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› aliquid, sub Volens de parte tre per modum dum existimavi Sv.-Le quali

e man mano ci

ante verità, che obbe l'epistola ad ogni uopo, me generale al del Paradiso. le stampe, mi 1. ed il Witte; riale del prinparole, che si 'ibro, indicano ›dia. Al che si re onde sia che runetto di for-), e con quale Visione, ei si 1 giusto e sano siffatta guisa scendo a lieto iara.

io imperiale a
ederico d'Au-
nelle stampe
lla desinenza
di sacratis-

imperio. Il
Balbo, leg-
a et civitate
servare, che

urbe con in civitate, mi parve miglior consiglio di nominar pure Verona e Vicenza, lasciando ai lettori di farne quella distinzione che si richiede.

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saranno

§ I. Inclytæ vestræ magnificentiæ laus, etc. Sono queste pressochè le stesse lodi, che si attribuiscono a Cangrande al PAR. XVII, 85 Le sue magnificenze conosciute ancora si, che i suoi nimici · non ne potran tener le lingue mute. A lui t'aspetta, ed a' suoi benefici: trasmutata molta gente — cambiando condizion ricchi e mendici. E non si dirà poi di Dante una lettera, la quale ne interpreta così rettamente e chiaro n' esprime gli ascosi concetti? Così gli è suo quello scritto, come il vero è uno.

per lui fia

Volitando corregge il Witte a norma del cod. mon., e però che dinota maggiormente l' incerto discorrere della fama, ho stimato si dovesse anteporre al volitans del cod. med. e al volitanter della volgata. Mantengo pur lo stesso vocabolo nella traduzione, giacchè il Poeta si piacque usarlo: PAR. XVIII, 79. Si dentro a' lumi sante creature volitando cantavano.

Huius quidem præconium, etc. Benchè da questa lezione del cod. mon. si possa ritrarre un congruo senso, non mi son dipartito dalla volgata, come quella che bene si presta a dinotare le lodi insieme e il grido della fama che le diffonde.

Veri essentia. Così i codici tutti, ad eccezione del mon., dal quale il Witte dedusse veri exsistentia molto propriamente, dacchè de' fatti non s'investiga nè s' attende tanto l'essenza, quanto la vera quantità (Con. I, 3), se cioè stanno di qua dai termini del vero o li oltrepassano.

Aliquando si trova nel cod. mon., ed il Witte ben seppe giovarsene a correggere l'alii o ali degli altri codici e delle stampe, donde non si poteva riuscire a niun buon costrutto, senza torcere i vocaboli dall' usata significazione.

Superfluum, viene a dire sovrabbondante, esagerato, eccesivo, secondo che si raccoglie da quanto seguita: « posterius ipsa facta excessiva cognovi. »

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nem sapientiam Salomonis et domum quan xit ad regem: Verus est sermo, quem aud super sermonibus tuis et super sapientia t bam narrantibus mihi, donec ipsa veni et et probavi, quod media pars mihi nunciata est sapientia et opera tua, quam rumo Reg. III, 10. Lo Scolari nega l'autenticità perchè non sa vedere come Dante, si men tesse di primo colpo assomigliarsi alla sup dell' Austro. Ma se ei rifletteva alla cagione sta donna si mosse per visitare il famoso Sa insieme con lui, avrebbe in ciò riconosciu convenienza del paragone, tanto che a fatic ritrovare un altro più confacevole. Del rest non importa eguaglianza, e per quanto al 1 stata nimica la fortuna, non bastò certo a intelletto di guisa, che ei non potesse udire di qualsiasi ricchissimo e sapientissimo Signo Fidis oculis discursurus. Audita ubique volgata lezione discorda il cod. mon. scriver discussurus audita: ibique, etc. Ed io sond Witte, che si debba accoppiare audita al ver ma piuttosto che discussurus, preferisco disc rocchè per Dante il riguardare le cose torna che discorrere, o vogliam dire guidare sovress sguardo (Inf. XVII, 63); e quando si consid traina l'occhio della mente: Par. X, 121.

Non mi parve di dover accettare simili Witte, mosso dal cod. mon., correggeva il vulg chè quindi vien meglio espressa l'intesa conte due atti del vedere e provare. steg 12 m

Vidi beneficia simul et tetigi. Ciò vale a del Par. XVII, 88, A lui t' aspetta ed a' suoi puranco vedere, che Dante scrisse questa lettera ebbe i beneficii di Can della Scala. Il che non po

zápcacerul, diiri in terra mea, 2. et non credevidi oculis meis, 12m fuerit; maior 7quem audivi: i questa lettera,

Leo che era, poerta dominatrice de quell'auguvio e conversare to l'ammirabile a se ne potrebbe o la similitudine povero Dante sia mutargli sensi e e vedere al pari er della terra. - etc. Da questa ndo: fidis oculis d'accordo col bo precedente; ursurus. Impea un medesimo se il curro dello Terano, su vi si

er, con che il ato simul, permporaneità dei

spiegar quello
benefici; e fa
provato che
è intervenir-

di Verona, tra la fine del 1316 ed il principio del 1317. Prius dictorum ex parte suspicabar excessum, etc. L'aggiunta ex parte, che occorre nel cod. mon., la reputo fuori luogo, stantechè le allegate parole non avrebbero più l'esatta corrispondenza con ipsa facta excessiva cognovi.

Ex visu postmodum. Questa lezione la derivo in parte dalla comune ex visu primordii, e da quella del cod. mon. accreditata dal Witte ex usu postmodum. A quest'ultima mi sono in prima accostato, essendo che l'amistà s'accresce per la consuetudine: (Con. I, 13.) Senonchè, fatta ragione che la consuetudine o conversazione non vien assegnata fra le cause generative dell'amicizia, ma sì tra quelle che l'aumentano (Con. ivi), mi parve di meglio accertare la verità, leggendo ex visu postmodum. E ciò massimamente, perchè là dove questa frase s'incontra, si pone in confronto il detto col fatto, vale dire, le grandi cose udite pel grido della fama, e quelle sperimentate di veduta. Or qui, se altri vuol prender sicura fede, che Dante scrisse di vero la presente lettera allo Scaligero, ei potrà verificarne gli stessi concetti al c. 3 del tr. IV del Convito. Ivi in fatti si dimostra perchè e come la immagine per sola fama generata, sempre è più ampia, quale essa sia, che la cosa immaginata nel suo vero stato. La stima oltre la verità si sciampia (si dilata), non tenendosi alli termini del vero, ma passando quelli. Il che valga pur anche a scusare e chiarire il modo che ho tenuto nel volgarizzare veri exsistentia latius, etc.

§ II. Nec reor amici nomen assumens, etc. Nobili spiriti son questi, ridirò io col valoroso C. Troya, che un uomo povero si chiami amico di ricco e temuto e avventato Signore.

Reatum incurrere. Il Witte, a norma del cod. mon., sostituisce merere all' incurrere della volgata, ma questo s'adatta viemmeglio a quanto precede, giacchè il reato della presunzione piuttosto s'incorre di quello che si meriti.

Non minus dispares, etc. A questo parrebbe contrapporsi

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s' intende. Ma vuolsi por mente che dissin versi di costumi, laddove nella Epistola dissimili di stato. Di ciò ne convincono qu vito, le quali susseguono alle altre ora delle persone dissimili di stato, conviene, quella, una proporzione essere in tra loro, dine a similitudine quasi riduca, siccome il servo. La quale sentenza, che l'occhio Witte ravvisò conforme a quella del § II come tra dissimili persone può darsi qualc litudine, e quindi insorgere tra esse e dura Amicitiæ sacramento vale quanto p d'amicizia; giacchè l' Allighieri chiama r (Con. IV, 4) quel vincol d'amor che fa na e fede speciale (ivi, 63) l'amistà sopra la (Con. I, 13), ossia l'amor d'amicizia che s'aggiugne.

Nam si etc. Invece della volgata nec porta nam si; or questa lezione proposta sponde a « Et si ad veram, etc. » e apparirà ove si osservi che le parole susseguenti co gione delle preaccennate. Di fatti per quell chiarare che, o si riguardino le amicizie di amicizie per accidente: Con. III, 11), o l'ar se, può nell' un caso e nell' altro esservi am dissimili di stato.

Si delectabiles et utiles amicitias insp Che ciò riesca a dire « se vogliansi riguar per accidente» si deduce dal suindicato l per diletto fatta o per utilità non è amiciz accidente. Quindi non pur s'illustra il testo vien anco chiarita e determinata la precisa mente si leggeva « nec non delectabiles et inspicere libeat illis. Persæpius inspicienti nentes inferioribus coniugari personis. Donde, altri adoperi, non potrebbe trarne buon co

dispares significa

elle parole del Conzitate: Nell' amistà a conservazione di che la dissimilituintra il signore el perspicacissimo del I, mostra eziandio The rispetto di simiar l'amicizia. er fede o religion eligione universale atura (Inf. II, 56), natural generals a quello di natura

non, il cod. mon. dal Witte, corriconforme al vero, omprendono la rae si procede a dilettevoli e utili (le micizia vera e per nicizia fra persone

icere libeat, etc. dare le amicizie jogo. L'amicizia ja vera, ma per allegato, ma ne lezione. Volgarutiles amicitias watebit, præemiper ingegno che strutto, e tanto

Interpretando; « Nè quelle consuetudini sono meno utili e belle. Basta uno sguardo per vedere i grandi essersi piegati ai minori. » Ad una si disconvenevole interpretazione ha potuto condurre l'inavvertito errore della volgata. Del quale ben s'accorse il Witte, sicchè aiutandosi del cod. mon., pensò di correggere: Nam si delectabiles et utiles amicitias inspicere libeat, illas persæpius inspicienti eas esse patebit, quæ præeminentes inferioribus coniungant personis. Or di qui neppur viene in pronto l'intenzione dell'Autore; il quale vuol ivi indurci non già a disaminare quali sieno di fatto le amicizie utili e dilettevoli, ma si ad esaminar queste accidentali amicizie, per vedere come eziandio per esse congiungansi bene spesso persone dissimili di stato. Per tutto ciò io sono di fermo avviso doversi scrivere di verità: « Nam si delectabiles et utiles amicitias inspicere libeat, illis persæpius inspicienti patebit, præeminentes inferioribus coniugari personis. La sentenza qui inchiusa risulta chiara ed aperta nel volgarizzamento.

Et si ad veram ac per se amicitiam, etc. E tanto giovi a raffermare, che il sovradetto vuolsi riferire all'amicizia per accidente, a quella cioè che si genera per utilità ọ per diletto. Laddove l'amistà vera e perpetua e perfetta, a cui ora s'accenna, è quella fatta per onestà: Con. III, 11. Quando altri non riconosca in questa lettera il proprio e verace sigillo di Dante, se vuol esser seco in accordo, non deve neppur riconoscervelo nel Convito.

Nonne illustrium summorumque principum, etc. Chi a ciò pensi, non si maraviglierà che Dante, siccome dello Scaligero, si professasse amico di re Carlo Martello, da cui si fa dire: Assai m' amasti ed avesti ben onde, - che s'io fossi giù stato, io ti mostrava · - di mio amor più oltre che le fronde: Par. VIII, 55.

Sed habet imperitia, etc. Siccome « la parte sensitiva › dell' anima ha suoi occhi, co' quali apprende la differenza » delle cose, in quanto elle sono di fuori colorate; così la › parte razionale ha suo occhio, col quale apprende la dif

GIULIANI.1.

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