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Ben avrà questa donna il cor di ghiaccio,
E tan daspres, qe per ma fed e sors,
Nisi pietatem habuerit servo,

Ben sai l'amors (seu ie non hai socors,
Che per lei dolorosa morte faccio;
Neque plus vitam sperando conservo.
Vel omni meo nervo,

Sella non fai qe per son sen verai

Io vegna a riveder sua faccia allegra:
Ahi Dio, quanto è integra;

Mas eu men dopt, si gran dolor en hai:
Amorem versus me non tantum curat,
Quantum spes in me de ipsa durat.

Canson, vos pogues ir per tot le mond;
Namque locutus sum in lingua trina,
Ut gravis mea spina

Si saccia per lo mondo, ogn' uomo il senta:
Forse pietà n' avrà chi mi tormenta.

CANZ O NE IV.

Così nel mio parlar voglio esser aspro,
Come è negli atti questa bella pietra,
La quale ogn' ora impetra

Maggior durezza, e più natura cruda,
E veste sua persona d' un diaspro:
Tal che per lui, o perch' ella si arretra,

Dante.

H

Non esce di faretra

Saetta che giammai la colga, ignuda:

Ed ella ańcide, e non val ch' uom si chiuda,
Nè si dilunghi da' colpi mortali:

Che, come avessero ali,

Giungono altrui, e spezzan ciascuna arme;

Perch' io non so da lei, nè

posso aitarme.

Non trovo scudo ch' ella non mi spezzi,
Nè luogo che dal suo viso m' asconda;
Ma come fior di fronda,

Così della mia mente tien la cima.

Cotanto del mio mal par che si prezzi,

Quanto legno di mar che non lieva onda.
Lo peso che m' affonda,

E tal, che nol potrebbe adeguar rima.

Ahi angosciosa e dispietata lima,
Che sordamente la mia vita scemi;

Perchè non ti ritemi

Rodermi così il core a scorza a scorza,
Com' io di dire altrui chi ti dà forza?

Che più mi trema il cor, qualora io penso
Di lei in parte, ove altri gli occhj induca,
Per tema, non traluca

Lo mio penser di fuor, sì che si scopra:
Ch' io non fo della morte, che ogni senso
Colli denti d'amor già si manduca
Ciò che nel pensier bruca

La mia virtù, sì che n' allenta l' opra.
El m' ha percosso in terra, e stammi sopra
Con quella spada, ond' egli uccise Dido.
Amore, a cui io grido,

Mercè chiamando, ed umilmente il priego:
E quei d' ogni mercè par messo al niego.

Egli alza ad or ad or la mano, e sfida
La debole mia vita esto perverso,
Che disteso e riverso,

Mi tiene in terra d' ogni guizzo stanco;
Allor mi surgon nella mente strida,

El sangue ch'è per le vene disperso,
Fuggendo, corre verso

Lo cor che 'l chiama: ond' io rimango bianco.

Egli mi fiere sotto il braccio manco

Si forte, che 'l dolor nel cor rimbalza;
Allor dich io: s'egli alza

Un' altra volta, morte m' avrà chiuso
Prima che 'l colpo sia disceso giuso.

Così vedess' io lui fender per mezzo

Lo core alla crudele ch' il mio squatra;
Poi non mi sarebbe atra

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La morte, ov' io per sua bellezza corro:
Che tanto dà nel sol, quanto nel rézzo
Questa scherana micidiale e latra.

Oimè perchè non latra

Per me, com' io per lei nel caldo borro?

Che tosto griderei: io vi soccorro;
E farei volentier, sì come quelli,
Che ne' biondi capelli,

Ch' amor per consumarmi increspa e dora,
Metterei mano, e sazieremi allora.

S' io avessi le bionde treccie prese,

Che fatte son per me scudiscio e ferza,
Pigliandole anzi terza,

1

Con esse passarei vespro e le squille,
E non sarei pietoso nè cortese;

Anzi farei come orso, quando scherza.

E s'amor me ne sferza,

Io mi vendicherei di più di mille:

E' suoi begli occhj, onde escon le faville,
Che m'infiammano il cor ch' io porto anciso,
Guarderei presso e fiso,

Per vendicar lo fuggir che mi face; ;

E poi le renderei con amor pace.

Canzon, vattene dritto a quella donna,

Che m' ha ferito il core, e che m'invola

Quello, ond' io ho più gola:

E dalle per lo cor d' una saetta:

Che bello onor s' acquista in far vendetta.

CANZONE

Amor, che movi tua vertù dal cielo,
Come 'l sol lo splendore,

Che là si apprende più lo suo valore,
Dove più nobiltà suo raggio trova:
E come el fuga oscuritate e gelo,
Così, alto Signore,

Tu scacci la viltate altrui del core,
Nè ira contra te fa lunga prova;

Da te convien che ciascun ben si mova,
Per lo qual si travaglia il mondo tutto;
Senza te è distrutto

Quanto avemo in potenza di ben fare:
Come pintura in tenebrosa parte,
Che non si può mostrare,

Ne dar diletto di color, nè d' arte,

Feremi il core sempre la tua luce,

Come 'l raggio la stella,

Poi che l'anima mia fu fatta ancella
Della tua podestà primieramente:

Onde ha vita un pensier che mi conduce,
Con sua dolce favella,

A rimirar ciascuna cosa bella.

Con più diletto, quanto è più piacente;
Per questo mio guardar m'è nella mente
Una giovene entrata, che m' ha preso:
Ed hammi in foco acceso,

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