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>> occhi sensibili, va sempre secondo c >> il male e 'l bene; così quegli ch'è c >> screzione, sempre va nel suo giudi >> diritto o falso.... Dell' abito di quest >> simamente le persone volgari sono o >> chiamare pecore, non uomini; chè >> tasse da una ripa di mille passi, tutt » dietro: » Con. III, 11. Oltrechè si a parere, secondo la più gente, è molte v mamente nelli sensibili comuni, là dov ingannato. Onde sappiamo che alla più larghezza nel diametro d' un piede: ivi parole mi darebbero sicuro indizio, che convien leggere non magnitudinis ma s manente m' unisco francamente col T potersi negare a Dante una epistola ov

Sic et circa unam et alteram rem Il cod. med. aggiugne « sic circa mores e il Witte, avendo notato nel cod. mon. s credulitate decipitur » credette fosse zione. Ma io non saprei discostarmi dal gando compie ed avvera la concetta sen presente luogo non si riprova il giudi alla moralità, ma si quanto alla disco tra persone dissimili di stato. D'altra gione, che la gente volgare nel suo po perchè in tutte cose, dal proprio mesti guidare non secondo la ragione, ma grido (Con. I, 11): a voce più ch' al Par. XXVI, 121. Le popolari persone la in alcuna arte, e a discernere le alt ond' impossibile è a loro discrezione ave dine di giudizio: Con. ivi.

Nos autem. M' attengo all' opinione autem piuttostochè il volgato enim, gi a notare la migliore usanza che i savi e

eco del lume della di
io secondo il grido o
luce discretiva mas
bate.... Questi sono da
se una pecora si git
e l'altre l'andrebbone
verta, che il sensuale
olte falsissimo, mass
e il senso spesse volte i
gente, il sole pare è
IV, 8. Queste ultime
nel luogo premostrat
i amplitudinis. Del ri
orri, affermando, not
ei traduce sè stesso.
credulitate decipitur.
et circa unam, etc.)
olo & circa mores vans
questa la migliore le
la volgata, che allar
tenza. Imperocchè nel
zio del volgo rispette
nvenienza d'amicizia
parte convien far ra
urere suol ingannarsi,
ere diverse, si lascia
secondo il senso od i
ver drizzan li volti:
- loro usanza pongono
re cose non curano,

re, nè quindi rettitu-
del Witte, scrivend
acchè ora si procede
d intelligenti diparte

prima, perche Dante avrebbe mancato a se stesso, qualvolta con si aperta franchezza si fosse annoverato fra i savi; poi, perchè le cose infrascritte « quum non ipsi legibus, sed ipsis leges potius dirigantur » e tutto l'altro contesto n' accertano che il discorso deve accomodarsi generalmente alla terza persona.

Nam intellectu divina quadam libertate et ratione dotati etc. Questa volgata lezione non basta a porgermi un chiaro e dicevole concetto, e però tengo fede all'altra de' codici med. e mon. « Nam intellectu et ratione degentes, divina quadam libertate dotati, etc. Bensì in cambio di degentes, vocabolo assai qui male a luogo e falsato, correggo senza esitanza vigentes, come vieppiù acconcio ad esprimere la mente dello scrittore e la verità. Conciossiachè degni di comporre e dirigere le leggi, di che poscia si fa cenno, mostransi quelli soltanto, i quali per vigor d'intelletto e di ragione mantengono diritto il proprio arbitrio, sano e libero dalle consuetudini volgari. E di vero, la virtù intellettuale è norma alle altre tutte Vis intellectualis est regulatrix et rectrix omnium aliarum: Mon. II, 7. Ma a discolparmi dell' ardita correzione, ecco Dante che la suggella, accennando quello della Politica di Aristotele « intellectu scilicet vigentes aliis naturaliter principari: » Mon. I, 4. Donde si può trar nuovo argomento, come sia proprio dell'autore De Monarchia questa Epistola a Can della Scala, e si rende ancor meglio palese la ragione che mi obbligò ad accettare l' usitato adstringuntur, anzichè adstringimur siccome dal Witte, seguace del cod. mon. ne venne proposto. Quant'è al ragionamento di Dante, si riduce a questo: << Alle persone volgari, il cui giudizio si ferma pure all' esteriori condizioni umane, può bensi parere presuntuoso che un povero e sventurato si faccia amico ad un gran principe. Laddove i savi, giudicando a norma della ragione, attendono pure alla parte nostra migliore, che è l'animo e la mente, e veggono come indi può nascere e intervenire tal somiglianza fra persone dissimili di stato, da rendere intra loro possibile qualsiasi più stretta amicizia.

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gotium, sive ethiou, Cò rettamente fu n bene accertare il concetto del nostro aut che due sono le rite umane, la contem vile (Com. II, 5: IV, 17); quella riposa lazione (ivi, I, 1), e questa si esercita rale pratica (dell'etica) o vogliam dire cirti morali; l'ura s'appaga del re rare: Par. XVII, 108.

Amicitiam adaguari et saltari Witte, derivata questa leziene dal cod. provarla con quello del Com. III, 1: C » sone dissimili di stato conciene a co > una proporzione essere intra loro ch >> similitudine quasi riduca, siccome > servo. » Senonchè invece di adequa quam, son di credere che sia a scrive ne' sovraccennati luoghi dell'Epistola e soltanto dell' analogia, mercè cui si l'amicizia. D'altro lato una qualche an fra persone dissimili di stato, non re l'amicizia, ma, come s'è poc' anzi ved in qualche modo. In somma, possono gli u di condizione, disuguali in più guise, e tra loro alcuna proporzione o relazione di amicizia. Le parole del Concito, dove plitica il premostrato insegnamento, dan correzione che io pur non ardisco di fa » servo non possa simile beneficio render › da lui è beneficato, deve però rendere » può con tanta sollecitudine e prontez: » dissimile per sè, faccia simile per lo » buona volontà, la quale manifesta l » conserva. » Or qui s'ammiri la costant ghieri e la stessa impronta di verità nel stola a Cangrande.

La volgata dopo analogiam fa segui

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riodo susseguente.

Digniusque gratiusque. Siffatta lezione, la quale si conforma alla verità e rende intero il costrutto, è del cod. mon., donde l'accorto Witte traendola, riuscì poi a distrigarla. Le stampe in prima leggevano dignum, il cod. magl. dignusque e quindi il Torri col Dionisi dignumque quid cuiusque; ma tutto ciò, più che altro, basta a spiegare come un testo, una volta male appreso, possa trasformarsi nelle più strane maniere.

Neque ipsi præeminentiæ vestræ. Con ipsi il Dionisi emendò la volgata ipsum, ma nè l' un nè l' altro si ritrova nel cod. mon., ed io insieme col Witte lo rifiuto, perchè evidentemente superfluo.

Et illam sub præsenti, etc. Dante protesta bensì di voler ascritta, offerta e raccomandata allo Scaligero la sublime cantica del Paradiso: a lui anzi, come propose di destinarla (§ V), n' anticipa il possesso; ma or non gliene presenta compiuto, se non il primo canto: a primordio: § IV. Il che sta di fermo, nè quindi importa il sapere, se poi Dante o i suoi figli inviassero allo Scaligero tutta o in gran parte quella cantica, si basta che gli fosse dedicata. Ed è appunto per questa dedicazione, che il poeta vieppiù si travagliava e diveniva magro intorno al suo ultimo lavoro, per affrettarne il compimento. Perciò disse: Vitam parvi pendens, a primordio metam præfixam urgebo ulterius.

Tamquam sub epigrammate proprio dedicatam. Questo viene a dire «<< come se l'aver io intitolato Paradiso quella cantica, fosse stato un dedicarla a Voi, cui si augura e prega vita per diuturni tempi felice. »

§ IV. Plus domino quam dono. Così interpreto io per contrario ai testi vulgati « plus dono quam domino » e diversamente dal Witte e dal Torri, perchè qui l'Allighieri si scusa di troppo ardimento: ciò che non bisognava, se per quella donazione ei si fosse aspettato più di onore, che non poteva tornarne al signor di Verona. E quanto vien in se

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che col solo titolo di Faradiso, on

tica, pareva agli attenti riguardatori, av presagio della crescente gloria del mag tore. La sovresposta conghiettura, che aveva manifestata, acquista al presente rità, perchè il cod. mon. legge appunto dono. Ed il benemerito Witte, cui la ve tutto, nell' approvare la nuova lezione, iamdudum divinaverat Julianus. » Eph. pag. 77, 78. Questo non rammenterei io per iscusarmi di quelle correzioni a cui ardita, e donde pur rifuggo, semprechè scorso, i sentimenti e le parole del Poe nell' una o nell' altra delle sue opere, quasi di forza. A ciò forse badando l' eg compiacque di accreditarle quasi tutte nel giata edizione delle epistole di Dante, fatt Conferri trovasi nel cod. mon., ed a preferisco al vulgato ferri, dacchè mi si spondente a << retribuendum pro collatis b

no

Il cod. med. porta quidni? quello di n ma sono d'avviso, che la miglior lezione s immo, perchè indi le cose premesse si rin Seguitando il cod. mon. e il Witte, chiarezza vestri a nominis e tolgo poi mihi tis attentis mihi videbar » per non offende zione dell' Autore. Il quale ivi ne fa risape riguardatori di quel titolo della terza cant sembrava che egli, come pur s' era propost la gloriosa felicità dello Scaligero.

Sed tenellus gratiæ vestræ importa il n trato di recente, novello nella grazia vostr punto non rileva, che il Poeta fosse già Verona non molto dopo l'esiglio è poi di perchè allora Cangrande era tuttavia giovi la grazia di lui si dovesse tener in pregio non deve farci maraviglia, che Dante si

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