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al disopra dell'antico e del nuovo stile, il quale nella sua specie e differenza relativa, s' affaccia davanti questo terzo stile superiore, esprimente l'amore o l'ideale più elevato. Queste sono le idee letterarie che Dante si propose di significare sotto forma poetica nell' incontro ch' egli suppone d'aver avuto nel Purgatorio col valente trovatore Bonagiunta di Lucca, che a studio mette in campo per aver l'occasione d'esporre le sue idee d'una maniera viva e drammatica.

Ecco intanto come l' Alighieri poetizza il suo abboccamento col Bonagiunta, e quali sono le conclusioni che, secondo lui, dovrà tirare il lettore dalla scena evidentissima che egli descrive. Bonagiunta degli Urbiciani di Lucca, morto prima del 1300, avea conosciuto personalmente Dante ed ammiratone le poesie liriche amorose. Egli sapeva a memoria la canzone « Donne ch' avete intelletto d'amore », e vi trovava un tono e uno stile superiore al genere di poesia adottato generalmente e dai trovatori che il precessero e da lui stesso e da' suoi confratelli ed amici, Notaro Iacopo da Lentini siciliano e Fra Guittone d'Arezzo. Bonagiunta tenuto già per uomo dedito abbastanza alle mollezze e al vino fu messo nel cerchio del Purgatorio, ove l'uomo si purifica del peccato della gola. Suppone il Divino Poeta che, inteso all'opera di sua purificazione, Bonagiunta vi sogni con amarezza il suo antico amore per la bella vita che non gli avea permesso di elevarsi come l'Alighieri all' amore più puro e più nobile delle cose della religione e della filosofia. Preoccupato intanto della sua salute, e considerando non più come una volta l'effimera fortuna e le attrattive esterne delle sue poesie, ma il loro fondo e il lor valore morale e sociale; disposto, d'altra parte, nella qualità sua di penitente a giudicare con molta severità i suoi canti di trovatore, pareagli la poesia amorosa di Dante esser degna delle nobili donne e

degli uomini cortesi e gentili (1), e la sua propria poesia esser solamente del gusto della gente villana, ossia di quella che egli nel suo dialetto lucchese addimandava gentucca. Egli se ne rammarica prima per se stesso, e poi per la sua città natale, Lucca, che già sotto altri rispetti avea in Italia assai trista reputazione (Inferno, XXI, 40). Per questo adunque vedendo giungere al cerchio de' golosi Dante, accompagnato da altri due grandi poeti, Virgilio e Stazio, Bonagiunta ne rimane tosto confuso; e nel suo primo imbarazzo mormora qualche parola inintelligibile per dire che egli vergognasi davanti all' Alighieri e agli altri due poeti d' essere stato cantatore del volgare (gentucca). Dante essendosi accostato al lucchese, e vedendo che egli vuole parlargli, fissa in mezzo a quei dannati la sua attenzione sopra di lui; ma tra le parole che quegli mormora nella rude strozza che deve espiare gli eccessi della tavola, non può udire che l'ultima, quella di gentucca (volgare), onde non riuscendo a comprenderne il significato, avvicinaglisi per intrattenersi con lui. Di che si comprende la ragione del dialogo nella Divina Commedia:

Ma come fa chi guarda e poi fa prezza
Più d'un che d' altro, fe' io a quel da Lucca,
Che più parea di me voler contezza.

Ei mormorava; e non so che gentucca
Sentiva io là ov' el sentia la piaga
Della giustizia che sì gli pilucca.

O anima, diss' io, che par sì vaga
Di parlar meco, fa' sì ch' io t' intenda,
E te e me col tuo parlare appaga (2)

(1) De vulgari eloquio, 11.
(2) Purgatorio, XXIV, 34-42.

Dante per ripetere questo dialogo suppone che Bonagiunta così interrogato, dopo aver vinto il primo smarrimento, creda dover far conoscere subito all' Alighieri una buona notizia che dovrebbe come poeta importagli d'assai e disporlo a rispondere alla quistione che ad essa legavasi, riguardante il genere particolare o lo stile nuovo della sua poesia amorosa. E siccome la notizia è data da lucchese sotto forma di profezia, accade ricordare che nel 1314, passando l' Alighieri per Lucca, avea fatto la conoscenza d'una nobile giovane, la quale avea composte delle poesie liriche amorose, superiori per lo stile a quelle del suo concittadino Bonagiunta, e nelle quali avea imitato e ripetuto il nuovo stile di Dante. Il nome e le poesie di questa giovane lucchese non son noti ancora: forse lo saranno in appresso. Dante volendo far conoscere nel suo poema questo fatto letterario, lo fa rapportare dal trovatore Bonagiunta sotto forma d'una profezia, annunziando con precedenza all' Alighieri il piacere che gli recherebbe un giorno la conoscenza della dama-trovatore, imitatrice del suo nuovo genere di poesia. È infatti solo in forma di profezia pronunciata da Bonagiunta che l' Alighieri potea parlar di questa donna nel suo poema; imperciocchè l'azione di esso è supposta l'anno 1300: e a quel tempo il Nostro non avea peranche conosciuto la donna lucchese, ch' egli vide verso il 1314. Per poter dunque parlare fin da quell'anno d'un fatto che dovea aver luogo molto più tardi, bisognava che Dante se l'avesse fatto predire da Bonagiunta, che nella sua qualità di penitente del Purgatorio era posessore del dono della profezia e, come lucchese, conoscitore delle sue concittadine; una delle quali (da lui potuta conoscere al più bambina) sarebbe divenuta un giorno poetessa che non canterebbe come lui per la gentucca, ma imiterebbe il genere più elevato di Dante, Facendo questa predizione Bonagiunta servivasi, com'è

naturale, dello stile enimmatico degli oracoli; ed eccone

le parole:

Femmina è nata, e non porta ancor benda,
Cominciò ei, che ti farà piacere

La mia città, come ch' uom la riprenda.

Dopo, senza dirlo d' una maniera esplicita, Bonagiunta pensa che quando avrà fatto conoscenza con la poetessa lucchese e avrà veduto che essa non appartiene come lui alla classe dei poeti volgari (della gentucca), comprenderà ciò che egli ha voluto dire mormorando la parola gentucca: il che leggesi annunziato nel seguente terzetto:

Tu te n'andrai con questo antivedere:
Se nel mio mormorar prendesti errore
Dichiareranti ancor le cose vere.

Indi, dato con questa predizione una lieta novella a Dante, e perciò guadagnatosene d' avvantaggio l'affetto, Bonagiunta viene subito a interrogarlo sopra una questione che si riferisce al genere superiore della lucchese e che lo preoccupa non pur nella qualità sua di trovatore ma altresì in quella di dannato: cioè se i poeti pari a Dante e alla imitatrice di lui provino realmente il nobile e santo amore che cantano nei lor versi, e che dà alle loro poesie questa forma elevata e questo grande valore morale. Posando la sua mano sulla spalla di Dante, Bonagiunta gli dimanda se egli abbia qui dentro al cuore questo dio Amore che gli ha ispirato le poesie del nuovo stile e tra le altre la canzone: Donne, che avete intelletto d'amore ecc. Ecco le parole rivolte da Bonagiunta a Dante:

Ma di' s' io veggio qui colui che fuore
Trasse le nuove rime cominciando:
Donne, ch' avete intelletto d'amore.

A questa questione sulla sorgente della poesia elevata Dante risponde che egli è del novero de' poeti che cantano secondo Amore gl' ispira, e che nelle lor composizioni s' innalzano sempre al grado in cui trovasi esso stesso, l'amore, ossia l'ideale che detta ed ispira i lor canti; indicando con ciò che il valore morale di ogni poesia è tanto quanto l'altezza della ispirazione del poeta. I versi son questi:

. . . I' mi son un che, quando Amore spira, noto, ed a quel modo Che detta dentro, vo significando.

Bonagiunta, chiarito dalla risposta di Dante, comprende perchè le ali dell' ispirazione poetica dei trovatori pari al Notaio di Lentini, a Guittone d'Arezzo e a lui stesso, siano state come legate e ritenute da un vincolo volgare senza potersi spiegare nè levare all'alto volo dell'ispirazione, all'amore o all' ideale superiore che domina nelle poesie dell' Alighieri; e però si esprime :

O frate, issa vegg' io, diss' egli, il nodo
Che il Notaio e Guittone e me ritenne
Di qua dal dolce stil nuovo ch' i' odo.

Io veggio ben come le vostre penne (1)
Diretro al dittator sen vanno strette,

Che delle nostre certo non avvenne.

Intanto il dolore che Bonagiunta avrebbe potuto provare di non aver attinto all'altezza dello stile nuovo di Dante, è disacerbato dal pensiero che v' abbia un amore

(1) La parola strette avrebbe dovuto far comprendere ai commentatori e a' traduttori che la parola penne non significa qui le penne per iscrivere ma le ali per elevarsi.

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