stantia in qua Papa et Imperator habent reduci ad unum. Il che è appunto detto d' un Imperador Romano, nel poema, Una Sustanza, Sopra la qual doppio lume s'addua.-Parad. vii. 5. Ecco in relazione le due parti opposte, in varie figure es presse: ROMA PAPALE e ROMA IMPERIALE: o sia, La perversa Babilonia, con l' Anti-Cristo e'l suo popolo vizioso, anarchico, miserabile:-La Nuova Gerusalemme, con Cristo e'l suo popolo virtuoso, pacifico, beato. Quindi le denominazioni di falsa città, e vera città—città del mal vivere, e città del ben vivere, o semplicemente città di morte e città di vita. Queste due parti complessive, ridotte a persone, divennero nel poema apocaliptico Meretrice e Beatrice; giusto perchè l'Apocalissi medesima le offre come due donne. Quindi due specie d'amori, il tristo e'l buono ; e due classi di amanti, gli empj drudi della perniciosa Babilonia, e i santi amatori della beatrice Gerusalemme. Siccome poi, nella stessa Apocalisse, Babilonia è dipinta qual abitazione di demonj, e ricettacolo di ogni spirito immondo; e la Nuova Gerusalemme è offerta qual soggiorno d'angeli, e ricetto d'ogni spirito puro; così l'una e l'altra, o sia Roma papale, e Roma imperiale, divennero. Inferno con Lucifero trino ed uno, e demonj e dannati. Paradiso con Dio trino ed uno, ed angeli e beati. Vedemmo quante allusioni a Roma papale vi sono nell' Abisso dantesco; e vedremo a suo luogo che altrettante almeno ve ne sono nell' Empiro dantesco, riguardo a Roma imperiale. CAPITOLO XI. ALTRE OPERE DI DANTE, IN RELAZIONE COL SUO GRAN POEMA. S'EGLI è vero, come il Negri asserisce, che Dante abbia composto un libro intitolato "Tractatum de Symbolo Civitatis Jerusalem et almæ Romæ," dobbiamo collacrimarne la perdita. Quai lumi non avremmo avuti da esso a rischiarare sempre più il poema! Il solo titolo ci dice che la figurata Gerusalemme e Roma imperiale (e forse anche la figurata Babilonia e Roma papale) vi erano poste in istretta relazione. Se nei meno importanti degli scritti suoi sparse sempre una qualche tinta di questo suo pensiero dominatore, qual vivo colore non dovè diffondere in quello che di proposito un tale assunto trattava? Egli è ben vero che non mai apertamente ei chiamò Inferno l'Italia, ma la disse Babilonia, che torna allo stesso; e carcere universale la denominò, e peggio ancora 2. Mentre egli per quell' Inferno pellegrinava, all'udire che stava per giungere, come pacificatore pietoso, quell' ottimo Arrigo VII, quel solo medico sapiente (al dire del Muratori negli Annali) che avrebbe potuto guarire le piaghe di corpo sì cangrenoso, se di medela fosse stato capace, quel generosissimo Cesare il quale era salutato Salvatore della Italia sventurata, e dal nostro poeta apertamente assimilato a G. C., lieto di tanta nuova, e nell' aspettativa della comun redenzione, così scriveva in due lettere, una diretta ai popoli ed ai principi della penisola, e l'altra a quel redentore in persona: si noti la speranza di veder cambiato il Tempo babilonico in Secol d'oro. "Nuova speranza di miglior secolo a Italia risplendè. Molti, venendo innanzi ai lor desiderj in gioja, con Virgilio i regni di Saturno e la Vergine cantavano.' Jam redit et Virgo, redeunt Saturnia regna. Queste stesse parole adattò nel poema alla venuta di quel vero comun Salvatore che derivò dal sangue d' Isai. E seguì a dire nella lettera: “La sagacitade e la persecuzione dell'antico e superbo nemico, il quale sempre e nascostamente aguata la posteritade umana....noi altri non volenti crudelmente spogliò.—Adunque rompi le dimoranze, alta schiatta d' Isai.... Siccome noi ora, ricordandoci che siamo di Jerusalem santa in esilio in Babilonia, piangiamo, cosi allora, cittadini e respiranti, in a Serva (di Satanno) e bordello (della Meretrice), ostello di dolore (com' è appunto l'Inferno), e nave senza nocchiero, e luogo senza requie,-tale ei la dipinse ancora. "Non habent requiem die ac nocte qui adoraverunt Bestiam et imaginem ejus.”—Apoc. Ahi, serva Italia, di dolore ostello, Nave senza nocchiero in gran tempesta, Di quei ch' un muro ed una fossa serra, ecc. Allude probabilmente al muro di undici miglia, cinto dalla fossa di ventidue miglia, dentro cui il conte Ugolino si rode l'Arcivescovo Ruggieri. "Melius est sub pio silentio Salvatoris nostri expectare succursum : così nel lib. de Monarchia, dove al principio della seconda parte lo paragona a Gesù Cristo, senza nessun velo. pace ed in allegrezza le miserie della confusione rivolgeremo." (Lett. di Dante ad Arrigo.) "Il leone della tribù di Juda porse i misericordiosi orecchi, avendo pietà de' mugghi della universale carcere.—Rallegrati oggimai, Italia....perocchè il tuo sposo, ch'è letizia del secolo e gloria della plebe d il pietosissimo Arrigo alle tue nozze di venire si affretta. Asciuga, o bellissima, le tue lagrime, e gli andamenti della tristizia disfà, imperocchè egli è presso colui che ti libererà dalla carcere de malvagi; il quale percotendo i perpetratori delle fellonie gli dannerà al taglio della spada, e la vigna sua allogherà ad altri lavoratori.-Occupate dunque lo vostre facce in confessione di suggezione di lui, e nel SALTERIO DELLA PENITENZA cantate." (Lett. di Dante per la Venuta di Arrigo.) Quindi adatto il Salterio della penitenza a quell'uopo, da che nacque la sua, così creduta, traduzione de' Salmi penitenziali, in cui le allusioni ad Arrigo, in figura di Dio e di Cristo, son frequentissime. Ei lo prega di difender lui dal "verme reo che il mondo fora" (così chiama Lucifero, Inf. xxxiv.), e di perfezionare l'opera della santa Gerusalemme. 3 Difendimi, Signor, dallo gran vermo, E sanami, imperò ch'io non ho osso, Che senza il tuo ajuto io più non posso. Tu sei, Signor, la luce chiara e pura Confusione e Babilonia,-Pace e Gerusalemme, sinonimi. In questa lettera dice anche che avea già veduto Arrigo. Vidi te benignissimo, e udii te pietosissimo, quando le mie mani toccarono i tuoi piedi, e le labbra mie pagarono il lor debito, quando sì esultò in me lo spirito mio." E qual debito pagarono le sue labbra ? col chiamarlo Salvatore: Exultavit spiritus meus in Deo, salutari meo: parole dette dalla Vergine. b Così l'Inferno "Che mugghia come fa mar per tempesta" è detto "cieco carcere" nel Canto X. C L'Apocalisse chiama la Nuova Gerusalemme Sponsam uxorem Agni ...ornatam sicut Sponsam viro suo; e così Dante, e così molti chiamavano allora l'Italia e Roma. Roma Sponsum vocat, scriveva Petrarca a Carlo IV, nipote di questo Arrigo. Veni Sponsa de Libano, si canta a Beatrice che figura la Nuova Gerusalemme. Gloriam plebis tuæ Israel: così il vecchio Simeone parlando di G. C. Luca ii. 32. e -Apoc. xix. 7. Venerunt nuptiæ Agni, et uxor ejus præparavit se.- a Però ch'egli è venuto il tempo e l'ora Ch'ogni suo cittadino sempre onora. D'alcuni ingrati il mio parlar non stima Sarà creato, e questo degnamente Lauderà Dio in basso ed anche in cima". Il signor nostro ha riguardato in terra, Quelli ch'eran legati, infermi e morti, Potessero lodare il nome santo, Nel regno degli eletti e suoi consorti. E lì gli serviran con dolce canto d.—Sal. v. Per li nemici miei acerbi e duri, Che par che debban viver non sicurie. Così nel Convito sostiene che Roma fu edificata per ispecial disposizione di Dio. “David nacque e nacque Roma-Però più chiedere non si dee a vedere che special nascimento e special processo da Dio pensato e ordinato fosse quello della santa città.”—Tratt. iv. 'La bassa e l'alta classe, la plebea e la patrizia. d Al verme reo che'l mondo fora. Et ambulabunt gentes in lumine ejus, et reges terræ afferent gloriam suam.-Laudem dicite Deo nostro, omnes servi ejus."-Apoc. • Nota il gergo: Que'morti che pare che non debban viver sicuri. K Ond'i miei spirti son rimasti smorti, La faccia tua, acciò che io non sia Di Quei che al lago discendendo muore '.—Sal. vii. Degli occhi miei ancor ti farò degno.-Sal. ii. Chiara allusione al poema ed alla manifestazione allegorica degli occhi di Beatrice nel Paradiso terrestre, fra'l canto degli angeli : Volgi, Beatrice, volgi gli occhi santi, Era la lor canzone, al tuo fedele, Che per vederti ha mossi passi tanti... Mille desiri più che fiamma caldi Strinsermi gli occhi agli occhi rilucenti.-Purg. xxxi. Quasi tutte le opere di Dante, se non pur tutte, nacquero da un solo seme. L'idea d'una monarchia universale, di cui dovesse esser capo supremo l' Imperador di Roma, fu lo spirito motore della sua penna. La sua Commedia non ha altro scopo, com'ei confessò morendo. La Vita Nuova è la chiave geroglifica della Commedia, come a miglior luogo vedremo. Il Convito è la chiave filosofica della Vita Nuova, com'egli stesso ci fa sapere. Il libro della Monarchia mette quasi in vista esterna la parte interna del poema, come potemmo in parte scorgere, e come di qua a poco assai meglio ravviseremo. Arrestiamoci a considerare le due ultime rammentate opere, il Convito e la Monarchia, ma in relazione col poema. Pria però di entrare in tal considerazione, uopo è conoscere uno de' più fini ripieghi del parlar doppio, che troveremo espresso in precetto ne' trattati, e messo in pratica ne' poemi della scuola arcana; e il ripiego è questo. Chi, dopo avere scritto un'opera enigmatica, voleva indicarne a' consettajuoli Pur troppo ei dovè viver con que'morti. b Cum his qui descenderunt ad fundamenta laci, insieme col re di Babilo nia, Lucifero. Nota che Quei è qui sing. onde si accorda con muore. Vedi Chi è in Isaia, cap. xiv. "E se nella presente opera, la quale è Convito nominata, e vo'che sia, più virilmente si trattasse che nella Vita Nuova, non intendo però a quella in parte alcuna derogare, ma maggiormente giovare per questa quella.”Convito, al principio. |