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la quale peravventura è sola cagione che io sia gastigato, non dee essere per avventura punita come assolutamente rea, ma come mista; perchè non per elezione la feci, ma per necessità: necessità non assoluta, ma condizionata, e per timore ora di morte, ora di vergogna grandissima, ora d'infelice e perpetua inquietudine. E perciocchè Aristotile pone due maniere d'azioni miste, una degna di laude e l' altra di perdono, sebbene io non ardisco di collocar la mia nella prima specie, di riporla nella seconda non temerò. Nè giudico men degne di perdono le parole ch' io dissi, perchè fur dette da uomo non solo iracondo, ma in quella occasione adiratissimo: e vuole Aristotile che chi offende altrui per ira, o per altro umano affetto, faccia cosa ingiusta sì, ma non perciò si possa dire uomo reo e ingiusto; perciocchè l'ira è senza maturo consiglio, e non ha nulla in sè nè d'insidioso nè di maligno; e molte fiate ove l'ira più abbonda, ivi è maggior abbondanza d'amore. Ed io, consapevole a me stesso, ne potrei addurre molti testimonii, che in amare il mio signore e in desiderar la grandezza e la felicità sua ho ceduto a pochi de' suoi più cari ; e nel portar affezione agli amici, e nel desiderar e procurar lor bene, quanto per me s'è potuto, ho avuto così pochi paragoni, come niuna corrispondenza. E se Dio perdona mille bestemmie colle quali tutto il dì è offeso da' peccatori, possono bene anche i principi alcuna parola contra lor detta perdonare. Nè solo le parole ingiuriose perdonò Cesare, ma anche si dimenticò delle note di perpetua infamia colle quali Catullo l'aveva segnato; e, se ben

mi rammento, Svetonio afferma che quella sera o la seguente a cena l'invitò. Nè tacerò che, tuttochè Aristotile voglia che ciò che si fa per ira sia spontaneo, Platone nondimeno pare che ne dubiti, e che tenga che molto s'avvicini alla natura dell' involontario: e nel libro delle Leggi, ove più della sua opinione manifesò, chiama le cose fatte per ira immagini dell'involontarie. Tanto sia detto dell'ira: e s'ella è cagione che o molto ami e affettuosamente, e che le temerarie parole coll' accurate lodi ricompensi, non molto m'incresce d'esserne così pienamente fornito. Ma perciocchè i falli commessi per ira son falli nondimeno, e le azion miste non son buone, sebbene clemente e magnanimo può esser detto chi non se ne risente, non segue però che ingiusto sia chi le gastiga : e'l conservar l'autorità de' principi e delle leggi, e 'l raffrenar popoli coll' esempio è di tanta importanza, che molte volte il rigore con altrettanta ragione è lodato, con quanta la clemenza sia commendata. Onde fu molto dubbia l'antichità, qual fosse degna di maggior pregio, la severità di Torquato o la piacevolezza di Valerio; ma pir chi al severo e al rigido vuol accostarsi, deve aver l'occhio che il gastigo al fallo corrisponda, e che all'oggetto che abbiam detto sia dirizzato. Ma 'l dar per gastigo ad un artefice che non si eserciti nell'arte sua, è certo esempio inaudito; perciocchè nè per esso la maestà delle leggi si mantiene, nè onore al principe, nè beneficio alla cittadinanza ne risulta; anzi pare piuttosto che questo gastigo sia altrettanto dannoso al mondo, quanto colui che lo patisce. E tanto sono lontane le leggi dall'impor

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questa pena, che piuttosto consigliano che gli artefici eccellenti, quantunque nocenti e colpevoli di gravissimi misfatti, debban in vita esser conservati: e volentieri sostengono che ogni loro rigore sia temperato, acciocchè d'uomo o d'opera eccellente no si faccia perdita. Onde grida Augusto in quei swi versi, co' quali l'Eneide di Virgilio difende dalle fiamme:

Frangatur potius legum veneranda potestas, Quam tot congestos nocteque dieque labor's; e quel che segue. Or vorranno i principi moderni esser d'Augusto imitatori? così in questa cone nelle altre sue virtù procurino d' assomigliarglis: o pur d'alcuni, non dirò imperadori, ma mostri, vorranno seguir l'esempio? e di quali, per Dio? di quelli di cui tutto l'ordine lunghissimo degl'imperadori non ebbe i più malvagi, nè ha i più vituperati di Caligola, dico, di Nerone e di Giuliano: due de' quali furono gentili e l'altro cristiano, ma cristiano peggior di ogni gentile; perchè la fede rinnegò, e quanto potè cercò d'opprimerla, e da tutti i suoi fedeli dalla radice stirparla. Bandì Caligola dalle librerie l'immagini e i libri di Virgilio e di Livio: e di quali scrittori, o 'Dio buono! di quelli per li quali l'imperio romano è altrettanto venerabile, quanto per le vittorie dei suoi capitani. Fu Nerone invidioso della gloria di Lucano, e per invidia il fe morire: non so se in ciò degno d'alcuna scusa; poichè ciò fece, non come imperadore, ma come emulo nell'arte del poetare. Proibi Giuliano a Gregorio Nazianzeno e a Basilio Magno

che in greco iscrivessero, acciocchè non confermassero e non accrescessero la religione ancor nuova: ma quanto bene di ciò g'i succedesse, il suo fine il dichiarò: e la gloria di quei dottissimi ed eloquentissimi teologi sempre più s'è andata avanzando, e in tutti i secoli e in tutte le lingue sarà ammirata e renerata. Ma forse è fuor di proposito tutto ciò che lungamente ho ragionato; perchè nè io merito d'esser fra gli eccellenti annoverato, nè l pensiero del mio signore fu simile a quello degli scellerati imperadori: essendo egli, se alcun principe fu mai, giudicioso conoscitore e liberal riconoscitore degl'ingegni, e amator degli artefici e dell' arti nobili, e desideroso così di far cose degne d'onesta memoria, come di veder fiorir quegli studäi i quali la memoria delle cose possono ornare e conservare. Ma volle peravventura esercitar la mia pazienza o far prova della mia fede, e vedermi umiliare in quelle cose dalle quali conosceva che alcuna mia altezza poteva procedere; con intenzion poi di rimuovere questo duro divieto, quan do a lui paresse che la mia umiltà il meritasse: ad imitazion forse della provvidenza d'Iddio, la quale poichè ebbe formato l' uomo, il collocò nel terrestre Paradiso, e l'onorò del libero arbitrio, e gli diede la legge: e la legge fu, qual arbore dovesse toccare e da quale astenersi: e quella che gli era vietata, era la pianta della cognizione, non male da principio piantata, nè invidiosamente proibita, se opportunamente i suoi frutti fossero stati colti. Ma la pianta della contemplazione, alla quale solo coloro c'hanno la perfezion dell'abito potevan ascendere sicuramente, non era anche

buona per li semplici e per coloro ch' erano ingordi d'appetito, siccome ai teneri e bisognosi di nudrimento di latte il cibo sodo e duro non si conviene. Ma io

non sol poco ubbidiente in trapassar i cenni del suo comandamento, ma molto incontinente eziandio in lamentarmi che mi fosse imposta sì dura legge, partii non solo scacciato, ma volontario di Ferrara, luogo ove io era, se non nato, almeno rinato, e dove ora non sol dal bisogno sono stato costretto a ritornare, ma sospinto anche da grandissimo desiderio ch' io aveva di baciare le mani a sua Altezza, e di racquistar nell'occasion delle nozze alcuna parte della sua grazia. E benchè io non veda segno ancora per lo quale io possa sperare che 'l signor Duca mi debba far degno della sua servitù, o almeno essere cortese del suo favore a conseguir la servitù del serenissimo signor Principe di Mantova, ch'è quel signore che per l' opinion che ho della sua singolar virtù, e per espettazion di riuscita maravigliosa, e per favori ricevuti da lui, nell' affezione e nel desiderio di servirlo a tutti gli altri prepongo; mi pare nondimeno che assai di cortesia m'usasse a non riputarmi indegno, che, dopo tante mie licenziose parole, gli baciassi le mani: e spero che se di questa grazia non mi fu scarso, dell'altre ancora non debba essermi avaro: fra le quali quella che più desidero, è che rimuova l'impedimento dello scrivere. Chi ti vieta, direte voi, che tu a tua voglia non iscriva? Nè ora alcuno mi vieta lo scrivere, nè quando io partii alcun me 'l vietava; ma quando io mi partii molte cose me l'impedivano, ed ora niuno impedimento veggio rimosso.

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