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gevano le speranze di gran parte d'Italia, con quanta legittimità non è questo il luogo di ricercare e stabilire. Ci limiteremo a scegliere, come saggio, qualcuno soltanto dei principali epigrammi di argomento politico: e cominciamo dal seguente in morte di Prospero Colonna :

Dum stabas, tua Roma simul stetit, alta Columna.

Prisca stetit patriae gloria, priscus honos.
Heu ruis, ecce iterum ruit alto a culmine Roma:
Prisca ruit patriae gloria, priscus honos.

Jure sed excidium hoc aliis praeferre ruinis

Roma potest, penitus nunc iacet: ante ruit. (f. 26).

Ecco qui esposto, senza alcuna esagerazione, il concetto che a quei tempi si aveva del Principe, per convincersi una volta di più che, con quel modo d' intendere, i Principi non erano degli uomini, ma delle vere e proprie istituzioni: a parte l'analogia tra Colonna e colonna (ciò era nella moda dei tempi e ne avevano dato esempi Dante e Petrarca), il concetto che il Principe è il sostegno naturale dello Stato era vero e costituiva la base del diritto pubblico Europeo sino alla Rivoluzione Francese.

Carlo V lo riempie di ammirazione per le sue gesta guerresche:

Dum celer exuperat praeruptas Carolus Alpes,
Dumque fera innumero milite bella movet,
Contremuere alto longum saxa invia motu,

Mirata Augusti vimque, animosque Ducis.
Quin Dryades perculsae armis latuere sub imo

Cortice, et haec tremulo verba dedere sono.
Gallia flere potes: remeat iam Caesar, es olim

Victa: sed in cineres nunc prope versa rues. (f. 28 v.)

Però nè in questo, nè in altri epigrammi allo stesso, fuori della elegante latinità, c'è nulla di veramente notevole, e non sembra che quelle Driadi atterrite e parlanti con flebile voce valgano gran fatto a colpire gli

animi, come dovevano sorprendere e sorprendono tutt'ora le meravigliose strofe in cui Orazio condensava, come in una lanterna magica, le gesta del suo Cesare: il Cesare Oraziano è un capitano che noi vediamo all'azione, c'è nella sua rapida lirica un contenuto vera→ mente epico, mentre il Cesare del Rota vien presentato come un individuo che noi dobbiamo ammirare nella fede del Poeta.

Ben altrimenti, con più vero affetto e con ben diverso effetto, parla il Rota della nobile morte del diletto suo fratello Francesco in alcuni epigrammi che vanno classificati tra le poesie patriottiche: il primo è il seguente:

Quis te tam subitus florentem perdidit imber?
Imber, qui fratri tot peperit lacrymas.
Vix ingressus eras placidi bona tempora veris,
Vix Phoebi ad radios flos novus exieras,

Cum te tristis hyems rapuit, cum dextera pressit,
Dextera visceribus facta cruenta meis.

Pro patriis cecidisse focis pulchrumque, decensque

Duxisti haud moritur, si quis ita emoritur. (f. 29)

Io non esito a chiamar perfetto questo epigramma, in cui nè il tenero amor fraterno menoma la rassegnazione che deve ispirar la carità di Patria, nè, viceversa, l'amor patrio induce a qualcuna di quelle conclusioni che nei tempi antichi si chiamavano Spartane e nei moderni si chiamerebbero meglio innaturali o retoriche. Non è il Poeta che declama innanzi a una tomba carissima il solito Dulce pro patria mori; anzi, la nota principale, dominante di tutto l'epigramma è il dolore più sincero e profondo: un triste inverno t'immolò al fratello, o fratello, ti oppresse una mano

visceribus facta cruenta meis.:

ma è il fratello stesso che pensò esser bello morir per . la patria:

Pro patriis cecidisse focis pulchrumque, decensque
Duxisti haud moritur, si quis ita emoritur.

Ecco una morale patriottica che non entra affatto in conflitto (rarissimo esempio !) coi sentimenti domestici, e quella conclusione sta li più come omaggio all' opinione dell'adorato estinto cui non si vuol contraddire e come un conforto a se stesso nella grave sventura, anzichè come il frutto genuino della propria intima convinzione.

In quest'altro epigramma, invece, allo stesso fratello non vibra affatto il sentimento patriottico:

Hocne tibi fatale solum, fatale sepulcrum?

Hicne tibi inferias, hic tibi iusta parem?
Ilicue fuit frater clades deflenda Ravennae ?
Eripuit cum te Martis iniqua manus.
Nec voluit reducem miserae te reddere matri,

Nec quaesita diu membra domum revehi.

Ah quando est vetitum funestam ducere pompam,

Pompa tibi hoc carmen, pompa tibi hae lacrymae. (f. 32 v.)

Quasi lo stesso concetto finale del primo epigramma già riferito, ma senza l'espressione del dolore fraterno, è quest' altro:

Legerat aeterno donari mortis honore,

Si quis pro patria vellet obire sua.

Sic moriamur, ait pugnans Franciscus: et ò nunc

Me quoque me Decium, patria, dixit, habe. (f. 27 v.)

Altamente patriottica e bella di guerresco ardore è l'elegia II del libro primo, la cui introduzione marziale é davvero degna di stare tra le più celebrate che in tal genere produsse la stessa classica latinità:

Bella sequar, galeaque tegar, gladioque minaci
Cingar, io manibus Martia tela date.
Hoc iuvat, hostili non sum qui terrear ense:
Mollis amans didici, vulnera dura pati.
Frigora iam didici, didici iam ferre calores.

Ducere nunc noctes, nunc sine pace dies.

Nel primo distico non si sente davvero il fragor delle armi? L'elegia termina nobilmente, dopo avere evocato l'esempio del fratelli morti in battaglia :

Admoneant fratres pulchra modo caede perempti,
Orbatae fratres lumina cara domus.

Felices nimium fratres, quibus atra refulsit

Summa dies, lucro mors quibus ipsa fuit.
Pro patriis cecidisse focis quid dulcius? aut quid
Pulchrius haec magnis gloria digna viris.
Ibimus, o mecum doctae properate sorores,

Ibimus, haec chartas, haec ferat arma manus.

Questa bella elegia, modello di guerresca poesia, basta alla reputazione del Rota come poeta patriottico.

Comunque sia stata scarsa la produzione patriottica del Rota, essa è pure più abbondante che quella del Pontano e quanto alla veracità e intensità del sentimento, il maestro fu questa volta sopraffatto dal discepolo.

Non si può dire, in fatto di sentimento patriottico, che il Rota abbia preso alcuna cosa o anche alcuna qualità dal Pontano, perocchè il grande e fecondo umanista Umbro non offre, nella sua immensa produzione, qualche cosa che possa con verità considerarsi come esplicazione, sia pure indiretta, di un sentimento patriottico: assenza tanto più notevole, e, direi quasi, scandalosa, in quanto che l'illustre uomo passò buona parte della sua vita tra le politiche faccende di cui fu alcun tempo gran parte e in cui lasciò di se, come è noto, fama non bella: mai s'incontra nelle sue poesie un accenno all'amor di patria, anche quando l'argomento stesso sembrerebbe dargliene pretesto: cosi, per esempio, la bella ed elegante invocazione alla Ninfa Antiniana perchè questa canti le lodi della città di Napoli, è piuttosto uno splendido quadro pittorico anzichè una vera e propria poesia patriottica.

V.

SENTIMENTI AMOROSI

Il sentimento amoroso è, nelle poesie latine del Rota, più largamente sviluppato che non il sentimento patriottico, sebbene non sembri, come avremo occasione di vedere, che l'elegante latinista napoletano possa annoverarsi tra i poeti erotici nel senso più ampio della parola.

Di poesia erotica non mancarono al Rota eccellenti modelli, comunque tra sè opposti: da un canto, l'antichità classica con le sue schiette e non sempre invereconde nudità, con la sua amabile leggerezza non sempre senza una tinta di leggiadra malinconia e baleni di vera e veemente passione: dall' altro, il Petrarca, vero grande creatore della nova poesia erótica, con la sua castità e sentimentalità cristiana soavemente adombranti la sensualità classica; questi erano, per non parlar dei minori, i più insigni modelli a cui evidentemente s' ispirò il Rota. E già stato ripetuto, dai suoi contemporanei come dai critici posteriori sino ai nostri tempi, che il Rota imitò essenzialmente il Petrarca nelle sue rime volgari in vita e in morte della moglie Porzia Capece: non pare pertanto che questa imitazione abbia veramente preoccupata la mente del Rota al di là del meccanismo esteriore, poichè la lettura delle sue rime basta a persuaderci che nè per il contenuto, nè per il sentimento fondamentale erotico ci sia molto di comune tra il Rota e il Petrarca : ma, comunque siasi, non è questo il luogo di occuparci delle rime volgari. Certo è che l'imitazione petrarchesca è pressocchè nulla nelle poesie latine le quali, quando non hanno, diciamo così, un motivo originale, sono una imitazione della poesia classica o direttamente o per il riflesso dell'imitazione umanistica e sopratutto Pon

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