Ch'io per la Grecia i moribondi lumi Chiuda prostrato in guerra,
Così la vereconda
Fama del vostro vate appo i futuri
Possa, volendo i numi,
Tanto durar quanto la vostra duri.
SOPRA IL MONUMENTO DI DANTE
CHE SI PREPARAVA IN FIRENZE.
Perchè le nostre genti
Pace sotto le bianche ali raccolga, Non fien da'lacci sciolte
Dell'antico sopor l'itale menti,
S'ai patrii esempi della prisca etade Questa terra fatal non si rivolga. O Italia, a cor ti stia
Far ai passati onor; chè d'altrettali Oggi vedove son le tue contrade, Nè v'è chi d'onorar ti si convegna. Volgiti indietro, e guarda, o patria mia,` Quella schiera infinita d'immortali,
E piangi e di te stessa ti disdegna; Chè senza sdegno omai la doglia è stolta : Volgiti e ti vergogna e ti riscuoti,
E ti punga una volta
Pensier degli avi nostri e de'nepoti.
D'aria e d'ingegno e di parlar diverso Per lo toscano suol cercando gia L'ospite desioso
Dove giaccia colui per lo cui verso Il meonio cantor non è più solo.
Ed, oh vergogna! udia
Che non che il cener freddo e l'ossa nude
Giaccian esuli ancora
Dopo il funereo dì sott'altro suolo,
Ma non sorgea dentro a tue mura un sasso, Firenze, a quello per la cui virtude Tutto il mondo t'onora.
Oh voi pietosi, onde sì tristo e basso Obbrobrio laverà nostro paese!
Bell'opra hai tolta e di che amor ti rende,
Schiera prode e cortese,
Qualunque petto amor d'Italia accende.
Amor d'Italia, o cari,
Amor di questa misera vi sproni, Vêr cui pietade è morta
In ogni petto omai, perciò che amari Giorni dopo il seren dato n'ha il cielo. Spirti v'aggiunga e vostra opra coroni Misericordia, o figli,
E duolo e sdegno di cotanto affanno Onde bagna costei le guance e il velo. Ma voi di quale ornar parola o canto Si debbe, a cui non pur cure o consigli, Ma dell'ingegno e della man daranno I sensi e le virtudi eterno vanto Oprate e mostre nella dolce impresa? Quali a voi note invio, sì che nel core, Sì che nell'alma accesa Nova favilla indurre abbian valore?
Voi spirerà l'altissimo subbietto, Ed acri punte premeravvi al seno. Chi dirà l'onda e il turbo
Del furor vostro e dell'immenso affetto?
Chi pingerà l'attonito sembiante?
Chi degli occhi il baleno ?
Qual può voce mortal celeste cosa
Agguagliar figurando?
Lunge sia, lunge alma profana. Oh quante Lacrime al nobil sasso Italia serba ! Come cadrà? come dal tempo rósa Fia vostra gloria o quando?
Voi, di che il nostro mal si disacerba, Sempre vivete, o care arti divine, Conforto a nostra sventurata gente, Fra l'itale ruine
Gl'itali pregi a celebrare intente. Ecco voglioso anch'io
Ad onorar nostra dolente madre Porto quel che mi lice,
E mesco all'opra vostra il canto mio, Sedendo u'vostro ferro i marmi avviva. O dell'etrusco metro inclito padre, Se di cosa terrena,
Se di costei che tanto alto locasti Qualche novella ai vostri lidi arriva, Io so ben che per te gioia non senti, Chè saldi men che cera e men ch'arena, Verso la fama che di te lasciasti, Son bronzi e marmi; e dalle nostre menti Se mai cadesti ancor, s'unqua cadrai, Cresca, se crescer può, nostra sciaura E in sempiterni guai
Pianga tua stirpe a tutto il mondo oscura. Ma non per te; per questa ti rallegri Povera patria tua, s'unqua l'esempio Degli avi e de'parenti
Ponga ne'figli sonnacchiosi ed egri
Tanto valor che un tratto alzino il viso.
Ahi, da che lungo scempio
Vedi afflitta costei, che sì meschina
Te salutava allora
Che di novo salisti al paradiso !
Oggi ridotta sì che, a quel che vedi, Fu fortunata allor donna e reina,
Tal miseria l'accora
Qual tu forse mirando a te non credi. Taccio gli altri nemici e l'altre doglie, Ma non la più recente e la più fera, Per cui presso alle soglie
Vide la patria tua l'ultima sera.
Beato te, che il fato
A viver non dannò fra tanto orrore; Che non vedesti in braccio
L'itala moglie a barbaro soldato;
Non predar, non guastar cittadi e còlti L'asta inimica e il peregrin furore; Non degl'itali ingegni
Tratte l'opre divine a miseranda Schiavitude oltre l'alpe, e non de'folti Carri impedita la dolente via;
Non gli aspri cenni ed i superbi regni; Non udisti gli oltraggi e la nefanda Voce di libertà che ne schernia
Tra il suon delle catene e de'flagellì.
Chi non si duol? che non soffrimmo? intatto Che lasciaron quei felli?
Qual tempio, quale altare o qual misfatto?
Perchè venimmo a sì perversi tempi? Perchè il nascer ne desti, o perchè prima Non ne desti il morire,
Acerbo fato? onde stranieri ed empi Nostra patria vedendo ancella e schiava, E da mordace lima
Roder la sua virtù, di null'aita
E di nullo conforto
Lo spietato dolor che la stracciava Ammollir ne fu dato in parte alcuna. Ahi non il sangue nostro e non la vita Avesti, o cara; e morto
Io non son per la tua cruda fortuna. Qui l'ira al cor, qui la pietade abbonda:
Pugnò, cadde gran parte anche di noi: Ma per la moribonda
Italia no; per li tiranni suoi.
Padre, se non ti sdegni,
Mutato sei da quel che fosti in terra.
Morian per le rutene
Squallide piagge, ahi d'altra morte degni, Gl'itali prodi; e lor fea l'aere e il cielo E gli uomini e le belve immensa guerra. Cadeano a squadre a squadre Semivestiti, maceri e cruenti, Ed era letto agli egri corpi il gelo. Allor, quando traean l'ultime pene, Membrando questa desiata madre, Diceano: oh non le nubi e non i venti, Ma ne spegnesse il ferro, e per tuo bene, O patria nostra. Ecco da te rimoti, Quando più bella a noi l'età sorride, A tutto il mondo ignoti,
Moriam per quella gente che t'uccide. Di lor querela il boreal deserto E conscie fur le sibilanti selve. Così vennero al passo,
E i negletti cadaveri all'aperto Su per quello di neve orrido mare Dilacerâr le belve;
E sarà il nome degli egregi e forti Pari mai sempre ed uno
Con quel de'tardi e vili. Anime care, Bench'infinita sia vostra sciagura, Datevi pace; e questo vi conforti Che conforto nessuno
Avrete in questa o nell'età futura. In seno al vostro smisurato affanno Posate, o di costei veraci figli, Al cui supremo danno
Il vostro solo è tal che s'assomigli,
« ÖncekiDevam » |