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taniana. Per comprender meglio questa mia asserzione che, di fronte al quasi universale consentimento contrario, potrebbe sembrare una temerità, bisogna stabilir bene il significato, e il valore della parola imitazione. L'imitazione è, anzitutto, un fatto ora volontario ora assolutamente involontario, sicchè non basta, per annoverare alcuno tra gli imitatori di un dato caposcuola, la stessa confessione dell'autore: molti riescono imitatori quando no sospettano neppure, e ciò può accadere per l'avvenuta assimilazione di letture più o meno remote e talora non accusate più dalla conscienza come qualche cosa di estraneo a noi stessi: e, viceversa, molti, che volevano, non possono giustamente esser classificati tra gli imitatori di un certo modello, e sarebbe solenne ingiustizia il farlo, quando specialmente essi travisano il modello mostrando di non averlo compreso nelle sue parti essenziali e nel suo spirito fondamentale.

Quando di un modello si scimmiotta la parvenza accidentale, la meccanicità, si ha tutt' al più una mimesi, non una imitazione, e, peggio ancora, quando se ne travisa lo spirito e l'essenza, non si ha neppur la mimesi, ma semplicemente un tradimento.

Ciò premesso, io non vedo con quanta ragione sia stato detto petrarchista il Rota e, che è molto peggio, il numeroso gregge erotico che contristò lungamente il Parnaso italiano: ma lasciamo stare il gregge e non occupiamoci che del Rota. Non è possibile rintracciare in questo poeta alcuna delle qualità essenziali della poesia petrarchesca: nelle sue rime volgari c'è del Petrarca il meccanismo esteriore, assolutamente accidentale e superficiale, come si potrebbe, per esempio, disporre boccaccescamente in giornate qualunque serie di novelle, siano di Zola o di Daudet o di Bourget, senza che perciò alcuno possa osare di annoverar tra i boccacceschi questi moderni novellatori,

C'è del Petrarca frequentemente il fraseggio, le immagini, persino le idee, ma ciò dimostra soltanto la piena conoscenza che il Rota aveva dell'immortale cantore di Laura: sono reminiscenze, sia pur casuali o volute, ma ciò non costituisce ancora l'imitazione: la vera fisonomia, il vero carattere del grande Maestro sfuggi al Rota come a tutti i sedicenti petrarchisti che non he lessero bene la vera faccia, e attribuirono alla forma esteriore quella magica potenza che ci costringe a sospirare e a lacrimare, quelia indicibile malinconia che pure è più dolce del sorriso più dolce, quell' onda di tenerezza che suscita in noi, quel vibrar di tutto quanto c'è in noi di più gentile e di più umano come per l'audizione di una musica lene e soave che dolcemente ci accarezza l'orecchio. Non compresero che il segreto di quell'onnipotente magia stava nel fatto che in Petrarca la forma è viva, ha un' anima intima e propria, la quale, pur non potendo, come nel mondo fisiologico, esplicarsi sensibilmente che per mezzo di una forma alla stessa guisa che la vita organica non si può manifestare che mediante certi organi esteriori, pure non deve alla forma, alla struttura meccanica la sua sostanza: la vita è imperscrutabile arcano, così nell'arte come nella fisiologia: Prometeo animò l'uomo rubando il fuoco sacro ai Celesti, l'artista non può animar la sua forma che mediante un processo di cui egli stesso ignora l'essenza. La riproduzione, comunque precisa, della struttura anatomica vi darà un pezzo di Museo anatomico, non del Mosè di Michelangelo, nè un fabbricatore di pezzi in cera ha mai preteso di imitar alcun artista, e se lo pretendesse, susciterebbe la compassione dei critici: perchè dunque i critici letterarii non hanno lo stesso buon senso che i critici d'arte ?

E che il Rota non seppe, comunque l'abbia voluto,

imitare il Petrarca, che egli rimase sempre infinitamente lontano dal vero spirito del suo modello, che, anzi, lo negò e lo svisò, si scorge chiaramente nelle poesie latine dove non era possibile, per la differenza della lingua, quella sola cosa che poteva trar dal Petrarca, cioè la frase e la struttura meccanica: che se invece si fosse impossessato, avendolo compreso o intuito, dello spirito che animava la poesia del maestro, egli si sarebbe rivelato Petrarchista scrivendo in prosa ed in verso ed in qualsivoglia lingua: un vero petrarchista si rivelerebbe tale anche in un'arte che non fosse della parola, nella musica, nella pittura, nella scultura.

Evidentissima è invece l'imitazione o diretta o per riflesso umanistico, dei classici latini: il Rota si accosta per lo più ad Orazio e a Catullo, ed è singolare il fenomeno di un poeta che, posseduto innegabilmente da un amor puro e profondo e cristianamente elevato per la moglie, abbia poi con manifesta predilezione dato all'amore una esplicazione pagana, ritraendone cioè il lato meno spirituale, in cui l'acredine del desiderio tiene con vana pretesa il luogo del sentimento: basterà riportare, per dimostrar l'imitazione Catulliana, assai meglio riuscita che non la pretesa imitazione Petrarchesca, qualcuno tra i tanti epigrammi erotici:

Ad Nisam

Dum centum manuum osculationes
Adhaerens tibi mittit hic, et ille,
Ah quantum mea Nisa das timoris,
Ne, dum sic manuum osculationes
Ingerit tibi vita, basiando
Incautus comedat manus voretque:
Et sint non manuum osculationes,
Verum sint manuum vorationes.
Mellitae niveae manus tenellae
Sunt dignae nimia osculatione:
Quin dignae subita voratione.

Sed velim potius manus vorari,

Quam (sic aestuat ira) basiari:

Hae nostro madidae manus cruore,

Hae sunt, quae rapuere me mihimet.

Eccone un altro ad Luciam molto più paganamente ardito che non potrebbe aspettarsi da un poeta di cui la castità è più singolare che rara:

Da mihi te totam, mea Lucia; da, rogo, tot mi
Suavia, quot Charites, sunt Veneresve tibi.
Da mihi posse manu niveas tractare papillas,
Brachia et optato condere nostra sinu.

Sed quid ego? aufugit mi animus, tecumque moratur :
Ad nos nec curae est amplius ut redeat.

Quanto riguarda poi l'imitazione Oraziana, valga di prova la graziosa saffica

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Nil nocens caepa est: male nil olenti est

Allium fibra poterit puella

V. Crescimone - 3.

Altrove il Poeta dice all'Aurora che non c'è bisogno della sua luce, perch bastano a scacciar le tenebre gli occhi di Nisa: e a Nigella, che non tema che il fiore avvizzisca perchè il fiore deve la sua vita all'aura e all'acqua, ed egli fornirà la prima coi suoi sospiri, la seconda con le sue lacrime: spesso fonde i suoi concettini sul nome della donna amata, come nel seguente epigramma ad Luciam:

In tenebris mihi lumen ades, lacrymasque ministras
Lucia Phoebea lucida luce magis:

Tuque, eadem absenti tenebras, lacrymasque ministras
Lucia, sic semper noxque, diesque mihi es.

Comprendo che di simili concettini diede autorevole e lacrimevole esempio il Petrarca e che il cosidetto gregge petrarchista ne trasse da lui l'esempio: ma il Petrarca vero non sta nei concettini, nelle antitesi studiate e negli scherzi sui nomi, perchè di tutte queste cianfrusaglie egli non fu neppur l'inventore; il Petrarca, come qualunque altro scrittore piccolo o grande, fu necessariamente quel che avea appreso e immedesimato, più qualche cosa di suo: imitare quel che non era del Petrarca, comunque sia stato preso proprio da questo, non è imitare il Petrarca, come il prender tabacco non è imitare Napoleone: e i sedicenti Petrarchisti ebbero cura di trar dal Petrarca precisamente quel tanto che già era del dominio dell'Arte indipendentemente dall'opera del Petrarca e si guardarono bene di trarne quel che fu innovazione e qualità caratteristica del Petrarca!

Riassumendo adunque, se il Rota deve ad ogni costo essere annoverato tra i petrarchisti, egli non ereditò dall'immortale modello che amminnicoli e cianfrusaglie: degno di considerazione è invece nell'imitazione classica, dove pur senza toccar l'eccellenza, riunisce all'elegante

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