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secolo X, e pur da più di due secoli ebbe il nome ufficiale di Toledo, e da più di venti anni l'altro più italiano di Vittorio Emmanuele. I nomi volgari topografici che si leggono ne' primi diplomi normanni, non erano nati al certo, dice l'Amari, in quella medesima generazione; e Terra russa tuttavia, e la Castellana e li Castelluzzi, e la Fumata, e l' Ulmu, e lu Pantanu, e rua, e Turretta, e Serra dello Conte, e Gurga, e Forgia, e Monticello, e Serra, si dicono ad esempio tuttavia i luoghi che portavano questi nomi sulla fine del secolo XI. Il Monastero di S. Maria de Nemore che in un diploma del 1212 si diceva << vernacula lingua de Bosco », così è nominato fin oggi nel vernacolo, cioè nel volgare siciliano, il quale già aveva questo nome nella lingua cancelleresca del secolo XIII, prima che fiorisse la così detta cultura sveva, e i Ghibellini d'Italia fossero accorsi alla Corte di Federico (1).

Questo documento adunque del vernacolo siciliano adoperato a volgarizzare dal greco un capitolo di San Marco sulla seconda metà del secolo XIII, mentre Frate Atanasio di Jaci l'adoperava a narrare la Vinuta di lu re Japicu a Catania, e un anonimo barone o borghese a ricordare ai posteri i fatti del Ribellamentu contra re Carlo, sarà da Lei, illustre Signore, sicuramente bene accolto, e non farà ad altri più domandare un documento di prosa siciliana anteriore al 1300, sopra cui non potesse cadere dubbio alcuno quanto alla sua autenticità. Si è dubitato di taluni documenti del secolo XII, ma nessuno dubiterà mai delle voci volgari che si leggono ne' diplomi del secolo XI e

(1) Molti nomi volgari di luoghi si trovano eziandio ne' diplomi di Desiderio re de' Longobardi, di Carlo Magno, e di Rugero Duca di Puglia e di Calabria, esistenti nella Badia di Monte Cassino, e riferiti dall' abate Tosti nella sua Storia della Badia di Monte Cassino, t. I. p. 90-96, t. II. p. 96. Napoli 1842.

XII, della leggenda delle porte di bronzo di Monreale, e di questo volgarizzamento interlineato nella scrittura di un codice del secolo XI, e fatto non più tardi del secolo XIII.

Della notizia del quale volgarizzamento debbo ringraziare pubblicamente l' egregio Papas Filippo Matranga, prete greco di Sicilia, che avendolo veduto, attendendo con molta diligenza a un indice ragionato de' Codici greci della Biblioteca Universitaria di Messina, mel volle mostrare gentilmente trovandomi io in quella città nel settembre passato, aggiungendo di più il regalo di un bellissimo facsimile di quell' antica scrittura, sul quale dotti paleografi di Francia hanno dato il loro avviso, solamente giudicando di un secolo più antico che non si teneva il testo greco e il codice.

Voglia Ella, Ill.mo Sig. Commendatore, conservarmi la sua benevolenza, e permettermi che mi raffermi sempre

Palermo, 15 Aprile 1883.

Tutto suo dev.mo

V. DI GIOVANNI.

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Assedio e

VII. Guerre del Cid contro gli Arabi e contro gli Spagnoli. presa di Valenza. — Morte del Cid.

VI.°

Gli ultimi anni del glorioso regno di Fernando I.o furono occupati in continue guerre contro gli infedeli. Dopo la presa di Coimbra che il monarca spagnolo trattò con dolcezza singolare per quei tempi, le armi castigliane si rivolsero nella primavera del 1059 contro Berlanga Medinaceli e altre terre e nel 1060 contro la Cantabria e Toledo, il cui visir al Mamun si liberò dall' assedio prestando omaggio e pagando ingenti tributi. Nel 1061 e 1062 per l'Estremadura e la Lusitania entrò Fernando in Andalusia ed Ebn Abed governatore di Siviglia dovè pure pagare tributo e promettere al re di consegnargli il corpo di S. Giusta vergine e martire. Ma il prelato Alvito mandato da Fernando per prendere la santa reliquia ebbe una visione nella quale gli apparve S. Isidoro che gli ordinô

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di lasciare il corpo di S.a Giusta in Siviglia e di portare invece a Leon il suo proprio corpo, rivelandogli in qual luogo lo troverebbe seppellito (1). Aperta la tomba i preziosi resti di S. Isidoro furono raccolti e portati a Leon, l'anno 1063. Essendosi riuniti a tal cerimonia i principali cavalieri e baroni del regno, Fernando li raccolse in assemblea più politica che religiosa, e non pensando quanti mali susciterebbe, fece in detta adunanza la divisione dei suoi stati ai suoi figli. Lasciò al primogenito Sancho la Castiglia, ad Alfonso il regno di Leon, a Garcia la Gallizia, alla figlia Urraca la città di Zamora e ad Elvira quella di Toro; più in comune ad ambedue le figlie lasciò le rendite di tutti i monasteri del regno (2).

(1) Il primo cronachista che ci lasciò il racconto di simili prodigî ė il monaco di Silos, che ci assicura d'averli sentiti raccontare da testimoni oculari: mira loquor, ab his tamen qui interfuere me reminiscor audisse.

Al prelato Alvito fu anche rivelato da S. Isidoro il giorno in cui morirebbe, e ciò accadde, secondo la fatta profezia, 7 giorni dopo la scoperta delle reliquie. (V. Risco = vita di S. Alvito). Gli Atti della traslazione del corpo di S. Isidoro da Siviglia a Leon, furono pubblicati dal Florez. (V. anche Laf. II.o 389 ).

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(2) L'ordine dei figli di Fernando (Mariana Libro IX. cap. II.o 277) era il seguente: Urraca, Sancho, Elvira, Alfonso, Garcia. Narra la tradizione che Sancho non era molto amato dal padre; la cr. del Cid del 1548 (trad. del Saint-Albin) racconta p. 17-18) che « Fernando prego Dio di non benedire Sancho, e di non concedergli figli eredi del trono ». È certo che Sancho fu di natura violenta e ambiziosa, ma questa paterna maledizione fu certo immaginata in tempi posteriori per spiegare come Sancho morisse giovine e senza eredi. Altro passo sommamente drammatico, e che fu imitato poi nelle tragedie spagnole e francesi, trovasi nel romance: Morir vos queredes padre (Mich. XLIV 70): Fernando dona Zamora alla figlia Urraca, e soggiunge

«Quien vos la tomare hija,

La mi maldicion le caiga ».
Todos dicen: « Amen, amen
Sino Don Sancho que calla.

Posto così ordine alle interne faccende, il vecchio monarca armò il suo esercito per un' ultima guerra contro gli Arabi. Nell' anno 1064 andò nell' antica provincia celtiberica (1) e si spinse fino sotto Valenza. Sconfisse i Valenzani a Paterna (2) e già la città era ridotta alle strette quando il re cadde ammalato. Dovè ritornare verso Leon,

Questo romance che è fra i più antichi, fu imitato anche da altri poeti. Nel romancero dell' Escobar (1612) i quattro versi surriferiti son quasi copiati alla lettera. Il romancero general (Medina 1602) cosi li riporta:

A quien te quite a' Zamora
La mi maldicion le caiga! »
Todos responden Amen,
Sino Don Sancho que calla.
Iuramento tiene hecho
Sobre la cruz de su espada

Que antes de la media noche
De tenérsela quitada.

Ma ognun vede come quest' aggiunta, messa per far maggior colpo, riesca invece all' effetto contrario e raffreddi assai l'impressione dei primi quattro versi così semplici e nello stesso tempo tanto drammatici. - (Sul romance: Morir vos queredes padre » v. anche Milà y Fontanals De la poe.a heróico pop. p. 280-281) (v. anche Ticknor St.a della letter. spag.a p.a I 147,) ove di questo romance porta una lezione che non è nè quella dell' Escobar, nè della Michaelis. Dice che è un romance antichissimo, stampato per la prima volta nel 1555; dovea esser molto conosciuto e popolare, perchè è spesso citato dagli autori di quel tempo, e fra gli altri dal Cervantes nel Persiles y Sigismunda (III.o 21 ) e dal Guillen de Castro nelle Mocedades del Cid.

(1) La cronica del Cid assai vagamente fissa i confini della provincia celtiberica fra l'Ebro e il passaggio d' Aspa (Pirenei).

(2) Di questa vittoria di Fernando a Paterna, vittoria ottenuta mercè uno stratagemma guerresco, nessuna notizia ci è data dalle cronache cristiane; solo ne parlarono gli storici arabi, Ibn-Bassan e Almakari. (v. Dozy op. cit. e Laf. II 391 n.

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