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luogo alle nuove, molte si erano modificate, altre meglio ancor rassodate. Non è quindi meraviglia, se nell' Ortis si trovano concetti nuovi, giudizi più giusti, schietti e maturi che non sono nella Vera Storia, tante serie e generose sentenze che mancano in quella. Non minore cambiamento era necessario avvenisse anche per ciò che concerne il modo, con cui l'Ortis doveva essere scritto.

Ma perchè il Foscolo potesse effettuare tutti questi cambiamenti or ora menzionati così bene come aveva in animo di fare, gli era assolutamente necessario di ampliare altresì la primitiva tessitura del dramma in più versi e sensi. Così per esempio il tempo, destinato allo svolgimento del vecchio dramma nella Vera Storia, sarebbe stato pel nuovo troppo angusto, e perciò ecco il motivo, che indusse il Foscolo a portarlo pressochè al doppio di quello che prima non fosse. Una cosa richiamava necessariamente l'altra.

In breve, nelle morali e fisiche modificazioni avvenute in quei tre anni nella persona del Foscolo in mezzo a tanti avvenimenti e si diverse circostanze dobbiamo sopratutto ricercare le ragioni di quei cambiamenti d'ogni maniera, che sono avvenuti nell' Iacopo Ortis.

Resta ancora, che si dica qualche cosa dei due romanzi artisticamente considerati.

Immensa è la distanza che corre fra l'uno e l'altro, e precisamente tanta, quanta è fra il Foscolo del 1798 e quello del 1802. Nel primo (beninteso la parte scritta dal Foscolo) tu ravvisi un'autore non ancora padrone di sè, un giovane di cuore affettuoso, nobile, capace di grandi emozioni, ma che si lascia facilmente trascinare dalla passione; un giovane di animo forte e generoso, ma che nella sua fortezza si mostra talora incostante di propositi e non molto esperto del mondo. Tu scorgi nell'autore una mente elevata, perspicace ed immaginosa, spesso in contrasto col

cuore; un' ingegno originale che cerca di manifestare in una nuova maniera quel turbine di cose che gli gira nel capo, ma che non sa e non può tutto spiegare, ondeggiando così tra concetti e concetti tra forme e forme. In lui si vede un intelletto superiore, ma non ben definito, perchè in esso alla fermezza dei principi prevale quasi sempre la subita impressione, l' impeto. In altri termini, si riconosce subito nell' autore un giovane ricco di molte doti moráli, ma non ancora abbastanza maturo. La Vera Storia si sente fatta più in fretta che no, più per un'impetuoso proposito che per seria riflessione ed esame. Cosí facilmente si spiega, perchè essa difetti non poco e nella concezione e nell' orditura e nella condotta; perchè l'elocuzione non sia sempre sicura, chiara ed efficace; perchè la lingua sia poco corretta, fors' anche trascurata; perchè lo stile ora sia troppo carico, ora troppo dilavato, nè sempre risponda convenientemente alle idee; perchè finalmente non abbia un'impronta tutta sua propria. La Vera Storia, in breve, anche compiuta ed attentamente ritoccata sarebbe stata sempre un'opera assai difettosa, appunto perchè ancor troppo giovanile.

Nell' Ortis in cambio quasi tutto muta d' aspetto. Riconosci certamente che l'autore è quello stesso di prima, ma quantum mutatus ab illo!

Nell' Ortis c'è tutto il Foscolo intiero, un'autore omai padrone di sè. In lui tu trovi un cuore ricolmo d'affetto, che sente e passionatamente sente, un cuore la cui volontà dispone talora, è vero, della ragione in apparenza debile ed inferma, ma in realtà sana, che può e sa, seppur vuole, dominare sè stessa; tu vedi un' animo forte. fino alla fierezza, generoso fino al suo danno, del mondo conoscitore profondo, di carattere aperto, nobile e tenace, d'un ingegno originalissimo, e robusto e potente, che seconda l'impeto della fantasia con mirabile destrezza ed

abilità. Nell' Ortis l'autore si palesa maturo, e mostra che ha una coltura omai superiore, fermi e chiari convincimenti, se non sempre buoni, che medita prima di scrivere, ancorché faccia ciò quasi contemporaneamente. Subito si capisce, come l'Ortis sia un'opera di cuore e di ragione insieme, in cui prevale ora l'uno, ora l'altra, di fervida ed impetuosa fantasia non disgiunta da una seria riflessione. Perciò l'Ortis è di gran lunga, anzi incomparabilmente superiore alla Vera Storia, e se qualche difetto possiede, lo copre con innumerevoli pregi; perchè esso è maturatamente concepito, e con mirabile arte condotto. L'elocuzione in esso è quasi perfetta, la lingua corretta e scelta, lo stile poi accomodato ai concetti così, che riesce colorito, vigoroso, castigato, armonioso, affascinante, nuovo, d'un genere tutto suo proprio, che sta fra il classico ed il romantico e che ti conduce ad una prosa meno arteficiata, più libera e robusta che prima non fosse, alla nuova prosa del secolo decimonono.

Concludendo: la Vera Storia è un'opera incompiuta, un tentativo, buono anche se vogliamo, un' abbozzo; l'Ortis è un'opera quasi perfetta, una seria prova d'un potentissimo ingegno, un capo lavoro.

APPENDICE.

ARTICOLO I.

La Teresa dell' Iacopo Ortis. (1)

Fino all'anno 1880 si credeva e probabilmente da tutti, che il Foscolo nella Teresa dell'Ortis avesse voluto rappresentare la pisana Isabella Roncioni, una delle donne da lui più ardentemente amate.

Il primo, che a mio giudizio dubitò della verità di questa generale opinione, fu lo Zschech, il quale proprio in quell'anno asseri ma con qualche confusione, che il lavoro primitivo dell'Iacopo Ortis si fondava sopra una relazione amorosa diversa da quella accennata nella lettera del Foscolo al Bartholdy, cioè la Toscana, e tenne per un novello inganno ciò che il Foscolo in essa disse e ripetè poi il Carrer intorno all'argomento amoroso del romanzo. (2) I primi si fidarono di certe affermazioni del Foscolo, il secondo argomentò da parecchie inesattezze e contradizioni del Foscolo stesso e dai dubbi del Pecchio.

(1) Giustizia vuole che io ricordi al lettore, che questo articolo fu scritto, così come è stampato, molto tempo prima di quello del Chiarini, col quale ha comuni oltrechè il titolo anche lo scopo ed il risultato. Come io fossi stato da lui prevenuto nella pubblicazione, ho già detto.

(2) Nuova Rivista internazionale di Firenze, 1880. N. 6 ed 11.

Come più tardi si conchiuderà, hanno ragione e torto i primi e torto e ragione il secondo; tuttavia è necessario, che si esamini bene la quistione, perchè altrimenti essa resterebbe ancora indecisa.

La causa della confusione sopradetta si deve attribuire al fatto, che tutti, meno lo Zschech, ragionarono dell'Ortis senza riflettere, che il Foscolo ne aveva scritto due, uno nel 1798, l'altro nel 1802. Per poter risolvere la quistione devesi tener conto di ambedue essendo non poco differenti fra loro.

Ciò premesso, si noti, che le protagoniste dei due Ortis non sono un'identica persona, tuttochè Teresa sia il nome si dell' una che dell' altra. E per vero, se legge, chi non avverte che, se nel primo Ortis la Teresa è moglie di Odoardo ed ha una figliolina, nel secondo invece non è più che una fidanzata di lui e la figlia diventa una sua sorella, e poi ciò che massimamente importa, che se la prima Teresa ha le « chiome nere », la seconda invece si distingue per le « chiome biondissime » o pei<< crin d'oro »? Da ciò solamente risulta, che il Foscolo sotto un medesimo nome volle rappresentare due donne diverse, due diverse sue amanti.

Resta ora, che si investighi, quale delle due amanti reali fosse tratteggiata nel primo Ortis, quale nel secondo. Argomento amoroso del primo romanzo non può essere stata la Roncioni per più motivi. Primieramente perchè il Foscolo nel 1798, quando dettava la Vera Storia di due amanti infelici ossia Ultime lettere di Iacopo Ortis, non aveva potuto ancora conoscere la Roncioni per non essere stato prima di quel tempo in Toscana. Inoltre perchè, essendo ambedue le Terese « caratteri storici », non poteva la Roncioni essere rappresentata come moglie di Odoardo, mentr'essa in realtà prima del 1798 non fu moglie di alcuno. Solo due anni dopo divenne Bartolommei. Final

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