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D

› dremo per gli esempi che qui recherò. Erano insomma › cotali insegnamenti (per usare di quel nome oggi mai › cosi di predicazione che per esso intendiamo la ragione › dell'opera) erano dico altrettanti particolari Galatei, › altrettanti Trattati degli uffici civili. I quali, siccome › pel bisogno a tutti comune non potevano agl' Italiani › passare non conosciuti, così fu che noi gli avemmo, e >ne compose di questi il Barberino i suoi Reggimenti » delle Donne; perchè se o più insegnamenti avessimo, od anche l'opera italiana fosse venuta a noi più cor› retta, non sarebbe forse difficile a mostrarsi tolta presso > che tutta dai Provenzali ». E nel dir questo io ribadiva la sentenza sposta dall'Ubaldini nella vita del nostro Francesco, cioè che esso, volgendo l'animo alle rime volgari, diede opera agli scritti de' Provenzali, e dai medesimi il più bel fiore cogliendone, non tralasciò sorta di rima, in cui, secondo l'uso di quella favella, toscanamente non si esercitasse. Al che qui al presente si potrà aggiungere che se il da Barberino diede unità e corpo agli svariati e più brevi insegnamenti di Amadio di Esca, di Arnaldo di Marsano, di Pier Vidale, di Giraldo Riquiero, e di Calansone e di altri, tuttavia a tessere l'insieme della sua favola com' egli fece, e a dare al suo libro forma di poema, anzichè di trattato meramente didascalico, ebbe per avventura altri inviti.

Nato il nostro Francesco nel 1264, ossia un anno prima dell' Allighieri, dal 1309 al 1313, per bisogni della Chiesa Fiorentina stette in Provenza ed in Francia e così 4 anni e 3 mesi continui, passandoli ora ad Avignone dove Clemente V. avea tratta la S. Sede, ed ora presso Filippo il Bello Re di Francia e Luigi Utino suo figliuolo, de' cui modi e costumi, scrive il citato Ubaldini, fu spettatore ed osservatore, mentre da lui si seguitò la vaga lor Corte per la Guascogna e per la Piccardia. Ora

stando colà lungamente e frequentando que' briosi cortigiani, dovette sentirvi spesso rammemorare l'amoroso Romanzo detto della Rosa. Cominciato questo da Guglielmo di Lorris, e seguitato più di 40 anni dappoi da Giovanni di Meun, levò esso nel secolo XIII. e più oltre troppo romore di sè per non esercitare sulle menti amanti del meraviglioso, e quindi sulle poesie tutte volgari, una decisa influenza.

Ovidio avea trattato l'arte di amare direi quasi in prosa e pedestremente appresso costoro. Non più contenti ai precetti ed agli abbellimenti risorgenti dalla materia, crearono essi una favola ove tutto divenne simbolico, e dove il lettore si trovò condotto per continui raggiri e per sempre successive finzioni, all'ambita conquista della Rosa. Guglielmo immagina d' essersi addormentato a vent'anni in un bel giorno di primavera, e di avervi avuto il più gradevole di tutti i sogni.

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« Il lui sembla, dice l' Abbate Massieu nella sua >> Istoria della Poesia Francese, qu'il se promenoit dans un des plus beaux vergers du monde, près duquel » étoit un Jardin delicieux, où il apperçut une Rose » d'une beauté surprenante. Il conçut aussi-tôt le dessein » de s'en approcher, et de la cueillir. Mais il trouva de >> grands obstacles dans l'exécution. Il fallu traverser des » fossez, escalader des murs, et forcer des châteaux. >> Les principaux habitans de ces lieux enchantés sont ou » des Divinitez bienfaisantes, comme Amour, Bel-accueil, » Pitié, Franchise; ou des Divinitez malignes, comme >> Faux-semblant, Danger, Male-bouche, Jalousie. Elles >> paroissent les unes après les autres sur la scène, et » elles y parlent tour à tour. Tout est vivant et animé » dans cet ouvrage; tout y a une figure et une voix. Les difficultés ne rebutent point l' Amant de la Rose, qui enfin par une longue perseverance et par une fi

» delle pratique des conseils qu'on lui donne vient à » bout de ce qu'il desire:

Ainsi eus la Rose vermeille,

A tant fut jour, et je m' eveille.

Ora io mi penso che il nostro Francesco non isfuggisse all' artistica influenza di questa famigerata Visione, e che, se dai Trovatori al di quà della Loira potè trarre l'idea semplice di porre in versi gli insegnamenti opportuni al vivere costumato e civile, dai Troverri, al di là di detto fiume, e più precisamente da Guglielmo di Lorris, trasse l'altra assai più composta di dare a tutto ciò, non solo una forma drammatica e dialogistica, ma d'introdurvi ben anche molte personificazioni morali e mitiche, le quali allungando la materia ed interrompendone lo sviluppo, non forse sempre piacevolmente, sottopongono la parte precettiva all'impero di un simbolismo, e di una vorrei dire medievale poetica architettura, di cui è officio il rendere a forza magnifico l'umile, ed artifiziato il semplice e piano.

Ma che che debba dirsi di questi pensieri, io mi vi son lasciato trascorrere per entro anche troppo; giacchè lo scopo di questa mia rispettosa lettera a V. S. non è già quello di parlare in genere dei Reggimenti delle Donne, ma si di toccarne solo con relazione al desiderio tuttavia non soddisfatto di averli in una ristampa più emendati di quello non appajano nella prima edizione del ch. Manzi, e di tentare colle mie ciance di riuscir pure a persuaderla ad assumersi questo pietosissimo incarico.

Il benemerito editore Romano parlando dell' unico Ms. Vaticano, di cui ebbe agio di servirsi, lo chiama Codice erroneo trascritto nel secolo XVII da più antico esemplare, tronco in molti luoghi, di scrittura pessima,

coi versi distesi a guisa di prosa come s'incontra nei Codici del 300, per mano imperita e non intendente delle bellezze di nostra lingua. Aggiunge però com'esso trovisi postillato di varie lezioni segnate col lapis, e così in gran parte cancellate dal tempo e rese quasi inintelligibili con danno grave dell' opera, conciossiachè il postillatore vi si mostri sperto e di fino giudicio. Tuttavolta il Manzi dichiara di non aver sempre seguitato le correzioni marginali suddette, ma di avere invece riprodotto il più spesso il testo vaticano, rammendandone soltanto la grafia vieta ed incerta.

Per conseguenza, se esso era attorniato da tante difficoltà, fece opera bastevolmente lodevole nel darci l'Insegnamento Barberiniano quale l'abbiamo, e solo lasciò sussistere il desiderio di vedere riprodotte da lui in piè di pagina quelle varianti toccate al lapis che egli non accettava; giacchè, o queste provenivano dal confronto con altro Codice ora smarrito, e diventavano interessanti, od erano frutto della critica d'uomo giudicato meritamente dotto ed intelligente, e riuscivano sempre e ad ogni modo opportune. Chi per avventura può essere assai meno scusato è l'editore milanese Sig. Giovanni Silvestri, il quale nel 1842 ripubblicando tra la sua Biblioteca scelta i nostri Reggimenti, anzichè dar la cura ad uno di que' valenti filologi di cui abbondava la sua città di migliorare la nuova edizione, stette contento a rifingere siffattamente la Romana del Manzi, da non aggiugnervi di suo neppure un avvertimento che ammonisse il lettore del perchè e del come esso si era dato pensiero di riprodurla. Le due edizioni sono dunque in fatto una sola, e noi seguitando a parlare della prima, potremo ommettere del tutto di tener discorso della seconda. Pare a me dunque che l'opera del Barberino, quale si trova di presente, lasci a desiderare, oltre ad una riforma sulla sua puntatura, 1.°

una migliorata divisione nella versificazione tanto da levarne le annormità che troppo spesso vi s'incontrano: 2. un trasponimento quà e colà di parole ne' versi, nell'intento di far loro racquistare o la voluta misura o l'ordinaria spontaneità: 3.° finalmente una sostituzione di voci poco difformi a talune che pur vi si incontrano registrate, e ciò per rendere piana la lettera e conseguente il concetto. Leviamone qualche saggio per confortare d'alcuna prova la mia opinione, che sottopongo interamente al prevalente di lei giudizio.

Il nostro Messer Francesco, prendendo dall'Onestade gli ordini per la composizione del suo lavoro, si fa dire da lei:

Nè parlerai rimato,

Acciocchè non ti parta
Per forza della rima
Dal proprio intendimento.
Ma ben porrai tal fiata,
Per dare alcun diletto
A chi ti leggerà,

Di belle gobolette seminare,
Ed anco poi di belle Novellette
Indurrai ad esemplo.

E parlerai sol nel Volgar Toscano,
E porrai mescidare

Alcun Volgare consonante in esso
Di que' Paesi dove hai più usato,
Pigliando i belli, e i non belli lasciando.
E questo del Volgar noi ti diciamo
Per piacere alla Donna che t'indusse,
La quale è degna di onore e di grazia.

Sù tutto ciò molte cose sarebbono a dirsi intorno alla lingua, ed all' influenza che ebbero le donne nel far

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