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Bicci novel, figliuol di non so cui
S'i' non ne domandassi Monna Tessa,
Giù per la gola tanta roba è messa,
Ch'a forza gli convène or tôr l'altai.
E già la gente si guarda da lui,

Chi ha borsa allato, là dov'e' s'appressa,
Dicendo: Questi, ch'ha la faccia fessa 1
È piúvvico ladron negli atti sùi.

E tal2 giace per lui nel letto tristo,
Per tema non sia preso a lo 'mbolare
Che gli apartèn quanto Giuseppo Cristo.
Di Bicci e de' fratei posso contare,

Che, per lo sangue lor, del male acquisto
Sanno a lor donne buon cognati stare.

onetto indegno; ma nelle contese, l'ultimo ehe parla, crede sempre aver detto cose tanto terribili, da confondere, annientare l'avversario e, in ogni modo, obbligarlo al silenzio; e non immagina, non prevede ch'egli si attiverà, invece, addosso nuova tempesta e nuovo danno, peggiore assai di quello che egli avea creduto arrecare all'avversario. Dante, nel sonetto che abbiamo testè riferito, avea caricato di una serie d'ingiurie l'amico Forese, dandogli del bastardo, del ladro, dello scialacquatore, del cattivo marito; ma ogni nostra perversità e malignità si sconta, e Dante n'ebbe come ricevuto un altro terribile sonetto, pieno di disprezzo che l'obbligò al silenzio, se bene l'amico offeso, nell'ultimo verso, domandi a Dante che lo imbecchi pure con altro panico, s'egli vuole di più, cioè se desidera che egli imposti per lui una nuova partita, un nuovo conto di dare ed avere, dove troverà meglio dichiarato quello di che intanto l'accusa, che, cioè, dopo avere trascurato di vendicare l'onore del padre suo, per la vergogna che gli fu fatta obbligandolo forse a cambiar l'aquila

1 Probabilmente con le chianze.

2 Cioè il padre putativo Simone Donati.

con degli aquilini dall'arma: egli stesso chiede scusa e pace ad ogni suo offensore a pena ne riceve qualche colpo, come se avesse rotto un uomo a pezzi; Forese, nel contrasto, ha dunque l'ultima parola, e questa parola sarebbe micidiale per ogni uomo che non si chiamasse Dante:

Ben so che fosti figliuol d'Alaghieri,
E accorgomene pur alla vendetta
Che facesti di lui, si bella e netta,
De l'aguglin, ched e' cambiò l'altrieri.
Se tagliato n'avessi uno a quartieri,
Di pace non devevi aver tal fretta;
Ma tu ha'poi si piena la beretta,
Che non la porterebbon due somieri.
Bono uso ci a'reato, ben tel dico,

Che qual carica te ben di bastone,
Colui ha per fratello e per amico.
Il nome ti direi de le persone

Che v'anno posto su; ma del panico

Mi reca, ch'i' vo' metter la ragione.

2

Dante non rispose più altro; o fosse troppo grave l'ingiuria, od egli stesso già dolente di non avere frenato la lingua maledica e mordace, non volesse prolungare le indegne offese contro un amico, egli non diede a Forese altra imbeccata, ed attese ai fatti suoi senza farne vendetta, e forse anco rappacificandosi con Forese, col quale egli era andato troppo oltre.

Ora, dalla lettura dell'ultimo sonetto di Forese Donati, che cosa dovremmo noi inferirne? Che Dante fosse

1 Altri interpreta che il padre Allighiero sarebbe stato accusato d'aver spesa moneta falsa con gli acquilini di Pisa, moneta che portava per insegna l'aquila, e che Dante non avrebbe vendicato il padre dall'indegna accusa, e che il padre stesso non se ne sarebbe risentito; onde a Forese dovette parere che padre e figlio fossero entrambi dappoco.

2 Intendi della paura, e de' suoi effetti.

uomo pauroso e vile? Chi può soltanto immaginarlo? No; egli soltanto fu imprudente talora, nel suo linguaggio, nè misurò sempre il danno che poteva portare con le sue frecciate; e però lasciò partire inconsultamente alcune saette. Appena, tuttavia, vide gocciare sangue; a pena lo feri il lamento della sua vittima; o pure a pena lo vinse il timore d'avere ecceduto, e un senso di pietà sottentrò al primo dispetto, egli mise forse nel rappacificarsi quella premura stessa che avea dimostrato nel suo furioso assalto. Non, dunque, perchè bastonato egli vuole farsi amici i suoi propri castigatori, come insinua Forese, ma perchè l'animo suo buono e generoso non sopporta alcuna lunga guerra con gli amici ed è alieno da ogni discordia. Colui che divenne un gran giustiziere, fu pure un grande pacificatore. Ma, intanto, la prima pace egli voleva sempre fare con sè stesso, domando i proprii risentimenti. Così egli si mostrerà pio a quello stesso Geri del Bello suo consanguineo che ritrova nell'inferno, ed egli non solo ristorerà la fama di Nella Donati, ma, quantunque bastonato forte un giorno, da Forese nella giovanile tenzone, per bontà sublime, Dante gli troverà grazia presso il Dio delle Misericordie, e tornerà a chiamarlo col dolce nome di fratello, e gli parlerà con quella soavità di linguaggio, di cui il suono ci penetra ancora nell'animo, come se i due amici di gioventù si fossero veramente ritrovati, riabbracciati, riconciliati e perdonati reciprocamente, innanzi al trono di Dio.

LEZIONE QUINTA

Dante e Beatrice Primo periodo.

Non potendo avere altra guida per la storia di un amore reale, che Dante ci adombrò ne' veli della Vita Nuova, dobbiamo, in questo solo libretto, cercare il profilo veramente umano di Beatrice; ma, se a Dante accadde già, nel volerne, poi che fu morta, ritrarre l'immagine, di disegnare, in sua vece, un angelo, potremo essere scusati noi se, già trasfigurata, in parte, da Dante stesso nel suo racconto, non potremo più ravvisarla qui tutta, e dobbiamo però contentarci di fermare alcune linee quasi botticelliane della figura di lei, che l'avvicina. alle donne fiorentine dell'età sua.

Dante la rivede, nel suo diciottesimo anno, e, per la prima volta, ne riceve un breve dolcissimo saluto: “quella fu la prima volta che le sue parole si mossero per venire a' miei orecchi; „, e, salutato da lei, se ne va via

come inebriato, si ritira nella sua stanza, s'addormenta e sogna la bella donna che dorme "nuda, leggermente avvolta in un drappo sanguigno, che, svegliata da amore, si pone a mangiare dubitosamente il cuore ardente del poeta; quindi la vaga donna si scioglie in pianto, e, tra le braccia d'amore, dopo essersi nutrita col cuore di Dante, se ne va al cielo. Dante allora non è più padrone di sè, poichè il cuore gli fu rapito. Alla

Dispensa 17.

vaga donna che innamora, i poeti indiani davano già il nome di manoharini o rapiente l'animo; e, in numerose tradizioni medievali, che Dante poteva conoscere, anche dal famoso compianto di Ser Blacasso, è fatta menzione d'un cuore rapito, d'un cuore mangiato.

Dante si mostra, tuttavia, molto stupito e turbato dallo strano sogno, e compone quindi il primo suo sonetto amoroso, in forma di quesito, il quale incomincia:

A ciascun'alma presa e gentil core,

indirizzato da lui a tutti i poeti innamorati, ai quali l'anima fu già tolta, perchè gli diano spiegazione del sogno. Tra questi poeti, si noverano il Cavalcanti e Cino da Pistoia, che risposero con le stesse rime; e si cita pure un goffo e sgarbato sonetto di Dante da Maiano; ma sopra l'autenticità delle rime, del resto assai rozze e grossolane, di Dante da Maiano, sono stati sollevati, nel tempo nostro, gravi dubbi dal Borgognoni che le credette contraffazioni del cinquecento.

Il Cavalcanti vide in quel sogno un arcano presagio della morte immatura della donna amata;

Di voi lo core ne portò, veggiendo
Che vostra donna la morte chedea,
Nudrila d'esto cor di ciò temendo.

1

Cino da Pistoia, se pure il sonetto è suo, e non più tosto di un Terrino da Castelfiorentino, citato dal Casini, a cui un codice molto autorevole del secolo XIV è attribuito, „ o pure composto assai più tardi, quando Dante stendeva il libretto della sua storia amorosa, argomen

1 Si noti tuttavia che Dante, nel sonetto, nasconde una parte del sogno, non ripetendovi più che egli avea sognato Beatrice "nuda,, come pare l'avesse veramente sognata.

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