206 VITA DI GABRIELLO CHIABRERA. colto, ed i quali egli amava e riveriva sommamente; e sopra la porta della camera dove alloggiava nel palazzo di Giustiniani in Fossolo, fu da questo signore fatto scolpire l'infrascritto distico: Intus agit Gabriel, sacram ne rumpe quietem ; Dum strepis, ah periit, nil minus Iliade. Del rimanente egli fu peccatore, ma non senza cristiana divozione. Ebbe santa Lucia per avvocata per spazio di sessant' anni; due volte al giorno si raccomandava alla Pietà; nè cessò di pensare al punto della sua vita. Che fo io? che penso? che aspetto? Già cammina a gran passi la mia età al fine della vita; ed io nou l'altre sue creature, partecipe di tanti eccellentissimii doni e della libertà principalmente, con la quale accrescer potessi il merito delle buone tue operazioni; che mai non ti abbandona con la sua grazia, della quale pur molto spesso ti accorgi, sentendo tanti rimorsi nella conscienza, come cadi nel peccato, tanti stimoli che ti tengono eccitata al disprezzo delle cose terrene, ed all'amore delle celesti; che certo ben sei di così grande beneficio ingrata, se vi fai più lunga resistenza, o poco di te amica, se, conoscendo il vero bene, eleggi di privarne te stessa. Per certo se anderò bene esaminando la mia vita, troverò averti fatto ricetto d'ogni vanità; tu, che dovevi esser esempio di perpetua ora¬ zione, di immaculata bontà, d'amor puro delle cose divine. Lascio di considerar la prima più tenera età, nella quale, per esser debole ancora l'uso della ragione, non cade in molta considerazione ciò che da quel la ne nasce: ma pur quel pianto, al quale questa stessa è soggetta, poteva a me medesimo, già fatto maggiore, prestare occasione di contemplarne il misterio, e conoscere lo stato di questa vita mondana, alla quale io camminavo, essere appunto una valle di lagrime, un fonte di miserie, dove poner dovevo ancora studio maggiore per non lasciarmi invecchiare nell' amor di quelle cose, dove sotto il mele si sta nascoso l'assenzio, e siede sempre il pianto al riso vicino. Ma nella puerizia, che alla infanzia successe, non come io dovea, m'avvezzai a soffrire le fatiche e gl' incomodi, a'pensieri umili devoti, onde s' andasse facendo più debole la forza della carne, e si esaltasse lo spirito; ma fui tenuto fra morbidezze e delizie; e mi posi a stima re e seguire la vanità, in modo che cominciai andare quasi imbibendo, non tanto quella dottrina, che m'insegnava il mio maestro delle lettere, quanto quella che io stesso andava prendendo dal volgo, maestro de corrotti costumi: le ricchezze, gli onori e tutte le mondane grandezze essere quelli veri fregi, de' quali l'uomo, e principalmente chi è nato nobile, cercar dovesse d'ornar sè stesso; chiamar insania la vita degli uomini migliori e più ritirati dal secolo. Questi concetti più fermamente mi si fissero poi nell'animo, quando passando per l'altre età, gli vedevo esser dal comune consenso degli uomini laudati ed abbracciati, e da quelli massimamente, che erano stimali più savii e più felici; onde tanto più mi si fece facile lo svellere dall' animo tali pensieri, poichè col tempo v'avevano fermata così alta radice. Ma se mi volgo agli anni giovenili, che sono come certa primavera della nostra età, alla quale pare che tutto arridi, e quasi verdeggi, qual cosa poss' io ramm memorarmi," della quale abbia a rimanere di me medesimo ben soddisfatto e contento; e dalla quale possa dire d'avere tale frutto colto, quale ora vorrei avermi apparecchiato per cibo della mia vecchiezza? Come prima diedi a quella età principio, così fui quasi disfidato ad una gagliarda lotta de' sensi e diletti mondani, dalla quale le più volte mi partii vinto, poche ne riportai la corona della vittoria. Diedimi agli studii delle lettere, dilettaronmi, sopra gli altri, quelli dell' eloquenza; e in quelli della filosofia, avendomi abbattuto ad ottimi maestri, procurai di farne alcun profitto; non voglio dire, che ora me ne pentisca, perchè il timore che quel tempo che vi spesi, Aut, che rag. di sè. 14 potesse essere in altro men buono esercizio stalo impiegato, mi persuade a stimar bene il minor male: ma, di grazia, come negar posso di non aver dato alcun fomento a quello affetto, che fa prevaricare alcuna volta auco i migliori, cioè il desiderio della laude e dell' estimazione di me medesimo? La scienza gonfia bene spesso chi la possede, sì che non si ricorda di gloriarsi nel Signore; non sono già io così ardito, che dica d'averla posseduta, che appena ho potuto delibare l'acque degli abbondantissimi fonti delle dottrine, e per la debolezza del mio ingegno, e per altre occupazioni in che io sono stato involto: tuttavia l'uomo facilmente lusinga sè stesso, e si attribuisce ciò, che non gli viene. Onde si vede, che questo vizio di ambizione si va in ogni luogo cacciando, e tal ora anco fra i più asconditi recessi di chi fugge il mondo: ed è vizio, che tanto più difficilmente si cura dagli animi, quanto che si sta nascoso e coperto. Ma che più? se addimandato mi fusse, che di queste mie fatiche ne dimostrassi il frutto, quale cosa potrei io dire? Forse, che quel poco che di filosofia ne appresi, svegliato mi abbi l'intelletto a meglio conoscere la verità delle cose? Sì: ma, di grazia, qual bisogno ha di ricorrere al lume, quasi di candela, delle scienze umane, quegli a cui riluce il sole della grazia, e della rivelazione della infallibile verità? Altesi un tempo alla dottrina delle cose morali, e con tanto mio gusto, che mi diedi a comporne un libro, il quale poi mi lasciai anco persuadere di far passare in man d' altri, e nelle pubbliche stampe: imparai a diventar moralmente buono, sì; ina non è in questa scienza il primo precetto, che la |