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DI GIOSUE CARDUCCI POETA, E DELLE SUE POESIE. Firenze, tip. del Vocabolario, 1883, di pag. 56 in 8.o

Il nostro secolo incominciò colla restaurazione della classica letteratura, e della religione. I migliori poeti, storici, e filosofi, ultimo dei quali possiamo dire Alessandro Manzoni, scrissero con questo nobilissimo intento opere celebrate per tutta Europa. Qualche eccezione non impedi l'avviamento generale della nostra letteratura. Ora finisce in modo al tutto contrario. Il buon costume è offeso dal più sfacciato epicureismo. La dottrina, che può dirsi universale, e perpetua, della spiritualità dell'anima nostra, è soverchiata dal materialismo, comunque di leggiadre forme camuffato, e raggentilito. Negato Dio, si è decantato il trionfo di Satana. Perfino la prosodia, e la ritmica nazionale si vollero abolite, ed una poesia veramente barbara nel senso legittimo del vocabolo, anzi che in quello che si volle per esso intendere, fu posta in loro luogo. Il contagio è molto esteso, in ispecie fra i giovani. Il servo greggie degli imitatori, secondo l'antica usanza, superò ne' peggiori difetti il maestro.

Egli era ben da credere, che un benemerito cultore delle classiche lettere sottoponesse a severo giudizio alcu no dei capi famosi della rivoluzione letteraria italiana. Il signor L. P. (sotto le quali lettere iniziali ne sembra debbasi leggere Ludovico Passerini) esalta il poetico ingegno di Giosuè Carducci, ma per filo e per segno ne disamina le poesie, si nella forma, che nella sostanza, prendendo le mosse da quelle prima edite a Firenze dal Barbera nel 1871, e venendo di mano in mano fino alle Odi barbare pubblicate nel 1882. Non è una pagina improvvisata dopo la lettura di un opuscolo che non appaga il nostro gusto: è un'opera di critica, dettata con scienza e coscienza,

quali in sifatte produzioni rare volte si ammirano. Non si può compendiarla: bisogna leggerla tutta, e ben ponderarla.

Eccone la conclusione : « In Italia, vivaddio tutto non è guasto ancora. Poeti lirici, secondo l'indole nostra, il sentir nostro, e le nostre tradizioni, ci sono: ma son poco noti, perchè il bociare fanatico, che si fa attorno ai novatori, distrae da quelli l'attenzione dei più. Ed io mi auguro tempo e quiete si, che possa ciò dimostrare con un altro libero esame di questi ignorati, e non ignobili successori dei penultimi lirici italiani, del Parini, del Monti, del Foscolo, e del misero Leopardi. Al Carducci amoroso dei contrapposti, non dovrebbe dispiacere, forse, ch' io alle sue liriche metta di contro quelle di coloro, i quali figli di una sola nazione, amando una sola patria, cantano ingenuamente, e dalla loro propria natura ispirati, le patrie glorie, e le sventure, e salvano dal dileggio dei posteri la civiltà nazionale. Si, che Carducci sarebbe il massimo lirico di questo lembo di secolo, e il più degno successore dei prenominati, se disgraziatamente non avesse volto i suoi studii alle letterature straniere; e se, per quelle ragioni ch' ei sa, e ch'io non m' attento di scrutare, non volesse amalgamare il sentire italiano, da cui è prodotto per noi italiani il bello, col sentire dei Tedeschi, dei Francesi, degli Inglesi, ecc. i quali naturalmente con diverso sentire del nostro, producono un bello diverso per loro medesimi, e non per noi. »

Desideriamo imitatori di questo pur troppo raro esempio di censura rigorosa, ma pacata erudita e civile.

LUIGI GAITER.

A. PALOMES

SANTA RUSALIA VIRGINI PALERMITANA,
Palermo, tip. Puglisi 1883.

quattro parole di lu griddu.

Nella dispensa che va innanzi a questa, abbiamo distesamente ragionato del primo volume della Storia dei Normanni in dialetto siciliano, che pubblica il ch. signor Antonio Palomes. Mentre è sotto i torchi il secondo volume, diede fuori queste Quattro parole intorno a s. Rosalia vergine palermitana, che avrebbero dovuto venire in luce alquanto tempo dopo. Egli ne antecipò la stampa per festeggiare il giorno solenne della Santa, come è detto nella breve prefazione.

Coll' autorità di valenti scrittori abbiamo dimostrato i pregi di quest' opera, tanto per ciò che riguarda la scienza storica, quanto per ciò che si attiene alla filologica. Queste Quattro parole hanno le doti del volume, di cui abbiamo parlato. La storia, la pia tradizione, la topografia della Sicilia, ad ogni pagina con ottime citazioni porgono il loro servigio al religioso e patriotico racconto, reso decorosamente ameno dal canto del grillo, dal dialogo, dagli interlocutori, e dal dialetto indigeno.

Con gradita sorpresa infine del volumetto ci si presentano, l'Inno di Giuseppe Borghi, e quello di Terenzio Mamiani ad onore della Santa. Oltre che alla letteratura, giovano alla storia. Sono documenti del rifiorimento della nazionale poesia ispirata da nobilissimo sentimento religioso nella prima metà di questo secolo. Specialmente in quello del Mamiani, che tratta più ampiamente il sacro argomento, la retta imitazione della poesia greca, la migliore scuola della versificazione italiana, le memorie e le speranze della nazione santificate dalla religione della croce, quanto soavemente ci commuovono pure nella nostra vecchiaia, dopo che nella gioventù ci hanno mirabilmente

commosso! Sia onore a chi trasse profitto dalla fortunata occasione, per mettere di nuovo in luce sì perfetti esemplari. Questa è vera benemerenza nazionale.

LUIGI GAITER.

LA DISCESA D'UGO D' ALVERNIA ALL' INFERNO, secondo il codice franco-italiano di Torino, per cura di RODOLFO RENIER. Bologna, presso G. Romagnoli, 1883.

Nella nostra adolescenza eravamo paghi di ammirare, per lo meno nei brani che ci mettevano innanzi nelle antologie, i migliori nostri poemi cavallereschi, celiando su tanti altri, ch' erano troppo lontani dalla perfezione di quei pochi, sogghignando sulle goffe leggende applaudite da secoli nelle campestri brigate, e scherzando sui romanzi infelici del Chiari, come ne aveva insegnato nella Frusta letteraria il terribile Aristarco Scannabue. La grande fama poscia acquistata in breve dai numerosi romanzi di Gualtiero Scott, comunque voltati nella nostra lingua, richiamò la generale attenzione sopra questo genere di letteratura, del quale prima si curavano ben pochi. I Promessi sposi, la fama dei quali assai lentamente, e fra molti contrasti, ma sempre meglio si estese, e gli eletti ingegni che ne seguirono la scuola, suscitarono dipoi una rivoluzione inattesa nella nostra repubblica. Dopo che molti composero romanzi ben presto dimenticati, o nati morti; si studiò profondamente, e non solo dai nostri, la storia del romanzo, incominciando dall' antica sua origine, e seguendolo in tutte le molteplici sue metamorfosi. A questa, che è molto condotta innanzi, ma non compiuta, aggiunge ora una preziosa pagina il prof. Rodolfo Renier nella erudita prefazione alla critica edizione della Discesa di Ugo d'Alvernia all' inferno. È la dispensa 194 della Scelta di curiosità letterarie inedite o rare dal secolo XIII al XVII,

in appendice alla Collezione di opere inedite o rare, edita dal Romagnoli a Bologna.

Distesamente ragiona a principiio intorno ai romanzi franco-italiani. Vuolsi molto osservare codesta specie di strani racconti, i quali per la natura degli avvenimenti che narrano, e per la lingua in cui sono dettati, dimostrano tanta attinenza fra l'Italia superiore, e la Francia. Antichissima, incominciata per lo meno ai primi tempi de'quali abbiamo libri di storia, è l'affinità, e, per così dire, l'alleanza morale,fra le due vicinissime regioni. Avevano infatti comune il nome, distinguendosi presso i Romani l'una dall' altra Gallia solamente per essere dall' una o dall'altra parte delle Alpi. Stretta consanguineità, e comune interesse, ne congiungeva i popoli. Nella storia veggiamo le colonie anche assai tardi costrette all' emigrazione, recarsi difilato ne' paesi, da' quali, secondo una tradizione pur mitologica, erano partiti i loro avi, avvegnachè, quando tacciano i documenti, la voce del sangue sempre facciasi per naturale istinto ascoltare. Monumento indestruttibile rimane sempre la favella. I dialetti dell'Italia superiore hanno pur oggi grande somiglianza con quelli della Francia. Più avevanla nei tempi di mezzo, avvegnachè quanto progrediscono, le lingue si modifichino secondo un tipo lor proprio, e suddividansi in dialetti, e sotto-dialetti.

Analizzando molteplici documenti, dimostrai sopra questo Giornale, come nel secolo di Dante, ed anche prima, non solamente nelle provincie venete, ma altresì nell'Emilia usavasi ne' pubblici documenti un idioma, al tatto somigliante alla lingua moderna, ed assai più al vecchio francese che al basso latino, conservato allora dalla chiesa, e dalla magistratura, non che dalla letteratura aristocratica.

L'autore nota benissimo, come i romanzi franco-veneti, siano una specie dei franco-italiani, che per molte

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