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de Italia gloria y aun del mundo lustre
pues de cantas cidas él encierra
ningune pude haber que ase la ilustre.

Apacible en la paz, dura en la guera,
madre de la abundacia y la nobleza

de elísios campos x agradable sierra. 1

Ahimè! Dopo quest' inno cavalleresco del magnanimo autore del Don Quijote, stendeva, su questa parte d'Italia specialmente, la dominazione spagnuola la sua ala d'avvoltoio, ed insinuava in questo popolo sentimenti e costumanze non sue, dalle quali ci vorranno secoli d'educazione civile per redimerlo. Ma la Spagna ha espiate oramai dolorosamente tante sue colpe fastose, e non è generoso inveire nel vinto!

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Più congeniale, più passionata e continua fu l'ammirazione dei grandi spiriti francesi per questa incantata regione d'Italia. Dal Montaigne al Bourget la Francia offre una lunga e luminosa sequela di grandi visitatori, i quali pur fra tanti erronei giudizi, dettero all'Italia tributo onorevole di riverenza e d'affetto; e la vita napoletana descrissero i francesi, con più o meno grande fedeltà, da Alessandro Dumas e da Marco Monnier a Marcellino Pellet. Ma dopochè il Goethe aveva aperta la via, fu prima la grande

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Cf. EYSSENHARDT, Italien (Schilderungen alter und neuer Dichter), Hamburg, 1890, pag. 300 seg. e sul Cervantes a Napoli, B. CROCE, Napoli nobilissima, fasc. 2, 29. Debbo alla cortesia del Croce l'aver potuto indicare esattamente l'epoca del soggiorno a Napoli del Cervantes (dal 1574 al 75) sulle bozze di un suo articolo: Due illustrazioni al Viaje del Parnaso del Cervantes.

2 M. PELLET (ancien Député), Naples contemporain (Ouvrage couronné par l'Académie), Paris, Charpantier, 1896.

anima di una donna, educata alla cultura tedesca, e a cui fu guida in Italia un grande scrittore alemanno, lo Schlegel, nel 1804, voglio dire la signora di Stäel. La prima, dico, dopo i poeti antichi, non già a descrivere con precisa analisi di osservatore, ma a riprodurre coll' impeto d'una imaginazione ardente e passionale, la varia e luminosa poesia della campagna napoletana; ed è perciò che ha posto, nel mio discorso, fra i poeti stranieri che dilessero questa terra. Il romantico viaggio di Corinna, la protagonista che dette il nome al famoso libro della Stäel, è il poema di un'anima aperta a tutte le voci e ai palpiti d'una grande natura. Imperocchè Corinna è la figurazione ideale della stessa di M. de Stäel. Affranta dai suoi grandi dolori, quando partì per l'Italia, dopo il 1803, ella non aveva fede che questo viaggio le avrebbe offerte impressioni a cui potesse credersi sensibile. Fino a quel tempo non aveva se non studiato il cuore umano e i libri, rimanendo quasi straniera ai godimenti ineffabili della natura. La bellezza dei campi non le era parsa che una decorazione insignificante; nè si era sentita commuovere dalla visione dei laghi, delle montagne, dei ghiacci, di cui il Rousseau aveva rivelato all'anima moderna le sublimi magnificenze. Nulla di quello che non derivasse dal sentimento e dalla passione umana aveva insomma senso e valore ai suoi occhi.

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Ma il cielo e il clima d'Italia operarono il prodigio, e conversero l'anima di lei alle più dolci commozioni della natura e dell'arte; e parve quasi che ella per la prima volta scoprisse allora una virtù incognita e segreta, e le si rilevasse un sentimento nuovo. Ora una tale novità prorompe quasi in forma irruente nella creazione di Corinna,

1 Mi sia lecito riferirmi al mio scritto I poeti paesisti nella Nuova Antologia, 1898.

2 Si veda quanto ne scrive il figlio della Stäel nella prefazione alle Oeuvres complètes de Madame de Stael, publiées par son fils, I, 77 seg., Bruxelles, 1830.

suo capolavoro immortale: nella cui geniale composizione s'intessono mirabilmente il romanzo passionale e la raffigurazione dell'Italia, fuse e conflate quasi in una armoniosa unità. La figura di Corinna è la personificazione dell'entusiasmo e dell'ammirazione spontanea d'un'anima pura e verginale. E in tutta la prima parte del racconto, ove la fanciulla primeggia, l'Italia le apparisce come una rivelazione d'amore e come un continuato incantamento. Ella celebra la natura feconda e magnifica del mezzogiorno, e a Roma ammira reverente i monumenti del passato nella loro augusta severità, gli eroi, i poeti di età antiche. Se non che colla passione che in Roma spunta nell'animo suo per il melanconico e pensoso Lord Nelvil, s' insinua nel suo cuore e nel suo canto una vena di tristezza e di mistero: e a poco a poco l'entusiasmo per tutte le cose belle cede e va morendo nella passione presàga del suo fato doloroso. Ora Napoli è il teatro ove si svolge codesta pietosa scena dell' inesorabile separazione di due anime, avviate su due diverse vie della vita. Qui è che la dolce fanciulla vuol come consacrare il momento più solenne di sua vita, mentre le si dilegua dinanzi ogni lume di felicità o di speranza. E prima di rivelare il vero essere suo al giovane inglese rivelazione che sa fatale a se stessa vuol celebrare una festa memorabile.

La squisita improvvisazione lirica del canto ch'ella scioglie sul capo Miseno, in mezzo a una festa campestre e fra le danze paesane, è come l'ultima irradiazione del suo cuore di poeta: quasi accensione finale di cielo, ove il sole tramonti in una gloria di luce e d'oro. Composta in atto d'una rediviva Saffo, eretta sullo scoglio di Leucade e già devota a morte, ella accorda la sua cetra; e dal promontorio di Miseno canta nella sera placida, mentre la luna si leva all'orizzonte ed « allunga la face tremolante sul mare ». Canta, in una grandiosa evocazione, i ricordi del passato, che il prossimo Averno e Cuma e Baia eternarono nella poesia e nella storia. E dalle memorie se

rene dell'antica storia italica, corre col pensiero a quelle delle sciagure e dei delitti di cui parla questa terra: Capri, memore delle senili libidini e delle crudeltà esacrande di Tiberio; Gaeta, spettatrice dell'eccidio di Cicerone; Baia, testimone del nefando matricidio di Nerone; le isole circostanti che parlano di dolori e di colpe; la terra tutta qui intrisa di sangue e di lacrime, che pure, madre immemore dell'uomo, genera, nella sua feracità esuberante, frutti e fiori infiniti. Fra queste note di pianto passano solenni e dolenti figure di donne, compagne d'eroi. Cornelia, la vedova di Pompeo, solitaria presso Miseno; Agrippina piangente la morte di Germanico e poi caduta vittima Porcia che Nisida vide dar l'ultimo addio a Bruto; e più tardi la sorella del Tasso che offerse un asilo d'amore in Sorrento al pellegrino dolente. Amore, dovunque, fecondo di poesia, d'eroismo, di religione; ma anche di lacrime e di dolore, eterno, indivisibile, compagno suo.

Tale suona il lamentevole canto che alla dolente fanciulla creata dalla Stäel, vera precorritrice del Leopardi, suggerisce lo spettacolo di quei leggiadri luoghi. Strano contrasto del sentimento suo con quello che anima i suoi ascoltatori napolitani; i quali restano come attoniti, tanto ad essi par naturalmente manifesto che la poesia e l'arte debbano essere un diversivo dalle pene della vita, anzichè un istrumento onde scavarne più a fondo i terribili misteri. Ma gl' inglesi i quali aveano ascoltata e accompagnata la fanciulla erano commossi d'ammirazione; trovando nel suo canto la disposizione del sentimento connaturata al lor popolo, ed espressa da lei con vivezza d'imaginazione latina. "

Precorritrice del Leopardi ho detto: imperocchè ella è la prima fra tante anime congeniali all' infelice poeta della Ginestra, che dalla meditazione puramente storica del Volney sulla poesia delle rovine, e dalla meditazione civile. del Verri, siasi elevata ad un segno di contemplazione più

1 Oeuvres de M. de Stael, ediz. cit., II, 341 seg.

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largamente umana. Il Volney s'assise sulle rovine pensando le sorti dei popoli; il Verri s'aggirò fra le tombe comparando l'antica patria alla presente. Ma la Stäal cercò fra le mura vetuste e tra le file dei mozzi colonnati il destino stesso dell'anima e del genere umano. Oggi dal volume nuovo dei Pensieri leopardiani, tratto dalle carte napoletane, siamo, difatti, certificati del lungo e assiduo studio che il recanatese aveva fatto di quel romanzo della grande scrittrice, che era stato pure in Napoli guida ad un altro divino giovane, lo Shelley.

Ma già la candida e mistica ala della poesia romantica che si era largamente distesa nelle terre del nord, trasvolava nelle tepide aure dei cieli latini. E come Corinna piangeva sulle ruine e sulle memorie del passato, e come lo Chateaubriand, che il paesaggio di Napoli descrisse in alcune pagine dei Martiri e in quelle sue Lettres d'Italie che fornirono motivi di poesia alla Ginestra leopardiana, disceso un giorno dal Vesuvio e percosso dallo spettacolo delle grandi forze della natura, lamentava la caducità delle cose e la discordia degli uomini, così qui s'abbandonava alle sue visioni eteree, ai suoi sogni vaporosi il Lamartine; colui che non seppe vedere nell' Italia se non una terra di morti

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Codesta celebre frase che ben meritò, d'altronde, la punta della spada di Gabriele Pepe e la non meno acuta punta della penna del Giusti, non era tanto una amara rampogna alla nostra patria, quanto, forse, l'espressione naturale d'un'anima imbevuta di quel senso di melanconia romantica che non vedeva la poesia se non nei pallidi fantasmi, nelle memorie languide del passato quasi divelte dall'albero della vita, e si effondeva dovunque in un vago

1 Cfr. CESAREO, Nuovi studi sulla vita e sui Canti di G. L., Roma, 1893, pag. 104.

2 Vedi la mia nota nella Rassegna critica della lett. ital., 1898, III, pag. 110 seg.

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