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Un nugol torbo, padre di procella, Sorgea di dietro ai monti, e crescea tanto, Che più non si scopria luna nè stella.

Spiegarsi ella il vedea per ogni canto,
E salir su per l'aria a poco a poco,
E far sovra il suo capo a quella ammanto.
Veniva il poco lume ognor più fioco;
E intanto al bosco si destava il vento,
Al bosco là del dilettoso loco.

E si fea più gagliardo ogni momento,
Tal che a forza era desto e svolazzava
Tra le frondi ogni augel per lo spavento.

E la nube, crescendo, in giù calava
Ver la marina sì, che l' un suo lembo
Toccava i monti, e l'altro il mar toccava.
Già tutto a cieca oscuritade in grembo,
S'incominciava udir fremer la pioggia,
E il suon cresceva all'appressar del nembo.
Dentro le nubi in paurosa foggia

Guizzavan lampi, e la fean batter gli occhi;
E n'era il terren tristo, e l'aria roggia.
Discior sentia la misera i ginocchi.
E già muggiva il tuon simile al metro
Di torrente che d'alto in giù trabocchi.
Talvolta ella ristava, e l'äer tetro
Guardava sbigottita, e poi correa,
Sì che i panni e le chiome ivano addietro,
E il duro vento col petto rompea,
Che gocce fredde giù per l'aria nera
In sul volto soffiando le spingea.

E il tuon veniale incontro come fera
Rugghiando orribilmente e senza posa ;
E cresceva la pioggia e la bufera.

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E d'ogni intorno era terribil cosa
Il volar polve e frondi e rami e sassi,
E il suon che immaginar l' alma non osa.

Ella dal lampo affaticati e lassi

Coprendo gli occhi, e stretti i panni al seno
Già pur tra il nembo accelerando i passi.
Ma nella vista ancor l'era il baleno
Ardendo sì, che alfin dallo spavento
Fermò l'andare, e il cor le venne meno.

E si rivolse indietro. E in quel momento
Si spense il lampo, e tornò buio l'etra,
Ed acchetossi il tuono, e stette il vento.
Taceva il tutto; ed ella era di pietra.

XL.

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5X57

dal greco di SIMONIDE (anuraino Dl. 19, 664 v. Ch

βαρύκτυπος

Ogni mondano evento

È di Giove in poter, di Giove, o figlio,

Che giusta suo talento

Ogni cosa dispone.

Ma di lunga stagione

Nostro cieco pensier s' affanna e cura,

Benchè l'umana etate,

Come destina il ciel nostra ventura,

Di giorno in giorno dura.

La bella speme tutti ci nutrica

Di sembianze beate,

Onde ciascuno indarno s' affatica:

Altri l'aurora amica,

Altri l'etade aspetta ;

E nullo in terra vive

Cui nell'anno avvenir facili e pii

Con Pluto e gli altri Iddii

La mente non prometta.

Ecco pria che la speme in porto arrive,

Qual da vecchiezza è giunto

E qual da morbi al bruno Lete addutto ;
Questo il rigido Marte, e quello il flutto
Del pelago rapisce; altri consunto
Da negre cure, o tristo nodo al collo
Circondando, sotterra si rifugge.
Così di mille mali

I miseri mortali

Volgo fiero e diverso agita e strugge.
Ma, per sentenza mia,

Uom saggio e sciolto dal comune errore

Patir non sosterria,

Nè porrebbe al dolore

Ed al mal proprio suo cotanto amore.

XLI.

DELLO STESSO. (Cco) (?) if song empow

Umana cosa picciol tempo dura,

E certissimo detto

Disse il veglio di Chio,

Conforme ebber natura
Le foglie e l'uman seme.
Ma questa voce in petto

Raccolgon pochi. All' inquieta speme,

Figlia di giovin core,

Tutti prestiam ricetto.

Mentre è vermiglio il fiore

Di nostra etade acerba

L'alma vota e superba

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Amorgino (vecti Lyrics Pitan

Cento dolci pensieri educa invano,
Nè morte aspetta nè vecchiezza ; e nulla
Cura di morbi ha l' uom gagliardo e sano.

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Ma stolto è chi non vede

La giovanezza come ha ratte l' ale, E siccome alla culla

Poco il rogo è lontano.

Tu presso a porre il piede

In sul varco fatale

Della plutonia sede,
Ai presenti diletti

La breve età commetti.

FINE.

NOTE.

123

Pag. 7. (1) Il successo delle Termopile fu celebrato veramente da quello che in essa canzone s' introduce a poetare, cioè da Simonide; tenuto dall'antichità fra gli ottimi poeti lirici, vissuto, che più rileva, ai medesimi tempi della scesa di Serse, e greco di patria. Questo suo fatto, lasciando l'epitaffio riportato da Cicerone e da altri, si dimostra da quello che scrive Diodoro nell'undecimo libro, dove recita anche certe parole di esso poeta in questo proposito, due o tre delle quali sono espresse nel quinto verso dell'ultima strofa. Rispetto dunque alle predette circostanze del tempo e della persona, e d' altra parte riguardando alle qualità della materia per sè medesima, io non credo che mai si trovasse argomento più degno di poema lirico, nè più fortunato di questo che fu scelto, o più veramente sortito, da Simonide. Perocchè se l'impresa delle Termopile fa tanta forza a noi che siamo stranieri verso quelli che l'operarono, e con tutto questo non possiamo tenere le lacrime a leggerla semplicemente come passasse, e ventitrè secoli dopo ch'ella è seguita; abbiamo a far congettura di quello che la sua ricordanza dovesse potere in un Greco, e poeta, e dei principali, avendo veduto il fatto, si può dire, cogli occhi propri, andando per le stesse città vincitrici di un esercito molto maggiore di quanti altri si ricorda la storia d'Europa, venendo a parte delle feste, delle maraviglie, del fervore di tutta un' eccellentissima nazione, fatta anche più magnanima della sua natura dalla coscienza della gloria acquistata, e dall'emulazione di tanta virtù dimostrata pur dianzi dai suoi. Per queste considerazioni, riputando a molta disavventura che le cose scritte da Simonide in quella occorrenza fossero perdute, non ch'io presumessi di riparare a questo danno, ma come per ingannare il desiderio, procurai di rappresentarmi alla mente le disposizioni dell' animo del poeta in quel tempo, e con questo mezzo, salva la disuguaglianza degl'ingegni, tornare e fare il suo canto; del quale io porto que

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