Ampie finestre sibilando il vento, Rimbombaro i sollazzi e le festose Mie voci al tempo che l' acerbo, indegno Mistero delle cose a noi si mostra Pien di dolcezza; indelibata, intera Il garzoncel, come inesperto amante La sua vita ingannevole vagheggia, E celeste beltà fingendo ammira.
O speranze, speranze; ameni inganni Della mia prima età! sempre, parlando, Ritorno a voi; chè per andar di tempo, Per variar d' affetti e di pensieri, Obbliarvi non so. Fantasmi, intendo, Son la gloria e l'onor; diletti e beni Mero desio; non ha la vita un frutto, Inutile miseria. E sebben vòti Son gli anni miei, sebben deserto, oscuro Il mio stato mortal, poco mi toglie La fortuna, ben veggo Ahi, ma qualvolta A voi ripenso, o mie speranze antiche, Ed a quel caro immaginar mio primo ; Indi riguardo il viver mio sì vile
E si dolente, e che la morte è quello Che di cotanta speme oggi m' avanza; Sento serrarmi il cor, sento ch' al tutto Consolarmi non so del mio destino. E quando pur questa invocata morte Sarammi allato, e sarà giunto il fine Della sventura mia; quando la terra Mi fia straniera valle, e dal mio sguardo Fuggirà l'avvenir; di voi per certo Risovverrammi; e quell' imago ancora Sospirar mi farà, farammi acerbo L'esser vissuto indarno, e la dolcezza Del dì fatal tempererà d' affanno.
E già nel primo giovanil tumulto Di contenti, d'angosce e di desio,
Vergilio Sch. V11,37 Norine Calathea
Morte chiamai più volte, e lungamente Mi sedetti colà su la fontana
Pensoso di cessar dentro quell' acque
La speme e il dolor mio. Poscia, per cieco Malor, condotto della vita in forse, Piansi la bella giovanezza, e il fiore De' miei poveri dì, che si per tempo Cadeva e spesso all' ore tarde, assiso Sul conscio letto, dolorosamente Alla fioca lucerna poetando, Lamentai co' silenzi e con la notte Il fuggitivo spirto, ed a me stesso In sul languir cantai funereo canto. Chi rimembrar vi può senza sospiri, O primo entrar di giovinezza, o giorni Vezzosi, inenarrabili, allor quando Al rapito mortal primieramente Sorridon le donzelle; a gara intorno Ogni cosa sorride; invidia tace, Non desta ancora ovver benigna; e quasi (Inusitata maraviglia !) il mondo
La destra soccorrevole gli porge, Scusa gli errori suoi, festeggia il novo Suo venir nella vita, ed inchinando Mostra che per signor l'accolga e chiami? Fugaci giorni! a somigliar d'un lampo Son dileguati E qual mortale ignaro Di sventura esser può, se a lui già scorsa Quella vaga stagion, se il suo buon tempo, Se giovanezza, ahi giovanezza, è spenta? (4) O Nerina e di te forse non odo Questi luoghi parlar? caduta forse Dal mio pensier sei tu? Dove sei gita, Che qui sola di te la ricordanza Trovo, dolcezza mia? Più non ti vede Questa terra natal : quella finestra, Ond' eri usata favellarmi, ed onde
Mesto riluce delle stelle il raggio,
È deserta. Ove sei, che più non odo La tua voce sonar, siccome un giorno, Quando soleva ogni lontano accento
Del labbro tuo, ch'a me giungesse, il volto Scolorarmi? Altro tempo. I giorni tuoi Fùro, mio dolce amor. Passasti. Ad altri Il passar per la terra oggi è sortito, E l'abitar questi odorati colli.
Ma rapida passasti; e come un sogno
Fu la tua vita. Ivi danzando; in fronte La gioia ti splendea, splendea negli occhi Quel confidente immaginar, quel lume Di gioventù, quando spegneali il fato, E giacevi. Ahi Nerina! In cor mi regna L'antico amor. Se a feste anco talvolta, Se a radunanze io movo, infra me stesso Dico: o Nerina, a radunanze, a feste Tu non ti acconci più, tu più non movi. Se torna maggio, e ramoscelli e suoni Van gli amanti recando alle fanciulle, Dico Nerina mia, per te non torna Primavera giammai, non torna amore. Ogni giorno sereno, ogni fiorita
Piaggia ch'io miro, ogni goder ch'io sento, Dico Nerina or più non gode ; i campi, L'aria non mira. Ahi tu passasti, eterno Sospiro mio passasti: e fia compagna D'ogni mio vago immaginar, di tutti I miei teneri sensi, i tristi e cari Moti del cor, la rimembranza acerba.
di un pastore ERRANTE DELL'asia (9).
Che fai tu, luna, in ciel ? dimmi, che fai, Silenziosa luna?
Contemplando i deserti; indi ti posi. Ancor non sei tu paga
Di rïandare i sempiterni calli?
Ancor non prendi a schivo, ancor sei vaga
Di mirar queste valli ?
Somiglia alla tua vita
La vita del pastore.
Sorge in sul primo albore,
Move la greggia oltre pel campo, e vede
Greggi, fontane ed erbe ;
Poi stanco si riposa in su la sera :
Altro mai non ispera.
Dimmi, o luna a che vale
Al pastor la sua vita,
La vostra vita a voi ?-dimmi: ove tende
Questo vagar mio breve,
Il tuo corso immortale ?
Vecchierel bianco, infermo,
Mezzo vestito e scalzo,
Con gravissimo fascio in su le spalle,
Per montagna e per valle,
Per sassi acuti, ed alta rena, e fratte,
Al vento, alla tempesta, e quando avvampa
Cade, risorge, e più e più s'affretta, Senza posa o ristoro,
Lacero, sanguinoso; infin ch' arriva Colà dove la via
E dove il tanto affaticar fu vòlto: Abisso orrido, immenso,
Ov' ei precipitando, il tutto obblia. Vergine luna, tale
È la vita mortale.
Nasce l'uomo a fatica,
Ed è rischio di morte il nascimento.
Prova pena e tormento
Per prima cosa; e in sul principio stesso
La madre e il genitore
Il prende a consolar dell' esser nato.
Poi che crescendo viene,
L'uno e l'altro il sostiene, e via pur sempre
Con atti e con parole
Studiasi fargli core,
E consolarlo dell' umano stato :
Altro ufficio più grato
Non si fa da parenti alla lor prole.
Ma perchè dare al sole,
Perchè reggere in vita
Chi poi di quella consolar convenga ?
Se la vita è sventura,
Perchè da noi si dura?
Intatta luna, tale
È lo stato mortale.
Ma tu mortal non sei,
E forse del mio dir poco ti cale.
Pur tu, solinga, eterna peregrina, Che si pensosa sei, tu forse intendi Questo viver terreno,
Il patir nostro, il sospirar, che sia; Che sia questo morir, questo supremo Scolorar del sembiante,
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