Sayfadaki görseller
PDF
ePub

Pasce l' avida plebe) amica un tempo
Al sangue nostro e dilettosa e cara
Questa misera piaggia, ed aurea corse
Nostra caduca età. Non che di latte
Onda rigasse intemerata il fianco
Delle balze materne, o con le greggi
Mista la tigre ai consueti ovili
Ne guidasse per gioco i lupi al fonte
Il pastorel; ma di suo fato ignara
E degli affanni suoi, vota d'affanno
Visse l'umana stirpe; alle secrete
Leggi del cielo e di natura indutto
Valse l'ameno error, le fraudi, il molle
Pristino velo; e di sperar contenta
Nostra placida nave in porto ascese.

Tal fra le vaste californie selve
Nasce beata prole a cui non sugge
Pallida cura il petto, a cui le membra
Fera tabe non doma; e vitto il bosco,
Nidi l'intima rupe, onde ministra

L'irrigua valle, inopinato il giorno

Dell' atra morte incombe. Oh contra il nostro

Scellerato ardimento inermi regni

Della saggia natura "I lidi e gli antri

E le quiete selve apre l' invitto
Nostro furor; le violate genti
Al peregrino affanno, agl' ignorati
Desiri educa; e la fugace, ignuda
Felicità per l' imo sole incalza (8).

IX.

ULTIMO CANTO DI SAFFO

Placida notte, e verecondo raggio Della cadente luna; e tu che spunti Fra la tacita selva in su la rupe,

(1)

Nunzio del giorno; oh dilettose e care,
Mentre ignote mi fur l'erinni e il fato,
Sembianze agli occhi miei; già non arride
Spettacol molle ai disperati affetti.
Noi l'insueto allor gaudio ravviva
Quando per l'etra liquido si volve
E per li campi trepidanti il flutto
Polveroso de' Noti, e quando il carro,
Grave carro di Giove a noi sul capo
Tonando, il tenebroso aere divide.
Noi per le balze e le profonde vaļli
Natar giova tra' nembi, e noi la vasta
Fuga de' greggi sbigottiti, o d'alto
Fiume alla dubbia sponda

Il suono e la vittrice ira dell' onda.

Bello il tuo manto, o divo cielo; e bella
Sei tu, rorida terra. Ahi di codesta
Infinita beltà parte nessuna

Alla misera Saffo i numi e l'empia
Sorte non fenno. A' tuoi superbi regni
Vile, o Natura, e grave ospite addetta,
E dispregiata amante, alle vezzose
Tue forme il core e le pupille invano
Supplichevole intendo. A me non ride
L'aprico margo, e dall' eterea porta
Il mattutino albor; me non il canto
De' colorati augelli, e non de' faggi
Il murmure saluta: e dove all'ombra
Degl' inchinati salici dispiega
Candido rivo il puro seno, al mio
Lubrico piè le flessuose linfe
Disdegnando sottragge,

E preme in fuga l'odorate spiagge.

Qual fallo mai, qual sì nefando eccesso Macchiommi anzi il natale, onde si torvo Il ciel mi fosse e di fortuna il volto? In che peccai bambina, allor che ignara

[ocr errors][merged small][ocr errors]

Di misfatto è la vita, onde poi scemo
Di giovinezza, e disfiorato, al fuso
Dell' indomita Parca si volvesse
Il ferrigno mio stame? Incaute voci
Spande il tuo labbro: i destinati eventi
Move arcano consiglio. Arcano è tutto
Fuor che il nostro dolor. Negletta prole
Nascemmo al pianto, e la ragione in grembo
De' celesti si posa. Oh cure, o speme
De' più verd' anni! Alle sembianze il Padre,
Alle amene sembianze eterno regno
Diè nelle genti; e per virili imprese,
Per dotta lira o canto,

Virtù non luce in disadorno ammanto.
Morremo. Il velo indegno a terra sparto,
Rifuggirà l' ignudo animo a Dite,
E il crudo fallo emenderà del cieco
Dispensator de' casi. E tu cui lungo
Amore indarno, e lunga fede, e vano
D' implacato desio furor mi strinse,
Vivi felice, se felice in terra
Visse nato mortal. Me non asperse
Del soave licor del doglio avaro

Giove, poi che perîr gl' inganni e il sogno
Della mia fanciullezza. Ogni più lieto

Giorno di nostra età primo s' invola.

Sottentra il morbo, e la vecchiezza, e l'ombra
Della gelida morte. Ecco di tante

Sperate palme e dilettosi errori,

Il Tartaro m' avanza; e il prode ingegno
Han la tenaria Diva,

E l'atra notte, e la silente riva.

X.

IL PRIMO AMORE.

Tornami a mente il dì che la battaglia
D'amor sentii la prima volta, e dissi
Oimè, se quest' è amor, com' ei travaglia !
Chè gli occhi al suol tuttora intenti e fissi,
lo mirava colei ch' a questo core

Primiera il varco ed innocente aprissi.
Ahi come mal mi governasti, amore!
Perchè seco dovea si dolce affetto
Recar tanto desio, tanto dolore?

E non sereno, e non intero e schietto,
Anzi pien di travaglio e di lamento
Al cor mi discendea tanto diletto?

[ocr errors]

Dimmi, tenero core, or che spavento,
Che angoscia era la tua fra quel pensiero
Presso al qual t'era noia ogni contento?
Quel pensier che nel dì, che lusinghiero
Ti si offeriva nella notte, quando
Tutto queto parea nell'emisfero:

Tu inquieto, e felice e miserando,
M'affaticavi in su le piume il fianco,
Ad ogni or fortemente palpitando.

E dove io tristo ed affannato e stanco
Gli occhi al sonno chiudea, come per febre
Rotto e deliro il sonno venia manco.

Oh come viva in mezzo alle tenebre
Sorgea la dolce imago, e gli occhi chiusi
La contemplavan sotto alle palpebre !
Oh come soavissimi diffusi

Moti per l'ossa mi serpeano! oh come
Mille nell' alma instabili, confusi

Pensieri si volgean! qual tra le chiome
D'antica selva zefiro scorrendo,

37

Un lungo, incerto mormorar ne prome.

E mentre io taccio, e mentr'io non contendo, Che dicevi, o mio cor, che si partia Quella per che penando ivi e battendo?

Il cuocer non più tosto io mi sentia
Della vampa d'amor che il venticello
Che l'aleggiava, volossene via.

Senza senno io giacea sul dì novello,
Ei destrier che dovean farmi deserto
Battean la zampa sotto al patrio ostello.
Ed iò timido e cheto ed inesperto,
Vêr lo balcone al buio protendea
L'orecchio avido e l'occhio indarno aperto,
La voce ad ascoltar, se ne dovea

Di quelle labbra uscir, ch' ultima fosse ;
La voce, ch' altro il cielo, ahi, mi togliea.
Quante volte plebea voce percosse

Il dubitoso orecchio, e un gel mi prese,
E il core in forse a palpitar si mosse !
E poi che finalmente mi discese
La cara voce al core, e de' cavai
E delle rote il romorio s' intese ;
Orbo rimaso allor, mi rannicchiai
Palpitando nel letto e, chiusi gli occhi,
Strinsi il cor con la mano e sospirai.
Poscia traendo i tremuli ginocchi
Stupidamente per la muta stanza,
Ch'altro sarà, dicea, che il cor mi tocchi?
Amarissima allor la ricordanza
Locommisi nel petto, e mi serrava
Ad ogni voce il core, a ogni sembianza.
E lunga doglia il sen mi ricercava,
Com' è quando a distesa Olimpo piove
Malinconicamente e.i campi lava.

Ned io ti conoscea, garzon di nove
E nove Soli, in questo a pianger nato
Quando facevi, Amor, le prime prove.

« ÖncekiDevam »