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vano di saper di me quello che io voleva del tutto celare ad altri. Ed io, accorgendomi del malvagio addomandare che mi facevano, per la volontà d'Amore, il quale mi comandava secondo 'l consiglio della ragione, rispondeva loro, che Amore era quelli che m' avea così governato: diceva d'Amore, perchè io portava nel viso tante delle sue insegne, che questo non si potea ricoprire. E quando mi domandavano: per cui t'ha così disfatto questo Amore? ed io sorridendo li guardava, e nulla dicea loro.

Un giorno avvenne, che questa gentilissima sedeva in parte, ove s'udivano parole della Reina della gloria, ed io era in luogo dal qual vedea la mia beatitudine: e nel mezzo di lei e di me, per la retta linea, sedea una gentil donna di molto piacevole aspetto, la quale mi mirava spesse volte, maravigliandosi del mio sguardare, che pareva che sopra lei terminasse; onde molti s'accorsero del suo mirare; ed intanto vi fu posto mente, che partendomi di questo luogo, mi senti' dire appresso: vedi, come cotal donna distrugge la persona di costui? e nominandola intesi, che diceano di colei che mezza era stata nella linea retta, che moveva dalla gentilissima Beatrice, e terminava negli occhi miei. Allora mi confortai molto, assicurandomi che 'l mio segreto non era comunicato il giorno altrui per mia vista; ed immantenente pensai di far di questa gentil donna schermo della verità; e tanto ne mostrai in poco di tempo, che 'l mio segreto fu creduto sapere dalle più persone che di me ragionavano. Con questa donna mi celai alquanti anni e mesi, e per più far credente altrui, feci per lei certe cosette per rima, le quali non è

mio intendimento di scriver qui, se non in quanto facesse a trattar di quella gentilissima Beatrice; e però le lascerò tutte, se non che alcuna ne scriverò, che pare che sia lode di lei.

Dico, che in questo tempo che questa donna era schermo di tanto amore, quanto dalla mia parte, mi venne una volontà di volere ricordar lo nome di quella gentilissima, ed accompagnarlo di molti nomi di donne, e spezialmente di questa gentil donna; e presi li nomi di sessanta, le più belle donne della città ove la mia donna fu posta dallo altissimo Sire; e composi una pistola sotto forma di serventese, la quale io non iscriverò, e non n'avrei fatta menzione, se non per quello, che, ponendola, maravigliosamente addivenne, cioè che in alcuno altro numero non sofferse il nome della mia donna stare, se non in sul nono, tra' nomi di queste donne.

La donna, colla quale io aveva tanto tempo celata la mia volontà, convenne che si partisse della sopraddelta città, e andasse in paese lontano. Perchè io quasi sbigottito della bella difesa che m'era venuta meno, assai me ne sconfortai, più che io medesimo non avrei creduto dinanzi: e pensando che, se della sua partita io non parlassi alquanto dolorosamente, le persone sarebbero accorte più tosto del mio nascondere ; proposi adunque di fare alcuna lamentanza in un Sonetto, lo quale io scriverò, perciocchè la mia donna fu immediata cagione di certe parole, che nel Sonetto sono, siccome appare a chi lo 'ntende; ed allora dissi questo

Sonetto:

O voi, che per la via d' Amor passate,
Attendete, e guardate,

S'egli è dolore alcun, quanto'l mio grave:
E priego sol, che udir mi sofferiate;
E poi immaginate,

S'io son d'ogni dolore ostello e chiave.
Amor, non già per mia poca bontate,
Ma per sua nobiltate,

Mi pose in vita si dolce e soave;
Ch'i' mi sentia dir dietro assai fiate:
Deh! per qual dignitate

Così leggiadro questi lo cor ave?
Ora ho perduta tutta mia baldanza,
Che si movea d'amoroso tesoro ;
Ond' io pover dimoro,

In guisa, che di dir mi vien dottanza:
Sicchè, volendo far come coloro,

Che per vergogna celan lor mancanza,
Di fuor mostro allegranza:

E dentro dallo cor mi struggo e ploro.

Questo Sonetto ha due parti principali; chè nella prima intendo di chiamare li fedeli d'Amore per quelle parole di Ieremia profeta: O vos omnes, qui transitis per viam, attendite, et videte si est dolor sicut dolor meus: e pregare, che mi sofferino d'udire. Nella seconda narro là ove Amore m' avea posto, con altro intendimento, che le estreme parti del Sonetto non mostrano; e dico ciò che io ho perduto. La seconda parte comincia: Amor, non già.

Appresso 'I partire di questa gentil donna, fu pia

cere del Signore degli Angeli, di chiamare alla sua gloria una donna giovane, di gentile aspetto molto, la qual fu assai graziosa in questa sopraddetta città; lo cui corpo io vidi giacere sanza anima, in mezzo di molte donne, le quali piangeano assai pietosamente. Allora, ricordandomi che già l'avea veduta far compagnia a quella gentilissima, non potei sostenere alquante lacrime; anzi piangendo, mi proposi di dire alquante parole nella sua morte, in guiderdone di ciò che alcuna fiata l'avea veduta colla mia donna; e di ciò toccai alcuna cosa nell' ultima parte delle parole che io ne dissi, siccome appare manifestamente a chi le 'ntende: e dissi allora questi due Sonetti, de'quali comincia il primo: Piangete, amanti. E'l secondo: Morte villana.

Piangete, amanti, poichè piange Amore,
Udendo qual cagion lui fa plorare;
Amor sente a pietà donne chiamare,
Mostrando amaro duol per gli occhi fore.
Perchè villana morte in gentil core
Ha messo il suo crudele adoperare,
Guastando ciò ch' al mondo è da lodare
In gentil donna sovra dello onore.
Udite quanta Amor le fece orranza;
Ch' io 'l vidi lamentare in forma vera
Sovra la morta immagine avvenente ;
E riguardava in ver lo ciel sovente,
Ove l'alma gentil già locata era,

Che donna fu di sì gaia sembianza.

Questo Sonetto ha tre parti. Nella prima chiamo e sollecito i fedeli d'Amore a piangere: e dico, che'l si

gnore loro piange: e dico, udendo la cagione perchè piange, acciocchè s'acconcino più ad ascoltarmi. Nella seconda narro la cagione. Nella terza parlo d'alcuno onore, che Amor fece a questa donna. La seconda parte comincia: Amor sente. La terza: Udite quanta.

Morte villana, e di pietà nimica,
Di dolor madre antica,

Giudicio incontrastabile, gravoso ;
Poich' hai data materia al cor doglioso,
pensoso;

Ond' io vado

Di te biasmar la lingua s' affatica:
E se di grazia ti vuoi far mendica,

Convenesi che io dica

Lo tuo fallir d'ogni torto tortoso;
Non perchè alla gente sia nascoso,
Ma per farne cruccioso

Chi d'Amor per innanzi si nutrica.
Dal secolo hai partita cortesia,

E, ciò che 'n donna è da pregiar, virtute:
In gaia gioventute

Distrutta hai l' amorosa leggiadria.

Più non vo' discovrir qual donna sia,
Che per le proprietà sue conosciute:

Chi non merta salute,

Non speri mai d' aver sua compagnia.

Questo Sonetto si divide in quattro parti. Nella prima parte chiamo la Morte per certi suoi nomi proprii. Nella seconda, parlando di lei, dico la cagione per che io mi muovo a biasimarla. Nella terza la vitupero. Nella

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