SOPRA IL RITRATTO DI UNA BELLA DONNA
SCOLPITO NEL MONUMENTO SEPOLCRALE DELLA MEDESIMA.
Tal fosti: or qui sotterra Polve e scheletro sei. Su l'ossa e il fango Immobilmente collocato invano,
Muto, mirando dell' etadi il volo, Sta, di memoria solo
E di dolor custode, il simulacro Della scorsa beltà. Quel dolce sguardo, Che tremar fe, se, come or sembra, immoto In altrui s'affisò; quel labbro, ond' alto Par, come d'urna piena,
Traboccare il piacer; quel collo, cinto Già di desio; quell' amorosa mano, Che spesso, ove fu pôrta,
Senti gelida far la man che strinse ; E il seno, onde la gente Visibilmente di pallor si tinse, Fûro alcun tempo: or fango Ed ossa sei: la vista
Vituperosa e trista un sasso asconde.
Qual sembianza fra noi parve più viva Immagine del ciel. Misterio eterno
Dell' esser nostro! Oggi d' eccelsi immensi
Pensieri e sensi inenarrabil fonte, Beltà grandeggia, e pare,
Quale splendor vibrato
Da natura immortal su queste arene,
Di sovrumani fati,
Di fortunati regni e d'aurei mondi Segno e sicura spene
Dare al mortale stato :
Diman, per lieve forza,
Sozzo a vedere, abominoso, abbietto
Divien quel che fu dianzi
Quasi angelico aspetto, E dalle menti insieme Quel che da lui moveva Ammirabil concetto, si dilegua.
Desiderii infiniti
E visioni altere
Crea nel vago pensiere,
Per natural virtù, dotto concento;
Onde per mar delizioso, arcano
Erra lo spirto umano,
Quasi come a diporto
Ardito notator per l' Oceáno:
Ma se un discorde accento
Fere l'orecchio, in nulla
Torna quel paradiso in un momento.
Natura umana, or come,
Se frale in tutto e vile,
Se polve ed ombra sei, tant' alto senti?
Se in parte anco gentile,
Come i più degni tuoi moti e pensieri Son così di leggieri
Da si basse cagioni e desti e spenti?
Il sempre sospirar nulla rileva.
Errai, candido Gino; assai gran tempo, E di gran lunga errai. Misera e vana Stimai la vita, e sovra l'altre insulsa La stagion ch'or si volge. Intolleranda Parve, e fu, la mia lingua alla beata Prole mortal, se dir si dee mortale L'uomo, o si può. Fra maraviglia e sdegno, Dall' Eden odorato in cui soggiorna, Rise l'alta progenie, e me negletto Disse, o mal venturoso, e di piaceri O incapace o inesperto, il proprio fato Creder comune, e del mio mal consorte L'umana specie. Alfin per entro il fumo De' sigari odorato, al romorío De' crepitanti pasticcini, al grido Militar, di gelati e di bevande Ordinator, fra le percosse tazze E i branditi cucchiai, viva rifulse Agli occhi miei la giornaliera luce Delle gazzette. Riconobbi e vidi
La pubblica letizia, e le dolcezze Del destino mortal. Vidi l'eccelso Stato e il valor delle terrene cose, E tutto fiori il corso umano, e vidi Come nulla quaggiù dispiace e dura. Nè men conobbi ancor gli studi e l'opre Stupende, e il senno, e le virtudi, e l'alto. Saver del secol mio. Nè vidi meno
Da Marrocco al Catai, dall' Orse al Nilo, E da Boston a Goa, correr dell' alma Felicità su l'orme a gara ansando Regni, imperi e ducati; e già tenerla O per le chiome fluttuanti, o certo Per l'estremo del boa (11). Cosi vedendo, E meditando sovra i larghi fogli Profondamente, del mio grave, antico Errore, e di me stesso, ebbi vergogna. Aureo secolo omai volgono, o Gino, I fusi delle Parche. Ogni giornale, Gener vario di lingue e di colonne, Da tutti i lidi lo promette al mondo Concordemente. Universale amore, Ferrate vie, moltiplici commerci, Vapor, tipi e cholèra i più divisi Popoli e climi stringeranno insieme: Nè meraviglia fia se pino o quercia Suderà latte e mèle, o s' anco al suono D'un walser danzerà. Tanto la possa Infin qui de' lambicchi e delle storte, E le macchine al cielo emulatrici Crebbero, e tanto cresceranno al tempo Che seguirà; poichè di meglio in meglio Senza fin vola e volerà mai sempre Di Sem, di Cam e di Giapeto il seme.
Ghiande non ciberà certo la terra Però, se fame non la sforza: il duro Ferro non deporrȧ. Ben molte volte Argento ed ôr disprezzerà, contenta A polizze di cambio. E già dal caro Sangue de' suoi non asterrà la mano La generosa stirpe: anzi coverte Fien di stragi l'Europa e l'altra riva Dell' atlantico mar, fresca nutrice Di pura civiltà, sempre che spinga Contrarie in campo le fraterne schiere Di pepe o di cannella o d'altro aroma Fatal cagione, o di melate canne, O cagion qual si sia ch' ad auro torni. Valor vero e virtù, modestia e fede E di giustizia amor, sempre in qualunque Pubblico stato, alieni in tutto e lungi Da' comuni negozi, ovvero in tutto Sfortunati saranno, afflitti e vinti; Perchè dié lor natura, in ogni tempo Starsene in fondo. Ardir protervo e frode, Con mediocrità, regneran sempre, A galleggiar sortiti. Imperio e forze, Quanto più vogli o cumulate o sparse, Abuserà chiunque avralle, e sotto Qualunque nome. Questa legge in pria Scrisser natura e il fato in adamante; E co' fulmini suoi Volta nè Davy Lei non cancellerà, non Anglia tutta Con le macchine sue, nè con un Gange Di politici scritti il secol novo.
Sempre il buono in tristezza, il vile in festa Sempre e il ribaldo: incontro all' alme eccelse In arme tutti congiurati i mondi
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