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viso, pigliando sempre per testo de' versi dell' epistole d'Orazio. Richiesto da un ufficiale, perchè non citasse mai le odi di quel poeta, Didimo in risposta gli regalò la sua tabacchiera fregiata d'un mosaico d' egregio lavoro, dicendo: Fu fatto a Roma d'alcuni frammenti di pietre preziose dissotterrate in Lesbo.

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X. Ma quantunque non parlasse che di poeti, Didimo scriveva in prosa perpetuamente ; e se ne teneva. Scriveva anche arringhe, e faceva da difensore ufficioso a' soldati colpevoli sottoposti a consigli di guerra; e se mai ne vedeva per le taverne, pagava loro da bere, e spiegava ad essi il Codice militare. Oltre ai tre manoscritti raccomandatimi, serbava parecchi suoi scartafacci; ma non mi lasciò leggere se non un solo capitolo di un suo Itinerario lungo la repubblica letteraria. In esso capitolo descriveva » un' implacabile guerra tra le lettere dell'abbiccì, e le cifre arabiche, le quali finalmente trionfarono con accortissimi stratagemmi, tenendo ostaggi l'a, la b, la x che erano andate anîbasciadori, e quindi furono tirannicamente angariate con inesprimibili e angosciose fatiche ». Dopo il desinare, Didimo si riduceva in una sua stanza appartata a ripulire i suoi manoscritti, ricopiandoli per tre volte. Ma la prima composizione, com' ei diceva, la creava all' opera seria o in mercato. Ed io in Calais lo vidi per più ore della notte a un caffè, scrivendo in furia al lume delle lampade del bigliardo, mentr'io stava giocandovi, ed ei sedeva presso ad un tavolino, intorno al quale alcuni ufficiali questionavano di tattica, e fumavano mandandosi scambie volmente de? brindisi. Gl' intesi dire: Che la vera tribolazione de

gli autori veniva, a chi dalla troppa economia della penuria, e a chi dallo scialacquo dell' abbondanza ; e ch'egli aveva la beatitudine di potere scrivere trenta fogli allegramente di pianta: e la maledizione di volerli poi ridurre in tre soli, come ad ogni modo, e con infinito sudore faceva sempre.

XI. Ora dirò de' suoi costumi esteriori. Vestiva da prete, non però assunse gli ordini sacri; e si faceva chiamare Didimo di nome, e Chierico di cognome; ma gli rincresceva sentirsi dar dell'abate. Fuor dell' uso de' preti, compiacevasi della compagnia degli uomini militari. Viaggiando perpetuamente, desinava a tavola rotonda con persone di varie nazioni; e se taluno (com'oggi s'usa) professavasi cosmopolita, egli si rizzava senz'altro. S'addomesticava alle prime; benchè con gli uomini cerimoniosi parlasse asciutto, ed a' ricchi pareva altero; evitava le sette e le confraternite; e seppi che ricusò due patenti accademiche. Usava per lo più ne' crocchi delle donne, perch' ei le reputava più liberalmente dotate dalla natura di compassione e di pudore; due forze pacifiche le quali, diceva Didimo, temprano sole tutte le altre forze guerriere del genere umano. Era volentieri ascoltato, nè so dove trovasse materie, perchè alle volte chiacchiera va per tutta una sera, senza dir parole di politica, di religione, o di amori altrui. Non interrogava mai per non indurre, diceva Didimo, le persone a dir la bugia: e alle interrogazioni rispondeva proverbi o guardava in viso chi gli parlava. Accoglieva lietissimo nelle sue stanze: al passeggio voleva andar solo, o parlava a persone che non aveva veduto mai, e che gli

davano nell' idea: e se alcuno de' suoi conoscenti accostavasi a lui, si levava di tasca un libretto, e per primo saluto gli recitava alcuni squarci di traduzioni moderne de' poeti greci; e rimanevasi solo. Usava anche sentenze enigmatiche. Nessun frizzo; se non una volta, e per non ricaderci, rilesse i quattro evangelisti. Ma di tutti questi capricci e costumi di Didimo, s'avvedevano gli altri assai tardi; perch' ei non li mostrava, nè li occultava; onde credo che venissero da disposizione naturale.

XII. Dissi che teneva chiuse le sue passioni; e quel poco che ne traspariva, pareva calore di fiamma lontana. A chi gli offeriva amicizia, lasciava intendere che la colla cordiale, per cui l' uno s'attacca all'altro, l'aveva già data a que' pochi ch' erano giunti innanzi. Rammentava volentieri la sua vita passata, ma non m'accorsi mai ch' egli avesse fiducia ne' giorni avvenire, o che ne temesse. Chiamavasi molto obbligato a un don Iacopo Annoni curato, a cui Didimo aveva altre volte servito da chierico nella parrocchia d' In verigo, e stando fuori di patria carteggiava unicamente con esso. Mostravasi gioviale e compassionevole, e benchè fosse alloramai intorno a trent' anni, aveva aspelto assai giovanile; e forse per queste ragioni Didimo, tuttochè forestiero, non era guardato dal popolo di mal occhio, e le donné passando gli sorridevano, e le vecchie si soffermavano accanto a una porticciuola a discorrer seco, e tutti i bambini, de'quali egli si compiaceva, gli correvano lietissimi attorno. Ammirava assai: ma più con gli occhiali, diceva egli, che col telescopio: e disprezzava con taciturnità si sdegnosa Aut. che rag. di sè.

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da far giusto e irreconciliabile il risentimento degli uomini dotti. Aveva peraltro il compenso di nou patire d'invidia, la quale, in chi ammira e disprezza, non trova mai luogo.

XIII. Insomma pareva uomo, che essendosi in gioventù lasciato governare dall' indole sua naturale, si accomodasse, ma senza fidarsene, alla prudenza mondana. E forse aveva più amore che stima per gli u mini, però non era orgoglioso nè umile. Parea verecondo, perchè non era nè ricco nè povero. Forse non era avido nè ambizioso, perciò parea libero. Quanto all'ingegno, non credo che la natura l'avesse moltissimo prediletto, nè poco. Ma l'aveva temprato in guisa da non potersi imbevere degli altrui insegnamenti; e quel tanto che produceva da sè, aveva certa novità che allettava, e la primitiva ruvidezza che offende. Quindi derivava in esso per avventura quell' esprimere in modo tutto suo le cose comuni; e la propensione di censurare i metodi delle nostre scuole. Inoltre sembravami, ch'egli sentisse non so qual dissonanza nell' armonia delle cose del mondo: non però lo diceva. Dalla sua operetta greca si desume quanto meritamente egli si vergognasse della sua querula intolleranza. Ma pareva, quando io lo vidi, più disingannato che rinsavito; e che senza dar noia agli altri, se ne andasse quietissimo e sicuro di sè medesimo per la sua strada, e sostandosi spesso, quasi avesse più a cuore di non deviare, che di toccare la meta. Queste ad ogni modo sono tutte mie congetture.

XIV. Avendolo io d' allora in poi lasciato in A mes sfort, e desiderando di dargli avviso del giudizio dei

Maestri suoi intorno a' tre manoscritti da me recati in Italia, scrissi ad Inverigo a domandarne novelle al reverend. don Iacopo Annoni; e perchè questi s'era trasferito da molto tempo in una chiesa su' colli del lago di Pusiano, presso la villa Marliani, lo visitai nell'estate dell'anno scorso: nè ho potuto riportare dalla mia gila se non i lineamenti di Didimo giovinetto. Quel buon vecchio sacerdote, regalandomi il disegno che ho posto in fronte a questa notizia, mi disse afflittissimo: È pur molto tempo ch'io non so più dove

sia, nè se viva.

XV. Mi diede inoltre copia di un epitaffio che Didimo s'era apparecchiato molti anni innanzi; ed io lo pubblico, affinchè s'egli mai fosse morto, ed avesse agli ospiti suoi lasciato tanto da porgli una lapide, lo facciano scolpire sovr' essa.

DIDYMI. CLERICI

VITIA. VIRTUS. OSSA

HIC. POST. ANNOS. †††

CONQUIESCERe coepere

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