piazera, de bene morire. E questo basti quanto al tractato e arte de bene morire. »> «<< Laus deo Finis. >> Dopo alcune carte, che contengono Indulgentie urbis Rome, e Vrbis rome Mirabilia in latino, son le due leggende che seguono: 15. Da car. 292 r. a 299 v. De lo viuo e de lo morto. « Al nome de dio summo padre onipotente, De vuy voglio fare memoria. Pero che di pecadi se possamo pentire E reçeuere dono eternale nel nostro finire, De De lo purgatorio e del suo stare. Pero vi piaqua de ascholtare Di quella zente che in quelle pene a ha stare, Bene vi diro io la veritade Di quilli luoghi como fati sono, Que dimora le anime che in quelle pene jaçe, E de le soe grieue pene e martorio. Ora intendeti, segnori e bona zente, De doi compagni che sempre stauano insembre: E gentili homeni e de gran valore. Grande amore insembre se portauano, Si che lo di cum la note insiembre andauano: Mori vno de loro, e altro haue grando dolore. Ora siando morto lo suo compagnone, Per modo che lo spirito suo may poso non hauea. Volsi videre como staua lo suo compagno: In la quale trouo vna noua figura. La soa figura staua laydamente E lo segno de la santa croxe ello s aue a fare. Disse lo viuo al morto: non tardare, L anima del compagnone de presente Si vene e si disse: perche m a chiamato? In tanta pena io hera che dire non te lo poria: Non foss io may nassuto al mondo, Dolce compagno: lasso mi dolente! Era richo e pieno de grandi dinari; De done e donzelle al mio bono piaxere. Dissi lo viuo al morto: or me di vna cosa, Che ella te hauesse renduda la toa sanitade; Respoxe lo compagno che era morto: Compagno mio cortexe, tu lo cercharai, Non e cosa piu amara, piu forte che la morte: Tempo vignera che tu lo prouaray. Per schampare quella non he signore si forte Ne per richeça ne per hauere assay, Ne per essere armato la ventura: Alora piu tosto ella s asegura. E te so dire che la morte e si fata: Quando 1 omo vene al ponto de la morte, Puo si vene cum la soa layda e spauoroxa faça, Lo spirito alora combate si forte Ch el romperane cum li denti li feri de le porte. Disse lo viuo alora de prexente: O compagno, doue sono le toe beleçe Disse lo morto: lasso mi topino, Che non credeua uegnire a questo ponto! Che non curava se no del corpo mio: Disse lo viuo: non ti desdegnare, Quello te dicho lo faço io per bene; Pero che de le altre cose ti voglio domandare, De quelli che va e sta in quelle pene, Quando passasti chi te guida: Dime, compagno, in che stato tu sey; E se tu fosse examinato dinançi al signore, Disse lo morto: da poi che foi in etade, Tristo choluy chi aldira tala sentencia! Per mi lo dico, lasso me dolente, Che condennato sono al fuogho ardente! Lo viuo comenzio a parlare, Dicendo: como non pensasti Perche lasastu la toa nobilitade, Che corpo del signore non rezeuisti? Disse lo morto: io non credeua de morire, E questo feçi io per bono parere, E feçi a mi inganno, e a luy pocho honore. Disse lo viuo al morto cum dolore: Respoxe lo morto: quello che e fato Chi male fai li soi fati pare dannato Primo, compagno, io te voglio dire Che tu chati che preghi dio a ogni hora, E ogni di si pregha e ogni hora : Vol. XVI, Parte I. 25 |