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minor conto tenga della mia patria celeste; serva e ubbidisca alla mia repubblica con integrità di conscienza, con fine di giovare a lei, non a me, e per la tua, non per la mia gloria. Questa è maravigliosa opera della tua mano, e che da te solo s'ha a riconoscere; poichè per sì lungo corso d'anni, con unico esempio, si conserva nella libertà, nel dominio, nella vera religione. Però s'io non posso con fervore di spirito servire immediatamente a te, fa che almeno possa non indegna e infruttuosamente servirti in questa, che tu facesti eccellentissima creatura tua: e poichè a me è toccato ora questa particolar ubbidienza di servire a'bisogni della patria in quest'alma e santa città di Roma, assistendo, come rappresentante suo, presso Clemente ottavo sommo Pontefice; fa ch'io possa, col servire a questo tuo vicario in terra, tanto più avere innanzi te, vero e supremo Signore, che stai nel cielo: poni per tua somma pietà a merito mio ciò ch' io non merito; gradisci per quelle buone operazioni, che far dovrei, quella buona volontà che (la tua mercè) meco io porto; e a questo vicario tuo, padre comune del tuo popolo, e benigno pastore nel tuo ovile, pieno di zelo e di carità, infondi tanto di spirito, che fuori del procelloso mare di questi torbidi tempi possa trarne questa abbattuta nave della cristianità, sì che giunta in porto di pace e di salute da tanti errori e da tanti pericoli, abbia, alzando le mani al cielo, a dire, questa è l'età che fece il Signore; rallegriamoci in quella, e benediciamo sempre il suo san

tissimo nome.

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1. Un nostro concittadino mi raccomandò, men

tr' io militava fuori d'Italia, tre suoi manoscritti affinchè se agli uomini dotti parevano meritevoli della stampa, io ripatriando li pubblicassi. Egli andava pellegrinando per trovare un' università, >> dove s'imparasse a comporre libri utili per chi non è dotto, ed innocenti per chi non è per anche corrotto; da che tutte le scuole, com' ei dicevami, erano piene o di matematici, i quali standosi muti s' intendevano fra di loro; o di grammatici che ad alta voce insegnavano il bel parlare e non si lasciavano intendere ad anima nata; o di poeti che impazzavano senza far nè piangere nè ridere il mondo, e però come fatui noiosi, furono più giustamente d'ogni altro esiliati da Socrate, il quale, secondo Didimo, era dotato di spirito profetico, specialmente per le cose che accadono all' età

nostra >>.

II. L'uno de' manoscritti è di forse trenta fogli col titolo: Didymi clerici prophetae minimi liber unicus: e sa di satirico. I pochi a' quali lo lasciai leggere, alle volte ne risero; ma non s' assumevano d'inter

pretarmelo. E mi dispongo a lasciarlo inedito per non essere liberale di noia a molti lettori, che forse non penetrerebbero nessuna delle trecento trentatre allusioni racchiuse in altrettanti versetti scritturali, di cui l' opuscoletto è composto. Taluni fors' anche, presumendo troppo del loro acume, starebbero a rischio di parere comentatori maligni. Però s' altri n'avesse copia, la serbi. Il farsi ministri degli altrui risentimenti, benchè giusti per avventura, è poca onestà; massime quando paiono misti al disprezzo, che la coscienza degli scrittori teme assai più dell' odio.

III. Bensì gli uomini letterati, che Didimo scrivendo nomina Maestri miei, lodarono lo spirito di veracità e d' indulgenza d'un altro suo manoscritto da me sottomesso al loro giudizio. E nondimeno quasi tutti mi vanno dissuadendo dal pubblicarlo; e a taluno piacerebbe ch' io lo abolissi. È un giusto volume, dettato in greco, nello stile degli Atti degli Apostoli, ed ha per titolo: Διδύμου κληρικῶν ὑπομνημάτων βιβλία πέντε,e suona: Didymi clerici libri memoriales quinque. L' autore descrive schiettamente i casi per lui memora– bili dell'età sua giovenile educata dagli uomini letterati. Malgrado la sua naturale avversione contro chi scrive per pochi, ei dettò questi ricordi in lingua nota a rarissimi, affinchè, com' ei dice, i soli colpevoli vi leggessero i proprii peccati, senza scandalo delle persone dabbene, le quali non sapendo leggere che nella propria lingua, sono men soggette all' invidia, alla boria, ed alla VENALITÀ: ho contrassegnata quest'ultima voce, perchè è mezzo cassata nel manoscritto. L'autore inoltre mi diè l'arbitrio di far tradur

re quest' operetta, purchè trovassi scrittore italiano che avesse più merito chę celebrità di grecista. E siccome, dicevami Didimo, uno scrittore di tal peso lavora prudentemente, a bell' agio, e con gravità, i maestri miei avranno frattanto tempo, o di andarsene in pace, e non saranno più nominati nè in bene nè in male; o di ravvedersi di quegli errori, attraverso de' quali noi mortali giungiamo talvolta alla saviezza. Farò dunque che sia tradotto; e quanto alla stampa, mi governerò secondo i tempi, i consigli e i portamenti degli uomini dotti.

IV. Tuttavia, affinchè i lettori abbiano saggio dell'operetta greca, ne feci tradurre parecchi passi, e li ho, quanto più opportunamente potevasi, aggiunti alle postille notate da Didimo nel suo terzo manoscritto, dove si contiene la versione del Viaggio sentimentale di. Yorick; libro più celebrato che inteso; perchè fu da noi letto in francese, o tradotto in italiano da chi non intendeva l'inglese: della versione uscita di poco in Milano, non so. Innanzi di dar alle stampe questa di Didimo, ricorsi nuovamente a' letterati pel loro parere. Chi la lodò, chi la biasimò di troppa fedeltà ; altri la lesse volentieri come liberissima; e taluno si adirò de' troppi arbitrii del traduttore. Molti, e fu in Bologna, avrebbero desiderato lo stile condito di sapore più antico: moltissimi, e fu in Pisa, mi confortavano a ridurla in istile moderno, depurandola sopra ogni cosa de' modi troppo toscani; finalmente in Pavia nessuno si degnò di badare allo stile ; notarono nondimeno con geometrica precisione alcuni passi bene o male intesi dal traduttore. Ma io, stampandola, sono

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