Pasce l' avida plebe) amica un tempo Al sangue nostro e dilettosa e cara Questa misera piaggia, ed aurea corse Nostra caduca età. Non che di latte Onda rigasse intemerata il fianco Delle balze materne, o con le greggi Mista la tigre ai consueti ovili Ne guidasse per gioco i lupi al fonte Il pastorel; ma di suo fato ignara E degli affanni suoi, vota d'affanno Visse l'umana stirpe; alle secrete Leggi del cielo e di natura indutto Valse l'ameno error, le fraudi, il molle Pristino velo; e di sperar contenta Nostra placida nave in porto ascese.
Tal fra le vaste californie selve Nasce beata prole a cui non sugge Pallida cura il petto, a cui le membra Fera tabe non doma; e vitto il bosco, Nidi l'intima rupe, onde ministra
L'irrigua valle, inopinato il giorno
Dell' atra morte incombe. Oh contra il nostro
Scellerato ardimento inermi regni
Della saggia natura "I lidi e gli antri
E le quiete selve apre l' invitto Nostro furor; le violate genti Al peregrino affanno, agl' ignorati Desiri educa; e la fugace, ignuda Felicità per l' imo sole incalza (8).
Placida notte, e verecondo raggio Della cadente luna; e tu che spunti Fra la tacita selva in su la rupe,
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Nunzio del giorno; oh dilettose e care, Mentre ignote mi fur l'erinni e il fato, Sembianze agli occhi miei; già non arride Spettacol molle ai disperati affetti. Noi l'insueto allor gaudio ravviva Quando per l'etra liquido si volve E per li campi trepidanti il flutto Polveroso de' Noti, e quando il carro, Grave carro di Giove a noi sul capo Tonando, il tenebroso aere divide. Noi per le balze e le profonde vaļli Natar giova tra' nembi, e noi la vasta Fuga de' greggi sbigottiti, o d'alto Fiume alla dubbia sponda
Il suono e la vittrice ira dell' onda.
Bello il tuo manto, o divo cielo; e bella Sei tu, rorida terra. Ahi di codesta Infinita beltà parte nessuna
Alla misera Saffo i numi e l'empia Sorte non fenno. A' tuoi superbi regni Vile, o Natura, e grave ospite addetta, E dispregiata amante, alle vezzose Tue forme il core e le pupille invano Supplichevole intendo. A me non ride L'aprico margo, e dall' eterea porta Il mattutino albor; me non il canto De' colorati augelli, e non de' faggi Il murmure saluta: e dove all'ombra Degl' inchinati salici dispiega Candido rivo il puro seno, al mio Lubrico piè le flessuose linfe Disdegnando sottragge,
E preme in fuga l'odorate spiagge.
Qual fallo mai, qual sì nefando eccesso Macchiommi anzi il natale, onde si torvo Il ciel mi fosse e di fortuna il volto? In che peccai bambina, allor che ignara
Di misfatto è la vita, onde poi scemo Di giovinezza, e disfiorato, al fuso Dell' indomita Parca si volvesse Il ferrigno mio stame? Incaute voci Spande il tuo labbro: i destinati eventi Move arcano consiglio. Arcano è tutto Fuor che il nostro dolor. Negletta prole Nascemmo al pianto, e la ragione in grembo De' celesti si posa. Oh cure, o speme De' più verd' anni! Alle sembianze il Padre, Alle amene sembianze eterno regno Diè nelle genti; e per virili imprese, Per dotta lira o canto,
Virtù non luce in disadorno ammanto. Morremo. Il velo indegno a terra sparto, Rifuggirà l' ignudo animo a Dite, E il crudo fallo emenderà del cieco Dispensator de' casi. E tu cui lungo Amore indarno, e lunga fede, e vano D' implacato desio furor mi strinse, Vivi felice, se felice in terra Visse nato mortal. Me non asperse Del soave licor del doglio avaro
Giove, poi che perîr gl' inganni e il sogno Della mia fanciullezza. Ogni più lieto
Giorno di nostra età primo s' invola.
Sottentra il morbo, e la vecchiezza, e l'ombra Della gelida morte. Ecco di tante
Sperate palme e dilettosi errori,
Il Tartaro m' avanza; e il prode ingegno Han la tenaria Diva,
E l'atra notte, e la silente riva.
Tornami a mente il dì che la battaglia D'amor sentii la prima volta, e dissi Oimè, se quest' è amor, com' ei travaglia ! Chè gli occhi al suol tuttora intenti e fissi, lo mirava colei ch' a questo core
Primiera il varco ed innocente aprissi. Ahi come mal mi governasti, amore! Perchè seco dovea si dolce affetto Recar tanto desio, tanto dolore?
E non sereno, e non intero e schietto, Anzi pien di travaglio e di lamento Al cor mi discendea tanto diletto?
Dimmi, tenero core, or che spavento, Che angoscia era la tua fra quel pensiero Presso al qual t'era noia ogni contento? Quel pensier che nel dì, che lusinghiero Ti si offeriva nella notte, quando Tutto queto parea nell'emisfero:
Tu inquieto, e felice e miserando, M'affaticavi in su le piume il fianco, Ad ogni or fortemente palpitando.
E dove io tristo ed affannato e stanco Gli occhi al sonno chiudea, come per febre Rotto e deliro il sonno venia manco.
Oh come viva in mezzo alle tenebre Sorgea la dolce imago, e gli occhi chiusi La contemplavan sotto alle palpebre ! Oh come soavissimi diffusi
Moti per l'ossa mi serpeano! oh come Mille nell' alma instabili, confusi
Pensieri si volgean! qual tra le chiome D'antica selva zefiro scorrendo,
Un lungo, incerto mormorar ne prome.
E mentre io taccio, e mentr'io non contendo, Che dicevi, o mio cor, che si partia Quella per che penando ivi e battendo?
Il cuocer non più tosto io mi sentia Della vampa d'amor che il venticello Che l'aleggiava, volossene via.
Senza senno io giacea sul dì novello, Ei destrier che dovean farmi deserto Battean la zampa sotto al patrio ostello. Ed iò timido e cheto ed inesperto, Vêr lo balcone al buio protendea L'orecchio avido e l'occhio indarno aperto, La voce ad ascoltar, se ne dovea
Di quelle labbra uscir, ch' ultima fosse ; La voce, ch' altro il cielo, ahi, mi togliea. Quante volte plebea voce percosse
Il dubitoso orecchio, e un gel mi prese, E il core in forse a palpitar si mosse ! E poi che finalmente mi discese La cara voce al core, e de' cavai E delle rote il romorio s' intese ; Orbo rimaso allor, mi rannicchiai Palpitando nel letto e, chiusi gli occhi, Strinsi il cor con la mano e sospirai. Poscia traendo i tremuli ginocchi Stupidamente per la muta stanza, Ch'altro sarà, dicea, che il cor mi tocchi? Amarissima allor la ricordanza Locommisi nel petto, e mi serrava Ad ogni voce il core, a ogni sembianza. E lunga doglia il sen mi ricercava, Com' è quando a distesa Olimpo piove Malinconicamente e.i campi lava.
Ned io ti conoscea, garzon di nove E nove Soli, in questo a pianger nato Quando facevi, Amor, le prime prove.
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