A UN VINCITORE NEL PALLONE. Di gloria il viso e la gioconda voce, Gli antichi esempi a rinnovar prepara. Non colorò la destra Quei che gli atleti ignudi e il campo eleo, D'emula brama il punse. E nell' Alfeo Tal che le greche insegne e il greco acciaro Guidò de' Medi fuggitivi e stanchi Nelle pallide torme; onde sonaro Di sconsolato grido L'alto sen dell' Eufrate e il servo lido. Vano dirai quel che disserra e scote Della virtů nativa Le riposte faville? e che del tioco Da poi che Febo instiga, altro che giuoco Mutò la gente i gloriosi studi. Tempo forse verrà ch' alle ruine Insultino gli armenti, e che l' aratro Dal rimembrar delle passate imprese. Chiaro per lei stato saresti allora Che del serto fulgea, di ch' ella è spoglia, Ma per te stesso al polo ergi la mente. Spinto al varco leteo, più grata riede. VI. BRUTO MINORE. Poi che divelta, nella tracia (5) polve Giacque ruina immensa L'italica virtute, onde alle valli Α spezzar le romane inclite mura Sudato, e molle di fraterno sangue, E di feroci note Invan la sonnolenta aura percote. Son le tue scole, e ti si volge a tergo A cui templi chiedeste, e frodolenta Dunque tanto i celesti odii commove La terrena pietà? dunque degli empi Siedi, Giove, a tutela? e quando esulta Ne' giusti e pii la sacra fiamma stringi? Schiavi di morte e se a cessar non vale Guerra mortale, eterna, o fato indegno, Di cedere inesperto; e la tiranna Tua destra, allor che vincitrice il grava, Indomito scrollando si pompeggia, Quando nell' alto lato L'amaro ferro intride, E maligno alle nere ombre sorride. Tanto valor ne' molli eterni petti. Ma libera ne' boschi e pura etade Reina un tempo e Diva. Or poi ch'a terra Sparse i regni beati empio costume, E il viver macro ad altre leggi addisse; Quando gl' infausti giorni Virile alma ricusa, |