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Pruine induca alle commosse belve ;
Forse alle stanche e nel dolor sepolte
Umane menti riede

La bella età, cui la sciagura e l'atra
Face del ver consunse

Innanzi tempo? Ottenebrati e spenti
Di Febo i raggi al misero non sono
In sempiterno? ed anco,

Primavera odorata, inspiri e tenti
Questo gelido cor, questo ch'amara

Nel for degli anni suoi vecchiezza impara?

Vivi tu, vivi, o santa

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A. De Marset - Rolla I.

Natura? vivi, e il dissueto orecchio
Della materna voce il suono accoglie ?
Già di candide ninfe i rivi albergo,
Placido albergo e specchio
Furo i liquidi fonti. Arcane danze
D'immortal piede i ruinosi gioghi
Scossero e l'ardue selve (oggi romito
Nido de'venti): e il pastorel ch'all'ombre
Meridiane (6) incerte, ed al fiorito
Margo adducea de'fiumi

(3)

Le sitibonde agnelle, arguto carme
Sonar d'agresti Pani

Udi lungo le ripe; e tremar l'onda

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Vide, e stupì, che non palese al guardo
La faretrata Diva

Scendea ne'caldi flutti, e dall'immonda
Polve tergea della sanguigna caccia
Il niveo lato e le verginee braccia.

Vissero i fiori e l'erbe,

Vissero i boschi un dì. Conscie le molli

Aure, le nubi e la titania lampa

Fur dell'umana gente, allor che ignuda à
Te per le piagge e i colli,

Ciprigna luce, alla deserta notte

Con gli occhi intenti il viator seguendo,

Par 1,38

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dant La lucerna del mondo

Luer. V, 203 Lampada
mundi (

Virg. 111,637

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Te compagna alla via, te de'mortali
Pensosa immaginò. Che se gl'impuri
Cittadini consorzi e le fatali
Ire fuggendo e l'onte,

Gl'ispidi tronchi al petto altri nell'ime
Selve remoto accolse,

Viva fiamma agitar l'esangui vene,
Spirar le foglie, e palpitar segreta

Metam. I Nel doloroso amplesso

11 Dafne e la mesta Filli, o di Climene

Pianger credè la sconsolata prole
Quel che sommerse in Eridano il sole.
Nè dell'umano affanno,
Rigide balze, i luttuosi accenti
Voi negletti ferir mentre le vostre
Paurose latebre Eco solinga,

Non vano error de'venti,

Ma di ninfa abitò misero spirto,
Cui grave amor, cui duro fato escluse
Delle tenere membra. Ella per grotte,
Per nudi scogli e desolati alberghi,
Le non ignote ambasce e l'alte e rotte
Nostre querele al curvo

Etra insegnava. E te d'umani eventi
Disse la fama esperto,

Musico augel che tra chiomato bosco
Or vieni il rinascente anno cantando,
E lamentar nell'alto

Ozio de'campi,

all'aer muto e fosco,

Antichi danni e scellerato scorno,

E d'ira e di pietà pallido il giorno.
Ma non cognato al nostro

(1)

gener tuo; quelle tue varie note Dolor non forma, e te di colpa ignudo, Men caro assai la bruna valle asconde. Ahi ahi, poscia che vote

Son le stanze d'Olimpo, e cieco il tuono

Per l'atre nubi e le montagne errando,
Gl'iniqui petti e gl'innocenti a paro
In freddo orror dissolve; e poi ch'estrano
Il suol nativo, e di sua prole ignaro

Le meste anime educa;

Tu le cure infelici e i fati indegni
Tu de'mortali ascolta,

Vaga natura, e la favilla antica

Rendi allo spirto mio; se tu pur vivi,
E se de'nostri affanni

Cosa veruna in ciel, se nell'aprica
Terra s'alberga o nell'equoreo seno,
Pietosa no, ma spettatrice almeno. (1)

VIII.

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INNO AI PATRIARCHI

DE' PRINCIPII DEL GENERE UMANO.

E voi de' figli dolorosi il canto,
Voi dell' umana prole incliti padri,
Lodando ridirà; molto all' eterno
Degli astri agitator più cari, e molto
Di noi men lacrimabili nell' alma
Luce prodotti. Immedicati affanni
Al misero mortal, nascere al pianto,
E dell' etereo lume assai più dolci
Sortir l'opaca tomba e il fato estremo,
Non la pietà, non la diritta impose
Legge del cielo. E se di vostro antico
Error, che l'uman seme alla tiranna
Possa de' morbi e di sciagura offerse,
Grido antico ragiona, altre più dire

Colpe de' figli e irrequleto ingegno,
E demenza maggior l'offeso Olimpo
Narmaro incontra, e la negletta mano
Dell' altrice natura; onde la viva
Fiamma n'increbbe, e detestato il parto
Fu del grembo materno, e violento
Emerse il disperato Erebo in terra.

Tu primo il giorno, e le purpuree faci
Delle rotanti sfere, e la novella
Prole de' campi, o duce antico e padre
Dell' umana famiglia, e tu l' errante
Per li giovani prati aura contempli :
Quando le rupi e le deserte valli
Precipite l'alpina onda feria

D' inudito fragor; quando gli ameni
Futuri seggi di lodate genti

E di cittadi romorose, ignota
Pace regnava; e gl' inarati colli
Solo e muto ascendea l'aprico raggio
Di Febo e l'aurea luna. Oh fortunata,
Di colpe ignara e di lugúbri eventi
Erma terrena sede! Oh quanto affanno
Al gener tuo, padre infelice, e quale
D'amarissimi casi ordine immenso
Preparano i destini! Ecco di sangue
Gli avari cólti e di fraterno scempio
Furor novello incesta, e le nefande
Ali di morte il divo etere impara.
Trepido, errante il fratricida, e l'ombre
Solitarie fuggendo e la secreta
Nelle profonde selve ira de' venti,
Primo i civili tetti, albergo e regno
Alle macere cure, innalza (7); e primo
Il disperato pentimento i ciechi
Mortali egro, anelante, aduna e stringe
Ne' consorti ricetti: onde negata
L'improba mano al curvo aratro, e viti

Fur gli agresti sudori; ozio le soglie
Scellerate occupò; ne'corpi inerti
Domo il vigor natio, languide, ignave
Giacquer le menti; e servitù le imbelli
Umane vite, ultimo danno, accolse.

E tu dall' etra infesto e dal mugghiante
Su i nubiferi gioghi equoreo flutto
Scampi l' iniquo germe, o tu cui prima
Dall' aer cieco e da' natanti poggi
Segno arrecò d'instaurata spene
La candida colomba, e dell' antiche
Nubi l'occiduo Sol naufrago uscendo,
L'atro polo di vaga iri dipinse.

Riede alla terra, e il crudo affetto e gli empi
Studi rinnova e le seguaci ambasce

La riparata gente. Agl' inaccessi
Regni del mar vendicatore illude

Profana destra, e la sciagura e il pianto
A novi liti e nove stelle insegna.
Or te, padre de' pii, te giusto e forte
E di tuo seme i generosi alunni
Medita il petto mio. Dirò siccome
Sedente, oscuro, in sul meriggio all'ombre
Del riposato albergo, appo le molli
Rive del gregge tuo nutrici e sedi
Te de' celesti peregrini occulte
Beâr l'eteree menti: e quale, o figlio
Della saggia Rebecca, in su la sera,
Presso al rustico pozzo e nella dolce
Di pastori e nei lieti ozi frequente
Aranitica valle, amor ti punse
Della vezzosa Labanide: invitto
Amor, ch'a lunghi esigli e lunghi affanni
E di servaggio all'odiata soma

Volenteroso il prode animo addisse.

Fu certo, fu (nè d'error vano o d'ombra L'aonio canto e della fama il grido

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