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suono de' periodi, e tutto il materiale della dicitura degli autori, di modo che, pur materialmente parlando, lo stile, anzi, per dir così, ancora la lingua di quelli, si trova trasportata di pianta in simili versioni: ma ciò non vuol dire che elle abbiano nè perfezione nè bontà di stile tedesco. Anzi io dico: o la lingua tedesca non ha carattere alcuno proprio, e ciò essendo, ella non è capace di bellezza di stile; o essa ha carattere proprio, e tali volgarizzamenti, condotti in ogni cosa secondo la consuetudine, la maniera, la forma di altre favelle, anco disparatissime dalla tedesca, non possono essere di bello stile tedesco.

Tutte le altre nazioni (intendo in questo discorso di parlare specialmente degli scritti in prosa) hanno piuttosto difetto che rarità di buoni e veri volgarizzamenti di libri antichi; non per incapacità delle loro lingue, come i Francesi, ma per poco studio e poca opera posta dagl' ingegni dintorno a sì fatto genere, o poca loro sufficienza a trattarlo. Certo, fuori della tedesca, niuna lingua moderna è più capace che la nostra di traduzioni perfette, o almeno eccellentissime, da qual si sia favella del mondo, ma dal latino e dal greco massimamente. Contuttociò, in questo particolare delle traduzioni, noi ci troviamo essere più poveri eziandio che gli altri. E ristringendoci ora a dire dei libri greci e latini, parrebbe che in quel secolo nel quale più che in alcun altro fiorirono tra noi lo studio sì di queste due lingue e sì della propria italiana, voglio dire nel cinquecento, i nostri migliori ingegni avessero temuto, e perciò schifato, di tentare con volgarizzamenti le opere degli antichi di maggior conto. Le quali in quel secolo furono per verità recate nella nostra lingua quasi tutte, ma le più da uomini insufficienti e di poco valore. Ben si leggono con diletto, a cagion di esempio, le cose di Seneca e di Boezio vol

LEOPARDI. Opere. 2

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garizzate dal Varchi, e quelle di Aristotele, del Nazianzeno, di san Cipriano dal Caro, e sono di ottimo stile e si spedito e libero, che paiono anzi scritture originali che traduzioni. La qual cosa, dopo il cinquecento, mai nessuno Italiano, volgarizzando in prosa, non ha potuto ottenere, se non forse Gasparo Gozzi. Ma nè san Cipriano nè il Nazianzeno nè Aristotele nella Rettorica nè Boezio nè Seneca sono esempi di bello stile, e in questa parte i predetti volgarizzamenti vincono senza alcun dubbio i dettati primitivi. Onde è molto da dolersi che questi e simili ingegni di quell' età, contenti di quasi trastullarsi con tali scrittori di basso affare, si astenessero dal provarsi coi grandi e coi principali. Lascio stare il Livio del Nardi e il Tacito del Devanzati, ingegni ambedue non ordinari, ma dei quali al primo, come che ciò si fosse e per qual cagione, mancò la felicità nel successo, all' altro errò il giudizio nella scelta del modo. E molto meno mi fermerò a parlare dei nostri volgarizzatori del secolo decimoquarto; i quali assai più arditi dei più dotti e valenti uomini del cinquecento, non temettero di arrischiarsi con Sallustio, con Livio, con Cicerone e con altri dei sommi; ma rozzissimi come erano nelle lingue antiche, e privi di ogni arte nella propria, quantunque forniti, solo per la fortunata condizione del loro tempo, di una bellissima consuetudine di parlare, riuscirono, non solo insulsi e noiosi presso che in tutto, ma in gran parte anche strani, ridicoli, e, siccome non s' intesero essi medesimi, così non intelligibili altrui; e fecero opere che quanto sono pregiate per le voci e le locuzioni, tanto si dispregiano per lo stile e in quanto alla loro qualità di volgarizzamenti.

Ripigliando e conchiudendo del secolo decimosesto, lo stile di Marcello Adriani nei Morali di Plutarco non passa la mediocrità: nondimeno, risguardando che simil

mente lo stile di Plutarco, massime in quei trattati, resta anzi di qua che di là dal mediocre, si potrebbe presumere che quello fosse un volgarizzamento bastevole a tali opere, se esso, per la poca scienza del greco avuta dall' Adriani e per la scorrezione dei testi greci usati, non fosse in troppo gran parte falso, e troppo abbondante di errori. Il simile si può dire intorno al volgarizzamento fatto dallo stesso Adriani del libro di Demetrio della elocuzione. Quanto si è al Longo del Caro, opera giovanile e non finita anche di limare e pulire, quello stile pare a me poco pregevole e poco bello, e questo per la cagione medesima per la quale pare il contrario a molti, cioè per la copia, che a me riesce soverchia, degli ornamenti; nè la elocuzione di Longo, appena conforme all' indole della lingua greca, merita a lui titolo di scrittore classico.

Ora che direi dei nostri volgarizzamenti più moderni se io volessi qui distendermi maggiormente? Che direi, tra gli altri, degli Amori di Abrocome e d'Anzia del Salvini, i quali sono lodati io non so perchè? dove io trovo, giusta il consueto del volgarizzare di quell' uomo, un dire nè italiano nè greco, ma fatto di un raccozzamento dell' uno e dell' altro in foggia mostruosa e barbara; e un andamento che sarebbe molto più acconcio a una versione interlineare. Che direi del Longino del Gori, che oltre alla trivialità dello stile e della lingua, non dico già è sparso, ma è composto tutto di errori d'intelligenza e d'interpretazione del testo greco? e tuttavia, non senza nostra vergogna, è riputato universalmente in Italia per volgarizzamento non pur vero e buono, anzi egregio e classico!

Io penso che fosse per essere cosa molto conveniente se i dotti italiani, che hanno, come ho detto, una lingua dispostissima alle traduzioni dei libri classici de

gli antichi, attendessero a questo genere più che essi non fanno al presente che non si è fatto tra noi per l' addietro, e gareggiassero, come fanno i Tedeschi, di prcdurvi opere perfette e che si meritassero il nome altres di classiche. E questo sarebbe studio senza pericolo, e tanto più opportuno in Italia, quanto la conoscenza e la pratica delle lingue latina e greca sono cose molto più rare che in Germania e in altre parti. Ma poichè gl' Italiani oggi in universale non hanno, a voler dire il vero, alcun sentimento delle virtù e dei vizi del favellare e dello stile, e giudicano in queste materie per lo più a caso, confondendo il mediocre coll' ottimo, ed ancora il buono col tristo, e spesso anche l'ottimo col pessimo; che gloria agli autori o che piacere agli altri e, per dire in somma, che frutto potrebbe venire di sì fatte opere e dell' arte e della fatica infinita che si richieggono a procacciare la finezza della lingua e la perfezione dello stile che esse dovrebbero avere? A chi m' interrogasse in questo tal modo, io cercherei di fare qualche risposta, ma io non so bene ora quello che io direi.

AVVERTIMENTI MORALI

A DEMONICO.

In molte cose, o Demonico, si vede essere non piccola varietà dai pensieri degli uomini buoni e d'assai a quelli delle persone tristi e da poco, ma molto più si discorda l'una dall'altra gente nell'uso dell'amicizia. Perocchè questi si sforzano di fare onore agli amici allora solamente che gli hanno dinanzi, quelli anco da lontano gli amano; e le familiarità dei tristi in piccolo tempo si sciolgono, ma le amicizie de' buoni nessuno spazio di tempo è bastevole a scancellarle. Adunque stimando essere conveniente che gli uomini desiderosi di fama e dediti alle lettere, piglino a imitare non mica i tristi ma i buoni, mandoti questo discorso in segno così dell' amicizia che è tra noi due, come della dimestichezza ch'io ebbi già con Ipponico. Perocchè bene è ragionevole che i figliuoli succedano nelle amicizie dei padri siccome nelle sostanze. Veggo ancora che la fortuna e il tempo ci favoriscono e ci sono a proposito, atteso che tu sei vago d'imparare, io procaccio d'insegnare altrui, e tu di presente attendi a filosofare, io sto indirizzando gli altri in questa medesima opera.

Quelli per tanto che scrivono ai loro amici certi tali discorsi per muovergli allo studio della eloquenza, fanno cosa buona, ma essi però non si adoperano intorno alla parte principale della letteratura. Coloro che

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