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Vicario di Cristo, successore del maggior Pietro Chiesa universale, ne fosse guida al cielo, e l'a Signor della terra, regolatore di tutte le nostr ministro dell' umana civiltà, c'insegnasse co quaggiù a vita felice. E che tale intenzione sia s nella mente del Poeta, l'effetto nol nasconde : ogni tratto ci grida: lo sviamento dell' umana cedere da chi, intento pure ai beni mondani, ma (Pur. XVI, 103) o l'abbandona senza governo ( 140); il Pontefice, sole celestiale, dover guidarci peratore, sole del mondo, additare a noi la civile f XVI, 108), ogni bene aversi ad aspettare dalla cos suggezione e concordia: Par. XVI, 59. Verrà si santo, che non curante di terra nè d'argento, fac sapienza, amore e virtù, lasci seder Cesare in contenendosi ad inviare le genti cristiane ai pasc eterna: Inf. I, 104; Pur. VI, 92. Nè pure starà t senza mostrarsi l'erede dell' Aquila, Messo di Dio tere le avverse fazioni, per indi ridurre il mondo libera pace e far rifiorire il giardino dell'Imperio: 43. Laonde, a raccogliere per sommi capi il nostr mento, potremo affermare, il fine ultimo e rimoto Poema essere, quale Dante il determinò « la feli salute dell' uomo individuo e in comunanza cogli a Papato poi e l' Impero « come necessarii direttivi al mento di essa felicità» costituirne il fine prossimo diato. Sopra ciò risulta chiaro alla nostra veduta, ch stabilita sede del Pontefice e dell'Imperatore, e quind ordinata per maestra dell' umana gente a vita felice tero richiamare gli assidui pensieri, l'amore fervor riverente ammirazione del cantore della Salute. Que tutte avrei io rimesse ad altro luogo, se al presente porgessero un fortissimo argomento a sostegno dell' cità dell' Epistola in discorso. Nella quale il fine dell media si vede a perfezione assegnato e in piena corrispo

preside della
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suo gran disegno e dell' opera, e il riservato sigillo della verità.

Al che, troppo meglio che i moderni, mantennero fede gli antichi commentatori; fra i quali l'Ottimo, mirando più specialmente ai vizi umani e alle virtù ond'è materiata l' allegoria del divino Poema, dichiara che di questo l'intenzione finale si è di rimuovere l'uomo da' vizi e riducerlo a via di virtù: Com. al Par. p. 338. Il Boccaccio traduce per l'appunto le parole di Dante, ed il Buti con eguale sentenza dice essere la causa finale di quelle cantiche, l'arrecare gli uomini viventi nel mondo dalla miseria del vizio alla felicità della virtù. Cosi a un di presso avea già scritto Jacopo della Lana; nè tanto intima concordia fra interpreti, di tempo diversi e di opinioni e dottrine, potè avverarsi, se Dante non si fosse condotto a commentare se stesso.

§ XVI. Genus vero philosophiæ, sub quo hic in toto et parte proceditur est morale negotium sive Ethica, quia non ad speculandum, sed ad opus inventum est totum. Al quale proposito mi sembra acconcia dichiarazione quello che ci vien insegnato nel primo libro di Monarchia: « Quædam sunt, quæ nostræ potestati minime subiacentia, speculari tantummodo possumus, operari autem non, velut mathematica, physica et divina. Quædam vero sunt, quæ nostræ potestati subiacentia, non solum speculari, sed et operari possumus, et in iis non operatio propter speculationem, sed hæc propter illam assumitur, quoniam in talibus operatio est finis: » I, 3. Or siccome la Commedia ha per soggetto allegorico « l'uomo in quanto può operare la virtù ed il vizio » e per fine « di rimuovere l'uomo da' vizi e rinviarlo per l'opere della virtù a stato di felicità » perciò ivi la speculazione si assume per cagione dell'opera. Di qui risulta pur evidente che l' Etica, la quale pertratta appunto de' vizi, delle virtù e dell' umana felicità, dev'essere il genere di filosofia proprio di quel morale Poema. Dove per verità l'Allighieri più e più volte ritorna all'Etica di Aristotele (Inf., I, 80), quasi alla sua scienza (iv. IV, 106),

simamente ridusse a perfezione la filosofia mora ditatore e conducitore della gente al segno dell' (Con. IV, 6). « Quem fructum ferat ille.... qui felicitatem ostensam, reostendere conaretur?» Mo parte la morale filosofia ordina noi all' altr quali senz' essa starebbero celate alcun tempo rebbero scritte e per antico trovate, e non sarebb ne vita di felicità: Con. II, 15. Inoltre la mora della filosofia, e nel piacere della morale dottri appetito diritto, il quale ne diparte eziandio da rali, non che dagli altri. E quindi nasce quella quale difinisce Aristotele nel primo dell'Etica, d << operazione con virtù in vita perfetta: » iv. III me a tutto ciò e non discordante da se stesso il Salute o felicità non poteva eleggere più opport che la morale, nè miglior maestro e duca che A duca e maestro della ragione umana, in quanto sua finale operazione: Con. IV, 6. Neppur tra virtù dovette egli, il Poeta, discostarsi da qua dice, l'Etica intendo di Aristotele, perocchè in dove questi aperse la sua divina sentenza, ogni a reva fosse da lasciare: Con. IV, 17. E chi voless tento studio, colla scorta delle dottrine morali d illustrate ed ampliate dall'Angelico, riuscirebbe a divina Commedia un compiuto trattato di Etica convenirsi al più austero seguace del Vangelo. l'aver potuto ravvisare intera la parola di Dante indi certezza, che non a sterile diletto nè al solo lia, ma a verace utilità dell' umana famiglia ed a il felice essere e la gloria del mondo rivolse ingegn arte, canto, gli affanni stessi della vita.

In luogo di « ad opus inventum est totum » s nione che la verità dello scritto sia « ad opus ind totum » perchè, oltre all'aver più colleganza colla fr dente, ne fa meglio pregiare il motivo dell' impres trova puranco riscontro nelle infrascritte parole d

mana vita?
→ Aristotele
I, 1. D'altra
scienze; le
indarno sa-
Jenerazione
à è bellezza

a si genera
I vizi natu
felicità, la
endo che è
15. Confor-
antore della
na filosofia
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uella parte
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Basti a noi
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procurare
o, scienza,

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tivo come è di opera, ben può unirsi con morale a significare l'Etica (V. n. al § III), e che invece s' appartiene alla speculazione l'ozio o la quiete (sedendo enim et quiescendo, sapientia homo perficitur: Con. I, 1; Mon. I, 5), mi fo ragione di leggere speculativi otii o speculationis otii, anzichè speculativi negotii della volgata e del vecchio codice cui s'attenne Filippo Villani. Perocchè questi nell'articolo « Cui parti philosophiæ opus principaliter supponatur » discorre in tal guisa: «Dicimus (eodem auctore dicente in suo Introductorio super cantu primo Paradisi) in toto opere et partibus suis esse morale negotium; non enim ad speculandum, sed ad morum institutionem inceptum est totum et eius partes. Ubi vero contigerit in aliquo loco vel passu ad modum speculativi negotii pertractari, nequaquam id fit speculandi gratia, sed operis. Ad aliquid enim quandoque et practici speculantur, ut vult Philosophus, secundo Metaphysicorum. » Se a tale autorevole testimonianza s' ha da ritenere «ad modum speculativi negotii» e così ancora << gratia speculativi negotii, » interpreterei l'uno « a modo che si usa spéculando » e l'altro « per uso di speculazione; » dacchè l' Allighieri assegna alla filosofia per soggetto materiale la sapienza; per forma, amore; e per composto dell' uno e dell'altro, l'uso di speculazione: Con. III, 14. Ma piuttosto che accettare si fatta lezione, mi piacerebbe questa « ad modum speculativum » e « gratia speculationis » la quale si concorda col testo di che il Boccaccio si valse nel suo volgarizzamento, dicendo, che il sacro Poema « è sottoposto alla parte morale ovvero etica; perciocchè quantunque in alcuno passo si tratti per modo speculativo, non è per cagione di speculazione ciò posto, ma per cagione dell'opera. >> Ognuno scelga a proprio senno: la verità è una, e sempre Dante che ne guida nell' esporla.

Ad aliquid et tunc, etc. Dove la volgata aveva nunc intromisi tunc, perchè più con facevole alla sentenza di Aristotele, addotta dal Witte: « Ad aliquid et eo in tempore praclici speculantur: » Met. III, 1. Senza che la mente del nostro

azivnic, quan es p pp་མསཔ་ཅ dell'opera stessa.

SXVII. Ad expositionem literæ secundum qua tionem accedendum est; at illud prænunciandum, literæ nil aliud est, quam formæ operis manifesta di considerazione che altri ponga a queste parole non potrà mai raccoglierne buon costrutto; tant fette e sconnesse. Al mancamento provvide l'acc del Torri, mercè del cod. med. dove gli venne fat « Ad expositionem literæ secundum quandam p accedendum est, et ad illud pronunciandum q literæ, etc. » Ma qui il discorso non continua and chè tiene collegati due membri che hanno da sta essendo che neil' uno s'accenna quanto si vuol far si afferma quello che a ciò s' ha da premettere. penso che sia errato « et ad illud pronuncian approvarsi invece la fatta correzione « at ill nunciandum. » Nel paragrafo susseguente, ed i dissimile da prænunciandum, occorre prænuntia § XXX) prænuntians. Del resto la sposizione dell tendendo pure a mettere in luce la forma dell' o trattato e si del trattare (§ XII), deve perciò in discoprire e notare le divisioni di ciascun canto, veder la letterale sentenza delle parti divise, secon e l'esempio che l'Autore ci diede: Con. II, 2; III A dire ogni cosa in uno, il modo con che Dante co sue canzoni nel Convito è uno stesso con quello serva nello sporre il prologo del Paradiso, e che osservato dai fedeli interpreti della Commedia.

Dividitur.... Paradisus.... principaliter in duas licet in « prologum et partem executivam.» Di pari cl le altre due Cantiche s' hanno a dividere in due pa pali, che sono il prologo e la parte esecutiva, e co rale tutto il Poema; di cui il primo canto si most prologo o l'introduzione, laddove i susseguenti n scono la parte esecutiva.

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