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1

Mentre io pensava 1 la mia frale vita,
E vedea 'l suo durar com'è leggiero,
Piansemi Amor nel core, ove dimora;
Per che l'anima mia fu si smarrita,
Che sospirando dicea nel pensiero:
Ben converrà che la mia donna mora.
Io presi tanto smarrimento aliora,
Ch'io chiusi gli occhi vilmente gravati;
Ed eran si smagati 2

Gli spirti miei, che ciascun giva errando.
E poscia immaginando, 3

Di conoscenza e di verità fuora,
Visi di donne m' apparver crucciati,
Che mi dicen: Morrati pur, morrati.*
Poi vidi cose dubitose 5 molte

Nel vano immaginare, ov' io entrai;
Ed esser mi parea non so in qual loco,
E veder donne andar per via disciolte,"
Qual lagrimando, e qual traendo guai,
Che di tristizia saettavan foco.

7

Poi mi parve vedere appoco appoco
Turbar lo Sole ed apparir la stella,"
E pianger egli ed ella;

Cader gli augelli volando per l'are,"
E la terra tremare;

Ed uom m'apparve scolorito e fioco,
Dicendomi: Che fai? non sai novella?
Morta è la donna tua, ch'era sì bella.
Levava gli occhi miei bagnati in pianti,
E vedea (che parean pioggia di manna),

pensare in significato attivo, come pure altrove.

2 Infievoliti, venuti meno.

8 Farneticando, vagellando. Morrali, contrazione di morraiti, ti morirai.

5 Paurose, piene di paura. Così fra lacopone: Il mondo è dubitoso.

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Gli angeli che tornavan suso in cielo,
Ed una nuvoletta avean davanti,

2

1

Dopo la qual gridavan tutti: Osanna;
E s'altro avesser detto, a voi dire'lo.
Allor diceva Amor: Più non ti celo;
Vieni a veder nostra donna che giace.
L'immaginar fallace

Mi condusse a veder mia donna morta;
E quando l'ebbi scorta,

Vedea che donne la covrian d'un velo;
Ed avea seco umiltà sì verace,

Che parea che dicesse: Io sono in pace.
Io diveniva nel dolor sì umile,

Veggendo in lei tanta umiltà formata,
Ch'io dicea Morte, assai dolce ti tegno;
Tu dêi omai esser cosa gentile,
Poichè tu se' nella mia donna stata,

E déi aver pietate, e non disdegno."

Vedi che si desideroso vegno

D'esser de' tuoi, ch' io ti somiglio in fede.5

Vieni, chè 'l cor ti chiede.

Poi mi partia, consumato ogni duolo;

E qualo io era solo,

Dicea, guardando verso l'alto regno:
Beato, anima bella, chi ti vede!

Voi mi chiamaste allor, vostra mercede."

Questa canzone ha due parti: nella prima dico, parlando a indiffinila persona, com' io fui levato d'una vana fantasia da certe donne, e come promisi loro di dirla: nella seconda dico, com' io dissi a loro. La seconda comincia quivi: Mentr' io pensava. La prima parte si divide in due: nella prima dico quello che cerle donne, e che una sola, dissero e fecero per la 1 Questa nuvoletta, immaginava Dante, farneticando, che fosse l'anima di Beatrice.

Dopo, cioè, dietro, appresso.

3 Contrazione di direilo.

E de aver ec. Cioè: e devi esser

compassionevole e non disdegnosa. 5 Fedelmente, veramente.

6 Intendi: Voi allora, o donne, per la compassione che avevate di me, mi risvegliaste dal mio farneticare: e cosi terminò la visione.

1

mia fantasia, quanto è dinanzi 1 ch'io fossi tornato in verace cognizione nella seconda dico quello che queste donne mi dissero, poich' io lasciai questo farneticare; e comincia quivi: Era la voce mia. Poscia quando dico: Mentr' io pensava, dico com' io dissi loro questa mia imaginazione; e intorno a ciò fo due parli. Nella prima dico per ordine questa imaginazione; nella seconda, dicendo a che ora mi chiamaro, le ringrazio chiusamente; e questa parte comincia quivi: Voi mi chia

maste.

2

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§ XXIV. Appresso questa vana imaginazione, avvenne un dì, che sedendo io pensoso in alcuna parte, ed io mi sentii cominciare un tremito nel core, così come s' io fossi stato presente a questa donna. Allora dico che mi giunse una imaginazione d'Amore: chè mi parve vederlo venire da quella parte ove la mia donna stava; pareami che lietamente mi dicesse nel cor mio: Pensa di benedire lo dì ch' io ti presi,3 perocchè tu lo dêi fare. E certo mi parea avere lo core così lieto, che mi parea che non fosse lo core mio, per la sua nova condizione. E poco dopo queste parole, che 'l core mi disse con la lingua d' Amore, io vidi venire verso me una gentil donna, la quale era di famosa beltade, e fu già molto donna di questo mio primo amico. E lo nome di questa donna era Giovanna, salvo che per la sua beltade, secondo ch'altri crede, imposto l'era nome Primavera: e così era chiamata. E appresso lei guardando, vidi venire la mirabile Beatrice. Queste donne andaro presso di me così l'una appresso l'altra, e parvemi che Amore mi parlasse nel core, e dicesse: Quella prima è nominata Primavera solo per questa venuta d'oggi; chè io mossi lo impositore del nome a chiamarla Primavera, cioè prima verrà, lo di che Beatrice si mostrerà dopo l'imaginazione del suo fedele. E se anco vuoli considerare lo primo nome suo, tanto è quanto dire Primavera, perchè lo suo nome Giovanna

1 quanto è dinanzi, cioè, pel tratto di tempo innanzi.

2 chiusamente, vale a dire, senza significarlo apertamente.

3 Ch'io t'innamorai. Prendere per innamorare l'abbiamo notato altrove.

4 fa già molto donna, vale a dire, cbbe molto potere sull'animo di Guido, poichè egli ne era molto invaghito. 5 Di Guido Cavalcanti, com' ho av vertito di sopra. 6 vuoli, al. voglio.

1

è da quel Giovanni, lo quale precedette la verace luce, dicendo: Ego vox clamantis in deserto: parate viam Domini. Ed anche mi parve che mi dicesse, dopo queste, altre parole, cioè: Chi volesse sottilmente considerare, quella Beatrice chiamerebbe Amore, per molta simiglianza che ha meco. Ond' io poi ripensando, proposi di scriverne per rima al primo mic amico (tacendo certe parole le quali pareano da tacere), credendo io che ancora il suo cuore mirasse la beltà di questa Primavera gentile. E dissi questo sonetto:

3

2

Io mi sentii svegliar dentro allo core
Uno spirto amoroso che dormia :
E poi vidi venir da lungi Amore
Allegro sì, che appena il conoscia;
Dicendo: Or pensa pur di farmi onore;
E 'n ciascuna parola sua ridía. 3
E, poco stando meco il mio signore,
Guardando in quella parte, onde venía,
I vidi monna Vanna e monna Bice
Venire invêr lo loco là ov' i̇' era,
L'una appresso dell' altra meraviglia:
E sì come la mente mi ridice,

Amor mi disse: Questa è Primavera,

E quella ha nome Amor, sì mi somiglia.

5

Questo sonetto ha molte parti: la prima delle quali dice, come io mi sentii svegliare lo tremore usato nel core, e come parve che Amore m'apparisse allegro da lunga parte; la seconda dice, come mi parve che Amore mi dicesse nel core, e quale mi parea; la terza dice come, poi che questo fu alquanto stato meco cotale, io vidi ed udii certe cose. La seconda parte comincia quivi: Dicendo: Or pensa pur; ta terza quivi : E poco stando. La terza parte si divide in due : nella prima

1 che, sottintendi Amore.

2 Conoscia per conoscea, come più sotto ridía per ridea; desinenza che s'incontra in altri antichi poeti. Jacopo da Lentino: Quando vi vedia,

Fra Guittone: Che'l Deo d' amor facía.

3 Ridía, cioè, mostravasi sorridente.

4

monna, accorciamento frequen⚫ tissimo di madonna.

5 Da lontana.

dico quello ch' io vidi; nella seconda dico quello ch'io udii; e comincia quivi: Amor mi disse.

§ XXV. Potrebbe qui dubitar persona degna di dichiararle ogni dubitazione, e dubitar potrebbe di ciò ch' io dico d'Amore, come se fosse una cosa per sè, e non solamente sostanza intelligente, ma come se fosse sostanza corporale. La qual cosa, secondo verità, è falsa; chè Amore non è per sè siccome sostanza, ma è un accidente in sostanza. E che io dica di lui come se fosse corpo, ed ancora come se fosse uomo, appare per tre cose che io dico di lui. Dico che 'l vidi di lungi venire; onde, conciossiacosachè venire dica moto locale (e localmente mobile per sè, secondo il filosofo, sia solamente corpo), appare che io pongal Amore essere corpo. Dico anche di lui che rideva, ed anche che parlava; le quali cose paiono esser proprie dell' uomo, e specialmente esser risibile; e però appare ch'io pongo lui esser uomo. A cotal cosa dichiarare, secondo ch'è buono al presente, prima è da intendere, che anticamente non erano dicitori d'Amore in lingua volgare, anzi erano dicitori d'Amore certi poeti in lingua latina: tra noi, dico, avvegna forse che tra altra gente addivenisse, e avvegna ancora che, siccome in Grecia, non volgari ma litterati poeti queste cose trattavano. E non è molto numero d'anni passato, che apparirono prima1 questi poeti volgari; chè dire per rima in volgare tanto è quanto dire per versi in latino, secondo alcuna proporzione. E segno che sia picciol tempo è, che, se volemo cercare 2 in lingua d' oco e in lingua di sì,3 noi non troveremo cose dette anzi lo presente tempo per CL anni. E la cagione, per che alquanti gros

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gua dell'ol. L'espressione adunque in lingua d' oco accenna la lingua della Provenza, provincia detta ancora Linguadoca, e che ne' più bassi tempi della Latinità fu detta Occitania, ed era l'antica Gallia narbonensis. Tutte quelle particelle affermative derivano dal latino; la nostra dal sic o sic est; la provenzale dall' hoc est; la francese dall' hoc illud est, che ben si ritrova nell'antico ouill, oggi dive. nuto oui.

Vale a dire, innanzi il 1150, como in fatti si ha dalle storie letterarie.

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