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tra ragione non se ne può allegare. Ancora voglio confessare a questi tali d'essermi mal governato dopo la morte d'Alessandro, se loro confessano a me di aver fatto questo medesimo giudizio, in quello istante ch'eglino intesero ch'io l'avevo morto, e che io era salvo; ma se fecero allora giudizio in contrario, e se parve loro che io avessi fatto assai ad ammazzarlo, e salvarmi, e se giudicarono subito, essendo usciti fuori tanti cittadini così potenti e di tanta reputazione, che Firenze avesse riavuta la libertà, io non voglio contendere ora, che si ridano, nè che pensino ch'io mi partissi di Firenze per poco animo, e per soperchio desiderio di vivere: conciossiachè mi stimerebbono di troppo poco giudizio, se volessero che io avessi indugiato infino all' ora, perchè quel che io trattavo, si trattava con pericolo: ma se considereremo tutto, e' conosceranno, ch'io non pensavo mai alla salute mia più di quello ch'è ragionevole pensarvi, e s'io me ne andai poi a Costantinopoli, io lo feci quand' io veddi le cose non solo andate a mal cammino, ma disperate; e se la mala fortuna non m'avesse perseguitato in fin là, forse quel viaggio non sarebbe riuscito vano. Per tutte queste ragioni io posso più presto vantarmi d'aver liberato Firenze, avendola lasciata senza tiranno, che non possono dir loro che io abbia mancato in conto alcuno; perchè non solo io ho morto il tiranno, ma son andato io medesimo ad esortare e sollecitare quelli che io sapevo che potevano, e pensavo che volessino far più degli altri per la libertà della patria loro. E che colpa dunque è la mia s'io non gli ho trovati di quella prontezza e di quell'ardore che avevano ad

142 essere? O che più ne poss' io? Guardino in quello che ho potuto fare senza l'aiuto d'altri, se io ho mancato; nel resto non domandate dagli uomini se non quello ch'e' possono, e tenete per certo che se mi fusse stato possibile fare, che tutti i cittadini di Firenze fussero di quell'animo verso la patria che dovrebbono, che così com'io non ebbi rispetto per levar via il tiranno, ch'era il mezzo per conseguire il fine propostomi, mettere a manifesto pericolo la vita mia, e lasciare in abbandono mia madre, mio fratello e le mie cose più care, e mettere tutta la mia casa in quella rovina, ch'ella si trova al presente, che per il fine istesso non mi sarebbe parso tanta fatica spargere il proprio sangue, e quello de' miei insieme; essendo certo che nè loro nè io avessimo potuto finire la vita nostra più gloriosamente, che in servizio della patria.

APOLOGIA DI lorenz. de' medici.

DI

GALILEO GALILEI

ALLA GRANDUCHESSA DI TOSCANA.

I。

scopersi alcuni anni addietro, come bene sa l'Altezza Vostra Serenissima, molti particolari nel cielo, stati invisibili sino a questa età; li quali, sì per la novità, sì per alcune conseguenze che da essi dependono, contrarianti ad alcune proposizioni naturali, comunemente ricevute dalle scuole de' filosofi, mi eccitarono contro non picciol numero di tali professori ; quasi che io di mia mano avessi tali cose nuovamente collocate in cielo, per intorbidar la natura e le scienze: e scordatisi in certo modo, che la moltitudine de' veri concorre all' investigazione, all' accrescimento e stabilimento delle discipline, e non alla dimiņuzione e destruzione. E dimostrandosi nell' istesso tempo più affezionati alle proprie opinioni, che alle vere, scorsero a negare e far prova d' annullare quelle novità, delle quali il senso stesso, quando avessero voluto con altenzion riguardarle, gli avrebbe potuti render sicuri. E per questo produssero varie cose, ed alcune scritture pubblicarono, ripiene di vani discorsi; e, quel

che fu più grave errore, sparse di attestazioni delle sacre Scritture, tolte da luoghi non bene da loro intesi, e lontano dal proposito addotti. Nel quale errore forse non sarebbero incorsi, se avessero avvertito un utilissimo documento, che ci dà s. Agostino, intorno all' andar con riguardo nel determinar resolutamente sopra le cose oscure e difficili ad esser comprese per via del solo discorso; mentre, parlando pur di certa conclusion naturale, attenente ai corpi celesti, scrive così: Nunc autem, servata semper moderatione piae gravitatis, nihil credere de re obscura temere debemus, ne forte, quod postea veritas patefecerit,quamvis libris sanctis, sive Testamenti veteris, sive novi, nullo modo esse possit adversum, tamen propter amorem nostri erroris oderimus.

È accaduto poi, che il tempo è andato successivamente scuoprendo a tutti le verità prima da me additate, e con la verità del fatto si è fatta palese la diversità degli animi tra quelli che schiettamente, e senza altro livore non ammettevano per veri tali scuoprimenti, e quelli che all' incredulità aggiugnevano qualche affetto alterato. Onde siccome i più intendenti della scienza astronomica e della naturale, restarono persuasi al mio primo avviso; così si sono andati quietando di grado in grado gli altri tutti, che non venivano mantenuti in negativa, o in dubbio da altro, che dall' inaspettata novità, e da non aver avuta occasione di vederne sensate esperienze. Ma quelli che oltre all' amor del primo errore, non saprei quale altro loro immaginato interesse gli rende non bene affetti, non tanto verso le cose, quanto verso l'autore

di quelle; non le potendo più negare, le cuoprono solto un continuo silenzio, e divertono il pensiero ad altre fantasie; ed inacerbiti più che prima da quello, onde gli altri si sono addolciti e quietati, tentano di pregiudicarmi con altri modi. De' quali io veramente non farei maggiore stima di quel ch' io m' abbia fatto dell' altre contraddizioni ( delle quali mi risi sempre, sicuro dell'esito che doveria avere il negozio), s'io non vedessi, che le nuove calunnie e persecuzioni non terminano nella molta, o poca dottrina (nella quale io scarsamente pretendo), ma si estendono a tentar d'offendermi con macchie che devono essere, e sono da me più abborrite, che la morte; nè devo contentarmi, che le sieno conosciute per ingiuste da quelli solamente che conoscono me e loro ; ma da ogn' altra persona. Persistendo dunque nel primo loro instituto, di voler con ogni immaginabil maniera atterrar, me e le cose mie; sapendo com' io ne' miei studii di astronomia e di filosofia tengo circa alla constituzione delle parti del mondo, che il Sole, senza mutar luogo, resti situato nel centro delle conversioni degli Orbi celesti, e che la Terra, convertibile in sè stessa, se gli muova intorno: e di più sentendo, che tal posizione vo confermando, non solo col reprovar le ragioni di Tolomeo e d' Aristotile, ma col produrne molte in contrario, ed in particolare alcune altenenti ad effetti naturali; le cause de' quali forse in altro modo non si posson assegnare; ed altre astronomiche, dependenti da molti riscontri di nuovi scoprimenti celesti, li quali apertamente confutano il sistema Tolemaico, e mirabilmente con quest' altra posizione si accordano,

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