venis. Poi gli Angeli all' entrare di ciascun giro cantano al P. parole raccomandatrici di alcuna virtù.

CANTO X.

ARGOMENTO.

Entrano nel primo cerchio de' superbi: veggono esempi d'umiltà scolpiti nel masso: e i superbi, curvi sotto gran sassi, son forzati a contemplarli, e a domare l'antico orgoglio.

Dante che si confessa superbo, contro sè medesimo predica in questo canto; dove l'imagini son trattate con amore, e le sculture veramente scolpite. Le imitazioni virgiliane cominciano a diradare: si fa più sacro il canto, e più puro. Gli esempi son tratti dal nuovo e dal vecchio testamento, e da una pia tradizione de' secoli bassi: una donna, e due re. Il Ghibellino insegna ai re l'umiltà; mostra venuta dall'umiltà la pace del mondo.

Nota le terzine 2 alla 9; la 11 alla 16; la 18; la 20 alla 24; la 26 alla 29; la 31 alla 35; la 37, 38; la 40, alla fine.

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Poi fummo dentro al soglio della porta

Che 'l mal amor dell' anime disusa
Perchè fa parer dritta la via torta,

Sonando la sentii esser richiusa.
E s' io avessi gli occhi vôlti ad essa,
Qual fora stata al fallo degna scusa?
Noi salavam per una pietra fessa
Che si moveva d'una e d' altra parte

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1. Por. Per poiche (nel c. XIV, 44), e anco in prosa. E il Petr. (son. 41). SOGLIO. (Inf., XVIII). AMOR (V. c. XVIII). Il sistema della divisione delle pene. DISUSA. Può avere due sensi: la porta la quale fa perdere l'uso del malo amore de' beni terreni (di che dirà nel c. XVII); o la porta la cui via è disusata per colpa del malo amore: ond'ella stride all'aprirsi. Buti: Lo malo amore delle cose mondane ci tiene la entrata della penitenza. Ott. Fa estimare li falsi beni essere veri.

2.

DRITTA.

SONANDO (c. IX, 46). — Richiusa. Già pentito s'incammina a virtù. - VOLTI. Rammenta la storia di Lot e la favola d'Euridice.

3. SALAVAM. Come faciavam, sapavam.

MOVEVA. Indica i disagi del primo

movere a penitenza, e del dover fuggire a ogni passo gli estremi. Agost.: Stretta è la via che ne mena a vita eterna. Ott.: È tutta opposita alla via, che

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Sì come l'onda che fugge e s' appressa.
Qui si convien usare un poco d'arte,
Cominciò 'l duca mio, in accostarsi
Or quinci or quindi al lato che si parte.
E ciò fece li nostri passi scarsi
Tanto, che pria lo stremo della luna
Rigiunse al letto suo per ricorcarsi,

Che noi fossimo fuor di quella cruna.
Ma quando fummo liberi e aperti
Su dove 'l monte indietro si rauna,
Io stancato e amendue incerti
Di nostra via ristemmo su 'n un piano
Solingo più che strade per diserti.

Dalla sua sponda ove confina il vano,
A' piè dell' alta ripa che pur sale
Misurrebbe in tre volte un corpo umano.

E quanto l'occhio mio potea trar d'ale
Or dal sinistro e or dal destro fianco,
Questa cornice mi parea cotale.

Lassù non eran mossi i piè nostri anco,
Quand' io conobbi, quella ripa intorno,
Che dritto di salita aveva manco,

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vogliono li superbi, li quali la vogliono larga... e che ogni uomo dea loro luogo e levi loro dinanzi qualunque cosa pare impedire,o ritardare il loro volere. APPRESSA. Al lido.

...

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PARTE. Svolta. Ott.: Secondo che il sasso cede, si vuole prendere il cammino. L'umiltade è opposita della superbia, e però questo seguire in accostarsi, non è altro, che essere umile.

SCARSI. C. XX: Passi lenti e scarsi (piccoli). - RIGIUNSE. A ponente. La sesta ora del giorno. Scema la luna perchè lontana due segni dal tempo di sua pienezza. Era piena (Inf., XX) quando il P. entrò nella selva. Siam dunque al giorno quinto dal plenilunio: e la luna doveva tramontare quattr' ore dopo il nascer del sole. Più di due ore passarono quando il P. si destò (c. IX, 15). Dunque a fare la salita spesero poco men di due ore. LETTO. Nell' altro emisfero dispare.

CRUNA. Via lunga e angusta. - INDIETRO. Lasciando un ripiano.

SPONDA. La superbia, come colpa più grave, sta più lontana dalla cima del monte. MISURREBBE. Bocc.: Sofferrei.

9. ALE. Petr.: Poi stendendo la vista quant' io basto, Rimirando ove l'occhio oltre non varca.

10.

DRITTO. La roccia perpendicolare da cui non si poteva salire. Frase contorta. Conv. (II, 2): Parea me avere manco di fortezza.

Tomo II.

I I

II.

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II.

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Esser di marmo candido, e adorno
D' intagli sì che non pur Policreto,
Ma la natura gli averebbe scorno.

L'angel che venne in terra col decreto
Della molt' anni lagrimata pace

Ch' aperse il ciel dal suo lungo divieto.
Dinanzi a noi pareva sì verace
Quivi intagliato in un atto soave,
Che non sembiava immagine che tace.
Giurato si saria ch' ei dicesse: Ave;
Perchè quivi era immaginata quella
Ch' ad aprir l' alto amor volse la chiave.
Ed avea in atto impressa esta favella:
Ecce ancilla Dei, sì propriamente
Come figura in cera si suggella.

Non tener pure ad un luogo la mente,
Disse 'l dolce maestro, che m' avea
Da quella parte onde 'l core ha la gente.
Perch' io mi mossi col viso, e vedea
Diretro da Maria, per quella costa
Onde m' era colui che mi movea,

Un'altra storia nella roccia imposta:
Perch' io varcai Virgilio, e femmi presso,
Acciocchè fosse agli occhi miei disposta.
Era intagliato lì nel marmo stesso
Lo carro e i buoi traendo l'arca santa,

POLICRETO. Di Sicione. Ne parla Cic. (Rhet., II); e V. Mass. lo loda per le imagini sue degli Dei. Le sculture rappresentanti umiltà pone ritte sul monte : le simboleggianti superbia, sul suolo, che le calpesti chi passa. (c. XIII, 3).

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GLI. Per vi

L'ANGEL (S. Luc., I). Esempi d'umiltà atti a sviare dal vizio contrario. S. Greg.: Sicut incentivum elationis est respectus deterioris, ita cautela humilitatis est consideratio melioris. VENNE. Missus est Angelus ... Ott.: La somma superbia fu quella di Lucifero; la somma umilitade fu quella di Cristo. — LAGRIMATA. In senso simile ha fleti Virg.

AvE. Ar.; E parea Gabriel che dicesse ave.

ANCILLA. Queste parole nelle Rime applica il P. all'amore ed all'anima propria: Amor, signor verace; Ecco l'ancella tua : fa che ti piace. CORE. Manca. Arist. (De Part. animal).

TRAENDO. Per traenti. Nelle Rime: D'esto cuore ardendo, per ardente. - ArCA. Quando Davide, che secondo la carne fu antecessore di Cristo, la trasportò

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Perchè si teme ufficio non commesso.

Dinanzi parea gente, e tutta quanta
Partita in sette cori, a' duo miei sensi
Facea dicer l' un: no, l' altro: sì canta.
Similemente al fumo degl' incensi,
Che v'era immaginato, e gli occhi e 'l naso
E al sì e al no discordi fensi.

Lì precedeva al benedetto vaso,
Trescando alzato, l'umile salmista,
E più e men che re era 'n quel caso.
Di contra effigiata ad una vista
D'un gran palazzo Micol ammirava
Sì come donna dispettosa e trista.

da Cariatiarim a Gerusalemme (Reg., II, 11). morì.

...

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UFFICIO. Oza toccò l'arca e

SETTE (Reg., II). L'Ott. traduce: Ragunò David tutti li eletti d' Isdrael trentamila, e con loro andò per rimenare l'arca di Dio... E puosero l'arca di Dio sopra 'l carro nuovo Il re David, e tutto Isdrael sollazzavano dinanzi in tutti strumenti lavorati in cetere, chitarre, tamburi, cembali, e sistri. E poich' elli pervennero all'arca, Oza stese la mano all' arca di Dio, e trassela, perchè li buoi recalcitravano, ed inchinavano quella. Iddio indegnato è contra Oza, e percosse quello il quale è morto ivi allato all' arca. E temette David il Signore quello di, dicendo: Come entrerà a me l'arca di Dio? E non volle volgere l'arca del Signore nella città di David, ma la fece ridurre nella casa di Obed-Edon Ghitteo; e stette l'arca del Signore in quella casa di Obed-Edon Ghitteo tre mesi... E disse David: Io andrò, e rimenerò l'arca con la benidizione della casa mia... Ed erano con David sette cori... E David toccava gli organi, e saltava con tutte le forze dinanzi al Signore. David aveva alzato uno Ephod di lino. E David, e tutta la casa d' Isdrael conducevano l'arca del testamento del Signore in cantare, ed in suono di tromba. E conciofossecos achè l' arca del Signore fosse entrata nella città di David, Micol figliuola di Saul riguardò per la finestra, vide David re cantando ... e ballante innanzi al Signore, e dispregiollo nel cuore suo E tornossi David per benedicere la casa sua. Ed uscita Micol figliuola di Saul incontro a David, disse: oh come fu oggi glorioso il re d' Isdrael, discoprendosi alle serve de' servi suoi ... Disse David a Micol: se Dio m'aiuti, vive il Signore, ch' io sollazzerò dinanzi al Signore, il quale elesse me in re ... e comandommi, ch' io fossi duca sopra il popolo di Dio di Isdrael. Io giucherò, e farommi più vile ch'io non sono fatto, e sarò umile e basso nelli occhi miei; e parrò glorioso con quelle ancelle, delle quali tu hai parlato.

Si. Tasso, XVI: Manca il parlar; di vivo altro non chiedi: Nè manca questo ancor, se agli occhi credi. -FENSI. Si fecero (Par., VII).

Più. Ott.: Più che re (in quanto in ministerio di quell' arca di Dio), e meno che re (in quanto che, come buffone, sonava e cantava e ballava). VISTA. Finestra (Inf., X).

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