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In fine abbi per sapienti, non quelli che con sottigliezza grande quistionano di cose lievi, ma quelli che ragionano acconciamente di materie gravissime; e non quelli che agli altri promettono beatitudine ed essi vivono in grande difficoltà e miseria, ma quelli che da un lato parlano di se moderatamente, dall'altro sanno usare cogli uomini e trattare i negozi, e per le mutazioni della fortuna non si turbano, ma portano bene e temperatamente sì le cose prospere e sì le avverse.

E non ti maravigliare se una buona parte di quello che è detto di sopra, ti era nota innanzi, perchè io non lo ignorava, e sapeva bene che in tanto numero d'uomini o privati o principi, alcuni avevano già detta una o un'altra di quelle cose, alcuni ne avevano udite, e chi ne aveva vedute praticare, altri ne metteva in opera esso medesimo. Ma in questi ragionamenti degl' instituti e degli uffici, non sono da cercare le novità, perchè nulla vi si può trovare d'inaspettato nè d'incredibile nè d'insolito; ma quello è da riputare di cotali scritti il più bello, nel quale sieno raccolti in sulla materia la più parte dei concetti che erano dispersi nelle menti degli uomini, e questi più leggiadramente esposti che in alcuno altro. Io vedeva anche bene, che dalla universalità quelle scritture, o che elle sieno prose o poemi, le quali porgono consigli ed avvertimenti, sono per verità giudicate utili più di tutte, ma non mica udite più volentieri; anzi interviene loro come alle persone che s'impacciano di ammonire gli altri, le quali sono lodate da tutti, ma niuno le vuole avere intorno, e meglio amano gli uomini usare con chi gli aiuta a far male, che con questi che si adoperano per dissuadernegli. Esempio di ciò potrebbero essere i poemi di Esiodo, di Teognide e di Focilide, i quali autori hanno voce di essere maestri eccellenti della vita umana, e tuttavia quegli stessi che così gli chiamano, si

eleggono d'intrattenersi scambievolmente colle loro stoltizie, piuttosto che spendere il tempo intorno ai coloro ammaestramenti. Così chi scegliesse dai poemi migliori quelle che si chiamano sentenze, che sono quella parte dove essi poeti posero più studio, il medesimo avverrebbe ancora a queste, che gli uomini ascolterebbero più volentieri una commedia, se ben fosse la più scempia del mondo, che non quelle cose composte con tanto artifizio. Ma che bisogno è di fermarsi a dir dei particolari a uno a uno, quando in generale, se noi vogliamo por mente alle nature degli uomini, possiamo di leggeri comprendere che i più di loro non amano nè i cibi più sani, nè gli studi più degni ed onesti, nè le azioni migliori, nè le discipline più profittevoli, ma in ogni cosa hanno l'inclinazione e il piacere contrario all'utile, e molti che non fanno cosa che si convenga, pur sono stimati forti, tolle ranti e dediti alla fatica? Di modo che a questi tali come può mai l'uomo piacere o consigliando o insegnando o favellando di alcuna cosa utile? I quali, oltre al detto innanzi, portano invidia agli uomini di buon senno, e gl'insensati chiamano schietti e candidi; e hanno sì fattamente in odio la verità, che non conoscono pure le cose proprie, anzi a pensarne, si annoiano e si rattristano, per lo contrario godono di cianciare di quelle d'altri; prima torrebbero di patire corporalmente che di affaticare l'animo e discorrere seco stessi di qual si sia cosa necessaria. Nel commercio scambievole, o mordono o rimbrottano o sono rimbrottati e morsi; nella solitudine, in cambio di deliberare, attendono a far desiderii. Io non dico queste cose di tutti, ma di quelli a cui toccano. Certo e manifesto si è, che chiunque vuole o con versi o con prose piacere alla moltitudine, dee cercare sopra ogni cosa, non l'utile, ma il favoloso, perchè di udir questo le genti si dilettano molto se bene hanno poi disgusto

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quando veggono le battaglie e le contese reali. Per la qual cosa è da ammirare l'artificio d'Omero e dei primi che inventarono la tragedia, i quali conosciuta la natura degli uomini, adoperarono nelle loro poesie l'uno e l'altro genere: perocchè Omero cantò favolosamente le battaglie e le guerre de' semidei, e quegli altri ridussero le favole in combattimenti e in azioni, di modo che, oltre a essere udite, elle ci divennero anche visibili. Adunque per così fatti esempi si dà bene ad intendere a chi vuol toccare gli animi degli uditori, che lasciando da parte i consigli e le ammonizioni, gli bisogna dire e scrivere quello di che egli vede che il popolo si diletta.

Queste cose ti ho voluto significare, pensando che a te, il quale sei, non uno della moltitudine, anzi signore di molti, si convenga sentire diversamente dagli altri, e le cose gravi e gli uomini giudiziosi non misurare dal piacere, ma provargli nelle operazioni utili, e secondo la utilità stimargli. Massimamente che se bene i filosofi non si accordano intorno agli esercizi dell' animo, volendo alcuni che per mezzo della dialettica, altri che per via della politica, altri che per altre dottrine i loro discepoli abbiano a divenire più savi e di miglior senno, tutti però convengono in questo, che l'uomo bene ammaestrato debbe, o per l' una o per l'altra di quelle tali discipline, riuscire atto a ben consigliare e deliberare. Vuolsi per tanto, lasciata stare quella parte che è controversa, e tenendosi a quello che è confessato da tutti, venire alla prova degli uomini, e, se si può, vedere nelle occasioni come sappiano consigliare, se no, intendere come ragionino delle cose in generale, e quelli che non dimostrano alcun buono avvedimento, averli per nulla e rigettarli, manifesta cosa essendo che queste sì fatte persone, le quali non possono pur giovare a se medesime, molto meno potranno far savio LECPARDI. Opere. — 2.

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e prudente altrui. Ma per lo contrario gli uomini giudiziosi e atti a vedere più che gli altri, tiengli in conto grande e accarezzagli, considerando che niuno altro bene si trova, così utile a possedere e così regio, come è un buono e sufficiente consigliatore. E fa'ragione che quelli ti accresceranno maggiormente il regno, i quali più ti beneficheranno l' intendimento.

Io dunque ti ho mostrato quello che io so e che io reputo convenevole, e ti onoro con quelle cose che comporta la mia facoltà. E consiglioti a volere che eziandio gli altri, in iscambio dei consueti donativi, i quali voi, come ho detto a principio, comperate molto più caro da chi gli dona, che non fareste da quelli che gli vendessero, ti rechino di così fatti presenti, che se tu gli userai molto, e non passerai giorno che tu non gli adoperi, in vece di logorargli, gli farai maggiori e di più valuta.

NICOCLE.

Sono alcuni, i quali hanno l'animo avverso alle lettere, e biasimano i coltivatori di quelle, dicendo che essi seguitano sì fatto studio a fine, non di virtù, ma di avvantaggiarsi dagli altri. Io dimanderei volentieri a questi tali, che voglia dire ciò, che laddove essi lodano. chi vuol bene operare, a un medesimo tempo fuggono da quelli che vorrebbero parlar bene. Che se spiacciano loro i vantaggi che uno ha dagli altri, veggiamo che più e maggiori se ne acquistano colle opere che colle parole. Anco sarebbe strano a pensare che questi nemici dei letterati non sapessero che noi facciamo onore agli Dei, pratichiamo la giustizia e seguitiamo le altre virtù, non mica per doverne avere disavvantaggio dagli altri, ma sì per vivere con quella maggior quantità di beni che per noi si possa ottenere. Sicchè non sono da riprendere quelle cose per le quali uno può virtuosamente sopravanzare gli altri, ma sì quelle persone le quali peccano colle opere, e quelle che colle parole ingannano e che non le usano rettamente. E io mi maraviglio di questi che dicono male delle lettere, che non dicano anche male delle ricchezze, della forza, del coraggio. Imperocchè se essi portano odio alle lettere per rispetto di coloro che si vagliono della eloquenza a ingannare altrui, ragion vuole che riprovino medesimamente anco gli altri beni, atteso che non mancano di coloro che

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