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Lucifer, est nunc noctis amans, gaudetque vagari
Per noctem, lemures secum et phantasmata ducens *.
Ergo his militibus sese ac sua regna tuetur
Ipse malus Dæmon, tali se robore fulsit,

Tali præsidio terram sibi subjicit omnem

L'autore segue a dirne, ma per noi basti. Il Papa a questo ritratto credè di riconoscersi, e perseguitò il Palingenio vivo e morto; ma vivo sel vide fuggir di mano, e morto lo bruciò, e ne sparse le ceneri al vento.

Or udiamo quest' altro, che scrisse un poema nello stesso secolo di Dante, e lo imitò, anzi lo copiò sovente, nella condotta, nelle immagini, ne' versi, nelle frasi, ecc., e quel ch' è più, nello spirito interno. Ei ci parrà forse più tremendo flagellatore; e quando al termine de' suoi versi sveleremo chi è, inarcheremo sicuramente le ciglia per lo stupore.

Lib. II. Cap. 1. titolo: "Come la dea Pallade appare all' autore, e gli descrive la sedia e la signoria di Satanasso." All' autore che (come Dante e Palingenio) ha chiesto qual è l'origine de' tanti mali che affliggono l'umanità, Pallade, Il primo e principal di tutti i mostri,

Rispose, è Satanasso, ed ha il governo
Del mortal mondo e delli regni vostri®.
Già più temp' è ch' egli uscì fuor d' Inferno,
E prese questo mondo a gran furore,
E ciò che muta tempo, o state o verno.
Nel primo clima sta come Signore

Colli giganti, ed un delle sue braccia
Più che nullo di loro è assai maggiore.
Tu vedrai il suo busto e la sua faccia,
E gloriarsi e dir che 'l mondo vince,
E già la sua superbia al ciel minaccia.

a Hæc vero jam non civitas sed larvarum ac lemorum domus est, et, ut breviter dicam-viventium Infernus.-Petr.

Moltissime edizioni ebbe quest' opera, ch' era in quel primo apparire assai celebrata. I critici più dotti ne fanno alto elogio. L'acuto filologo e sommo latinista, Gianvincenzo Gravina, vi trova " rarissime virtù d'arte e d'ingegno,—maravigliosa facilità, la quale non si cangia mai col cangiamento del suo stile, ma secondo la varietà delle materie industriosamente s'innalza e s'inchina."-Vedi la sua Ragion Poetica.

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Princeps mundi hujus, eundem

Laurigeri appellant Ditem ac Plutona poetæ.-Paling.

Poeta agit de Inferno isto, ubi viatores mereri et demereri possumus.

Dante.

e

I soliti giganti, introdotti anche dal Palingenio, che scrisse di loro:

Quin etiam insani struxere ad sidera turrim,
Majorem, Nemrothe, tua.

Idea di Dante, nel dipinger Lucifero.

E con lo scettro in mano il mondan princea
In mezzo al mondo siede trionfante,
Come signore e re delle province.
E sua cittade ha fatta somigliante
Al vero Inferno, e li vizj egli tiene,
La morte e le miserie tutte quante.
E perchè questo tu lo sappi bene
Convien che tu discenda in quel profondo
Onde ciò che si parte all'insù viene.
Visto lo primo cerchio e po' il secondo,
L'anime afflitte, e gli altri cerchi ancora,
Ritornerem tu ed io in questo mondo.
Il regno di Satan cercherai allora ;

E la sua gran cittade e l'alto seggio
Anche vedrai, e chi con lui dimora.
Or perchè il mondo va di male in peggio,
Se pensi ben CHI 'l guida, da te stesso
Chiaro il vedrai, siccom' io chiaro il veggio.
Tu ragionavi, a me venendo appresso:

Ond' è che 'l mondo è sì di vizj pieno ?....

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Sol perchè al vizio è prona gente molta

Satanno vince, e questa è la sementa
Della zizzania, sua mala raccolta.

L' allegorico pellegrino segue a chiedere alla sua guida così:
Quando fu che Satanno e sua famiglia
Lasciò di sè e de' suoi l' Inferno voto,
E venne su, dove si muove e figlia ?

E Minerva risponde che l' Invidia scese nell' Abisso, e ne trasse fuori l' Avarizia, la quale menò seco Satanno. E ciò vuol dire, che l'invidia eccitò il poter ecclesiastico contro il politico, e, nel menarlo all' usurpazione e all'acquisto, lo pervertì e corruppe: idea di Dante sull' invidia (Inf. i. 112.)

E l' Avarizia, d' ogni mal radice,

Seco ne trasse, e la menò su in terra.-
Così usciti dell' infernal chiostro,

Satanno e i suoi questo mondo pigliaro,
Allor d'Inferno uscì il primo mostro.
E sua superba sede collocaro

In mezzo il mondo.-Roma caput mundi.

Dopo ciò scendono ambi (come la guida propose al seguace) sino al centro della terra, per visitare l' Abisso; e lo trovano quasi del tutto vacuo, poichè Satanno con la sua corte n'era

a

princeps mundi hujus.-Palingenio.

b Roma, caput mundi.

Gia Roma, or Babilonia-di vivi Inferno.-Petr.

da molto tempo uscito, a fondare sulla faccia della terra il suo visibil regno, come udimmo dal Palingenio ed altri, consoni colla dottrina degli Albigesi. Ognun vede che quest' autore altro non ha fatto che invertire l'ordine del viaggio e del disegno di Dante, per farne meglio capir l'essenza. Accompagniamo in qualche passo il suo retrogrado pellegrinaggio, sinchè rieda sulla superficie del nostro globo a contemplare il regno del gran nemico.

Dal loco che Satanno lasciò voto

cominciano dunque a risalire a poco a poco in su: e giunti al sito, corrispondente al dantesco, dove i giganti sul poggio d' Abisso han per centro Satanno, l'autore scrive:

Satanno trasse fuor d'esto paese,

Sì come Palla disse, i gran giganti,

Quando co' vizj suoi il mondo prese.

Procedono più su, e incontrano le case de' sette vizj capitali :

Ed eran grandi e vacue rimase,

Sì come a Roma sono le ruine

Delle anticaglie:

vacue, perchè tutti e sette que' vizj eran passati a stabilirsi quassù, ed ognun può sentire ch' erano presso a quelle anticaglie. L'autore segue:

Là domandai, e dissi: Dimmi, quando
Noi perverremo ove Satan dimora,

Che dica: quest' Inferno è al suo comando ?
Ed ella a me: In su andando ancora.

Montano perciò sempre più, sino al Cap. VI, che ha per titolo: "Come l'autore, uscito dall' Inferno, venne nel mondo nell' emisfero di Satan." Trasandando varie pitture allegoriche che ci si offrono, ci dirigeremo al fiume infernale che succede, e il quale divide l' Inferno esterno dall' interno. I due viatori lo attraversano sulla barca di Caronte, la quale visibilmente figura il corso della vita di chiunque, entrando in questo mondo, diviene suddito di Satanno. In questo tragitto perciò le anime, che passano co' due reduci, compajono prima infanti, e poi fanciulli, e poi adolescenti, e poi adulti, e poi vecchi, e poi decrepiti. Sbarcati, incontrano la porta dell' Înferno sempre aperta, e la varcano.

Ma pria che consideriamo qual sia questo impero di Satanno sulla terra, è da avvertire che 'l luogo ove l'autore viene a fare il suo figurato pellegrinaggio è nell' Italia; come dalle scene consecutive che presenta chiaramente si ritrae. Così nel vedere combattere fra loro Guelfi e Ghibellini, e lacerarsi

e sbranarsi a vicenda, nel vedere le Furie guidare quella orrenda danza, esclama:

Pensando ancor m' impallido e discarno,
Vedendo che del sangue de' tapini

Si facea 'l fiume vie maggior che l' Arno.
Megera poi de' Guelfi e Ghibellini
Trasse l'insegne poi, tutte cosperse
Di sangue vivo e peli serpentini.
E l'una contro l'altra andaro avverse,
E tanto sangue su pel pian si sparse
Che tutta quella terra si coperse;
Di questo il fiume vidi maggior farse;
Allor le Furie corsen come l'oca
Dentro quel fiume nel sangue a bagnarse.

Ahi cieca Italia! qual furor t' infoca,

Tanto che in te medesma ti dividi?

Onde convien che manchi e che sia poca.-Lib. iii. cap. 11.

Se ben la cetra, Italia, non s' accorda

Della tua gente, or pensa la cagione

La qual fa in te discorde ogni tua corda.—ivi, cap. 3.

E grida, come fa Dante, che cotanta discordia non nasceva da altro che dalla mancanza d'un capo che tutta la reggesse, sospiro degl' imperiali, sempre dai papi frustrato.

L'altre provincie sotto un capo stanno,

Ma per le parti tue, e per le sette,

Più che nell' Idra in te capi si stanno.-ivi.

Nell' Italia adunque viene questo nuovo pellegrino a contemplare il regno di Satanno. Varcato il vestibolo infernale, trova una donna alata che si trasmuta in varie figure, e in cui nulla sembra essere di reale e di vero. Interrogata chi è, ella risponde:

La falsa opinion son del pensiero—
E qui dimostro il bianco per lo nero.
Quella è la grave peste e 'l gravo male,
Disse Minerva allor, quella è cagione

Del molto duol che l'uom nel mondo assale.

Uno de' maggiori tormenti da cui sono afflitti i sudditi di Satanno, nel suo terrestre impero, è il timore.

Se suso inverso il Cielo ancor tu miri,
Minaccia a te il giudice di sopra ;

E qui l' Inferno ancor ti fa paura,
Siccome punitor di tua mal' opra.

Passiamo la comparsa della Fortuna e della Morte, e di altre figure simboliche, e dirigiamoci al Cap. XV, che ha per titolo: "Come l'autore riconosce la città di Dite in questo mondo."

Vidi di Dite la città vermiglia...

E a Dite dell' Inferno s'assimiglia.

Attraversano per un ponte, tutto misterioso, il fiume Flege

tonte b

Quando giunse Minerva all' altra sponda
Ella chiamò, come chi chiama forte
Un che sia lunge, e vuol che gli risponda;
E disse: Aprite a noi queste gran porte,
Che siam discesi nel maligno piano

Per veder Pluto, il tempio e la sua corte.
Risposto fu Il vostro passo è vano :
Nullo entrar puote, s' ei non porta seco
O presente o denar nella sua mano.
La dea soggiunse: Me' che denar reco....
Mammon che tra coloro era il primajo

La gran porta di Dite in fretta aperse,
Ratto che udì nominare il denajo.

Nell' interno di quelle porte, trovano Circe, la maladetta maga, "Che fa che l'uomo in bestia si converta; " la quale con le sue malie cangia gli uomini qual in Lupo, qual in Corvo, qual in Drago, qual in Demonio.

Ahi gente, fatta alla divina imago,

Disse Minerva, perchè in te trasmuti

La bella effigie in Lupo, ovvero in Drago?

Come i vizj cangino gli uomini in bestie e in demonj, è narrato da molti, e l'udremo più in là da Petrarca: Dante lo insegna pur egli nel suo Convito. Perchè poi Circe li muti in tal forma cel farà capire il Boccaccio. "Refert de Cyrce Homerus, quod amaverit Glaucum, marinum Deum c." "Pro Glauco ego intelligo Petrum Apostolum; fuit enim Glaucus piscator qui...inter deos marinos unus factus est: sic et Petrus piscator fuit," ecc. Così il Boccaccio spiegò quel Glauco della nona sua egloga furbesca, che pare sì devota e cattolica d. E ciò può farci capire perchè questo contemporaneo del Boccaccio pose Circe nel vestibolo interno dell' Inferno terrestre, ove Satanno è principe. L'autore, vista la mal' opra di quella maladetta maga, segue a narrare.

Io era ancor nel loco che detto aggio,

Ove sta Circe nella valle trista,

Che in bestia sa mutar l'uman visaggio;

a Il vermiglio era il color distintivo del partito guelfo, o papale.-Vedi gli storici, e fra gli altri Gio. Villani,

b Pontifex a pontibus faciundis.

C

Geneal. Deor. lib. iv. cap. 14.

d Vedi Manni 1st. del Decam. pag. 59.

F

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